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Cabiria (1914) diretto da Giovanni Pastrone, anche se la sua paternità è attribuita a D’Annunzio,

che si occupa di scrivere le didascalie del film, offrendosi come “testimonial” della qualità del

prodotto, conferendole legittimità artistica e culturale.

Vera e propria stella polare della storia del cinema delle origini, Cabiria colpisce tanto per la

quantità delle innovazioni quanto per la complessità dell’intreccio, l’investimento ideologico, la

genialità dei trucchi, le sue soluzioni spettacolari, lo sfarzo dei costumi, la grandiosità scenografica,

la valorizzazione del ruolo delle didascalie e la loro funzioni ritmica, prosodica e drammaturgica.

In quanto “autore” del film, il poeta intende far assumere alla parola scritta un ruolo analogo a

quello di un cantare epico.

Negli anni di guerra, i produttori sono costretti dalle circostanze e dal mutamento dei gusti del

pubblico ad imboccare altre strade.

Vi saranno ancora, nel decennio successivo, film che richiamano la grandeur del passato, ma

saranno opere in controtendenza rispetto alle dinamiche espressive e narrative del cinema coevo,

prigionieri di un’idea monumentale dello spettacolo che ai grandi pubblici non interessa più.

Cretinetti & Co. nel salotto di Nonna Speranza

Le comiche, pur avendo goduto di un forte successo, non sono mai riuscite a divenire il piatto forte

e centrale di un programma italiano. Sono state concepite come un “dessert” rispetto al principale

dramma passionale, e non hanno mai goduto di interpreti capaci, come nel cinema americano, di

nobilitare al punto tale il genere da fargli assumere una posizione centrale. Posto al livello più basso

del cinema, il film comico raccoglie spesso le scorie di altri generi o stili, e in un primo tempo non

desidera affermare la propria autonomia narrativa ed espressiva.

Il comico italiano mantiene il suo rapporto di discendenza dalle forme dello spettacolo popolare

anteriore; il comico americano ha una libertà totale nei confronti della scena sociale, mentre quello

italiano si muove all’interno dello spazio urbano; la sua mascheratura è modellata su quella del

mondo piccolo borghese, e così i suoi gesti. La parodia si confonde spesso con la divertita

osservazione del desiderio (lo schermo ne diventa luogo privilegiato, sia che si tratti di desiderio

sentimentale o economico). Nel primo cinema comico si succedono in serie, paradisi a portata di

mano quasi sempre negati.

I film comici, dalle comiche di Cretinetti alla galleria dei mostri degli anni Sessanta e Settanta,

fanno toccare con mano in senso di una società in rapida trasformazione, sottoposta a nuove regole

e codici di comportamento esteriori. Le dinamiche sociali in atto vengono misurate nel film comico

in maniera superiore rispetto a tutti gli altri generi proprio per la continua collisione tra

comportamenti di soggetti appartenenti a classi sociali diverse.

Il cinema comico italiano, assieme a quello francese, ha il merito di aver mostrato quanto fossero

sottili i confini fra cinema e forme di spettacolo popolare anteriori, ricorrendo alla tradizione dello

spettacolo di piazza fuso con forme di intrattenimento più recenti.

Nei cataloghi di tutte le case, la comica occupa un posto di rilievo dal punto di vista quantitativo, ed

è possibile isolare perlomeno alcune figure che, per il successo ottenuto, si possono considerare divi

del genere: Marcel Fabre (Robinet) e André Deed (Cretinetti).

I titoli sono una miriade e costituiscono uno dei punti di forza di quasi tutte le maggiori case per

alcuni anni: concepita come corrispettivo di uno schizzo umoristico, la comica deve buona parte del

successo alla capacità di parodiare e ridicolizzare l’imperfezione dei riti, delle convenzioni, la

difficoltà di apprendere precise regole della società borghese. Messe tutte in fila, appaiono come un

manuale rovesciato del galateo del nuovo arrampicatore della società.

Così come mostrano le difficoltà della scalata sociale, i comici italiani non esibiscono mai il loro

senso di ribellione, come farà sempre Chaplin  integrazione in un mondo parodiato, ma molto

desiderato.

Già alla vigilia della prima guerra mondiale il cinema comico sembra perdere qualsiasi bussola di

orientamento. La guerra e il fascismo riducono la possibilità d’accesso a questi scenari, e in una

situazione di crisi i corpi dei comici saranno i primi a venir sacrificati.

Eve fatali

Nel cinema italiano degli anni a cavallo della guerra si assiste alla rapida affermazione e

sostituzione, grazie al supporto dei corpi delle dive, del potere dei sentimenti e delle passioni a

quello degli eserciti e della forza militare. Le passioni selvagge e fatali trovano nello schermo il

punto di massima condensazione e manifestazione: Amore di sirena, Amore e astuzia, Amore e

patria, ecc.

La rappresentazione della potenza dei sentimenti, dell’amore come sacrificio di sé, della multipla

morfologia femminile arrivano a mostrare le vicende di queste donne che con pochi mezzi a

disposizione scalano la società ma pagano un caro prezzo per la loro hybris.

Cantami o diva…

In questi anni il divismo cinematografico italiano impone l’immagine della donna come

quintessenza delle forze di natura e nuova protagonista sulla scena sociale e dei sentimenti. Una

donna che non riesce ancora ad emanciparsi attraverso il lavoro, ma che impone il suo corpo come

valore e intende decidere del suo destino sentimentale e della sua vita.

Il divismo italiano diventa nel giro di poco tempo fenomeno-guida sul piano internazionali:

nell’arco di poco più di cinque anni, a cavallo della grande guerra, si assiste al battesimo, all’ascesa

trionfale e al suo declino catastrofico e irreversibile  il proto-divismo appare improvvisamente

nella cinematografia e, come fenomeno non previsto, assume il ruolo di modificatore di

comportamenti e dell’immaginazione collettiva (Asta Nielsen, Abisso, 1910).

Il fenomeno divistico italiano, che nasce e si sviluppa a cavallo della prima guerra mondiale, gode

di un’importante fase preliminare con Leopoldo Fregoli. Bisogna però aspettare fino al periodo

compreso fra 1913 e 1920 per assistere alla vera nascita del divismo cinematografico italiano.

Il divismo muove i primi passi in Italia con Ma l’amor mio non muore!, di Caserini e con Lyda

Borelli: la Borelli entra in scena invocando su di sé gli sguardi degli spettatori e con un solo gesto

accende la scintilla del desiderio collettivo.

Seguiranno l’esempio Francesca Bertini (Assunta Spina), Pina Menichelli, Eleonora Duse (Cenere).

Il divismo agisce da modificatore dei comportamenti collettivi, rivitalizza l’immagine romantica,

apre a folle di spettatori una catena di nuovi sogni di conquista, consentendo di affacciarsi su

territori considerati tabù.

Dirette eredi delle primedonne teatrali, le Dive attivano una serie di fenomeni nuovi: la loro icona si

sostituisce nell’immaginazione popolare a quelle più distanti e indistinte degli uomini-simbolo.

L’Olimpo cinematografico del periodo appare così popolato in pratica solo da donne, mentre gli

uomini sono figure sfocate e secondarie.

Il fenomeno non si riduce comunque a un puro travaso di forme o a un processo di metamorfosi

artistica: a scatenare la macchina desiderante collettiva è la serie di celebrazioni della forza dei sensi

che la donna riesce a interpretare.

Quanto alle fondamentali tipologie di derivazione letteraria, artistica e teatrale si possono

individuare la femme fatale, donna senza pietà (Pina Menichelli, Fuoco), la bella sconosciuta, la

donna demoniaca (Pola Negri, Carmen), la donna che gestisce il proprio corpo come una piccola

impresa, la donna madre, depositaria ad ogni costo di una serie di alti valori (Eleonora Duse,

Cenere), la discendente di Ofelia, la donna libellula, libera di esprimersi attraverso il linguaggio del

corpo (Lyda Borelli, Rapsodia satanica).

Questo cinema ha modo anche di percepire elementi significativi del paesaggio interiore, d

interiorizzazione del gesto, rendendo visibili attraverso il linguaggio del corpo i movimenti della

psiche  i movimenti delle braccia della Borelli in Rapsodia satanica modulano i movimenti della

psiche.

La Borelli è la Diva che meglio riesce a condurre gli spettatori nei labirinti e nelle zone oscure dei

sentimenti e del desiderio, e nei suoi film appare come una Superdonna degna di competere con il

Superuomo dannunziano.

Mentre dunque la Borelli nasce Diva, Francesca Bertini ha bisogno di una fase di formazione, che le

permette di raggiungere una notevole versatilità: se la Borelli è l’interprete più significativa della

cultura Liberty e simbolista, la Bertini, prima che Diva, è attrice a tutto campo e più moderna, il cui

esempio vivrà nelle ideali eredi come Greta Garbo o Anna Magnani.

In conclusione, l’immaginazione dei pubblici si nutre di eroine per le quali l’amore vince qualsiasi

cosa e che si avvicinano alle “ammirabili belve” dannunziane. Sarà necessaria l’ecatombe divistica

e del mondo che rappresentano per consentire negli anni Venti la nascita della “donna nuova”,

quella delle ragazza della porta accanto.

Divismo al maschile: le maschere e i corpi

Emilio Ghione e Bartolomeo Pagano sono gli unici due attori che riescono a raggiungere nel

periodo della guerra fama e successo non inferiore a quello delle massime dive.

Dopo essere passato alla regia nel 1913 la serie che lo colloca nell’Olimpo divistico del primo

cinema italiano è quella di Topi grigi, realizzata nel 1918 per la Tiber e suddivisa in otto episodi.

Ghione tiene fede alle tipologie del giustiziere, del delinquente che rispetta i codici di onore, e pur

rappresentando azioni delittuose i suoi film contengono un nucleo di moralità, un rispetto di valori e

sentimenti come la fedeltà, l’amicizia e l’amore, e una condanna al mondo dei ricchi del tutto

assenti nella produzione coeva che esalta le passioni fatali e celebra le Dive. Ghione ambienta le sue

storie contro squallidi paesaggi di periferia, in controtendenza rispetto allo stile del periodo, e si

serve della macchina da presa ricorrendo spesso a una luce dura, capace di rendere più cruda la

miseria di certi ambienti. Lo spazio è spesso promosso a personaggio, nel senso di vera e propria

autonomia narrativa, e benché manchi una vera e propria denuncia sociale, un’Italia così misera non

si vede in nessun tipo di produzione del periodo. Il successo renderà però Ghione prigioniero del

suo personaggio Za-la-Mort.

L’eredità verista

I film storici hanno il merito di costruire dei mondi grandiosi di cui è celebrata la potenza e di cui si

riafferma il ruolo di faro della civiltà. La strada aperta da questi film diventa un punto di passag

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Publisher
A.A. 2014-2015
41 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/06 Cinema, fotografia e televisione

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher viola_fr di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del cinema italiano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Della Torre Roberto.