Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
INTRODUZIONE
I. La politica in maschera
-A confermare il concetto esposto nella premessa, consideriamo un film di carattere popolare,
Benvenuto, reverendo! (1949), di Aldo Fabrizi, in cui egli interpreta un ladruncolo uscito di galera
che si finge prelato in una comunità contadina in cui è in atto una lotta contro il latifondista locale
per una più equa distribuzione delle terre.
In quel periodo la lotta tra contadini e latifondisti era un problema molto grosso, e la Democrazia
cristiana doveva muoversi con cautela dividendosi tra gli interessi dell’una e dell’altra categoria per
non perdere consensi.
Da un lato Togliatti preoccupato che un eccesso di “rivendicazione” potesse spingere la DC a
spostarsi su posizioni fortemente anticomuniste, dall’altro un’attività censoria piuttosto repressiva,
fanno sì che di tutto questo conflitto sociale, nel cinema italiano coevo, quello della storia
istituzionalmente intesa, non resti traccia. Tuttavia, se ci si sposta nell’ambito del cinema popolare,
troviamo un esempio chiaro di come questo tipo di produzione possedesse davvero la capacità di
riflettere in modo diretto e trasparente i mutamenti sociali in atto.
In Benvenuto, reverendo!, abbiamo:
1) Un affresco del conflitto sociale
2) ll ruolo di mediatore che la Chiesa era chiamata a svolgere in quel periodo, e che non era
in grado di svolgere (tanto che a riconciliare latifondista e braccianti sarà l’opera di un laico
sotto le vesti solenni dell’istituzione religiosa).
3) I messaggi aderenti alla linea De Gasperi: da un lato la natura della riconciliazione, che
consiste nella salvaguardia del principio della proprietà privata ma anche quello di una più
equa distribuzione della ricchezza; dall’altro l’opera di riconciliazione che si lega al
processo di modernizzazione, del quale presupposto fondamentale è la permeabilità delle
classi sociali (infatti il figlio della ragazza contadina viene alla fine riconosciuto dal figlio del
latifondista, e il bambino sarà una sorta di simbolo della contaminazione interclassista).
E’ interessante notare come un piccolo film, quasi ignorato dalla storiografia istituzionale, metta in
scena in modo così chiaro ciò che stava avvenendo a livello sociale in quel periodo.
II. Al di qua del Muro
-Prendiamo ora un secondo esempio che invece descrive una realtà sociale e consumistica
precedente rispetto al periodo in cui viene realizzato, ma successiva rispetto al periodo di cui si
parlerà in questo testo, e cioè i risultati di quella che può venire chiamata una seconda
modernizzazione.
Nel 2005 Fausto Brizzi porta al cinema Notte prima degli esami, film che si pone nei termini della
commedia generazionale, di successo enorme, bollato dalla critica come “filmetto superficiale” per
i suoi chiari intenti di operazione commerciale (trama pretestuosa per dispiegare un catalogo
efficace degli oggetti di consumo culturale più significativi del decennio, dalla canzone di Antonello
Venditti, al piumino Moncler o alla citazione vivente di Giorgio Faletti). Tuttavia la critica non riesce
a intraprendere una riflessione profonda sulle ragioni dell’appeal esercitato da questo film sulla
massa di spettatori.
ll film è ambientato nel 1989, e Brizzi racconta in pratica la fine di un’epoca in cui esiste ancora
una società di massa all’interno della quale i soggetti condividono un medesimo orizzonte
culturale, operano scelte in base ad una logica di gruppo e anche il consumo culturale risponde ad
un profilo identitario ben definito. Il regista coglie nel segno in questa analisi di stampo sociologico
legato all’orizzonte dei consumi.
In seguito, durante gli anni Novanta, si registra secondo molti un generale scivolamento verso
l’asse del privato (individualismo, ecc.), o per lo meno nuove forme di socialità e condivisione che
vanno a sostituire le precedenti.
La posizione di Brizzi risulta quindi contraddittoria: con il suo film vuole da un lato celebrare una
sorta di età dell’oro, di compimento “perfetto” di quei processi di modernizzazione per qui
l’individuo si trova in equilibrio ideale tra la sfera pubblica, di socialità e condivisione, e quella
privata; dall’altro però, proprio nel suscitare nello spettatore nostalgia verso quel momento storico,
allo stesso tempo ne evidenzia il conformismo e l’omologazione come effetti collaterali, implicando
che le nuove forme di consumo culturale, socializzazione e costruzione del sé tipiche della
modernità non sono necessariamente negative.
I critici tuttavia falliscono nell’individuare questo lato paradossale e contraddittorio del film, e si
limitano a riutilizzare la regressiva retorica che contrappone il filmetto commerciale, disimpegnato,
standardizzato, a quello d’autore, impegnato e degno di riflessioni più approfondite.
CAPITOLO I: EREDITA’ PERICOLOSE
I.I
Contro il cinema: Adorno
-Adorno conia l’espressione “industria culturale” con intenzione altamente dispregiativa, per
indicare un meccanismo i cui modi di produzione sono talmente vincolanti da influenzare qualsiasi
oggetto vi derivi; un sistema che pretende ipocritamente di basarsi sui desideri dei consumatori ma
che in realtà ne è lo stesso motore: crea desideri, li gratifica con prodotti di scarsa qualità.
-Adorno ritiene che il cinema sia uno degli strumenti più efficaci dell’industria culturale: i film
instaurano la dittatura di una cultura di superficie da cui deriva la dissoluzione di qualunque
soggettività. La distinzione che fa è piuttosto netta, tra film di evasione, intrattenimento (escape) e
film che pretendono all’arte, al contenuto (message), e che reputa anche peggiori perché ipocriti.
-La critica all’industria culturale è talmente radicale in Adorno, da coinvolgere l’idea stessa di
cultura popolare, che per lui è sempre stata riflesso dei rapporti di potere e sfruttamento.
-Incuriosisce come anche Orson Welles, uno dei più grandi registi della storia del cinema,
condivida in sostanza la concezione espressa da Adorno quando in una sua dichiarazione ritiene
che il cinema sia un mezzo capace di contenere una quantità di message che potrebbe essere
inscritto sulla capocchia di uno spillo. Eppure egli ama il cinema, e non lo ama nonostante i suoi
limiti ma proprio in virtù di essi (per questo critica registi come Godard, tutti protesi a caricare di
significato e messaggio i loro film).
L’influenza di Adorno sarà base teorica di ogni successiva denuncia agli effetti corruttori della
cultura di massa, o almeno di quella parte compromessa con la produzione e dunque predisposta
alla promozione dei prodotti di una cultura superficiale, una cultura che spinge al consumo fine a
sé stesso di oggetti bassamente gratificanti, e non una cultura di approfondimento, capace di
sviluppare nuovi modi di pensare.
I.2
Dalla parte del popolo: Gramsci
-Critica dell’intellettuale organico: un’idea di Gramsci sviluppata poi da Pasolini, secondo cui vi è
una crisi irreversibile dell’intellettuale organico, dell’intellettuale guida spirituale del popolo o della
borghesia in lotta; come afferma Pasolini, l’intellettuale è ormai solo il buffone di un popolo e di una
borghesia in pace con la propria coscienza e quindi in cerca di evasioni piacevoli.
-Critica di Pasolini alla cultura di messa, espressa in uno dei vari attacchi contro la televisione:
esso in quando medium di informazione di massa deve tenere anticipatamente conto del basso
livello medio della cultura dei destinatari; inoltre la massa è per natura interclassista, e di
conseguenza non si tiene conto di nessuna esigenza specifica dei vari gruppi sociali, ma di una
media irreale. Così che la cultura televisiva è una cultura tipicamente alienante.
Le critiche al nuovo scenario di consumo culturale dunque si basano su tre presupposti:
1) Ideologico: l’industria culturale si basa sul concetto di merci e prodotti; di essi è
inaccettabile il relativismo, in quando il concetto di merce ruota attorno al suo valore d’uso
e di scambio.
2) Strategico: il consumatore diventa sempre più autonomo e consapevole nella scelta dei
prodotti culturali, e la figura di un intellettuale guida diventa sempre meno considerata.
3) Teleologico: la cultura di massa è diretta espressione della cultura borghese, e dunque la
sua affermazione imporrebbe una “dittatura della borghesia”, la quale replicherebbe
attraverso il monopolio culturale il proprio sistema di valori.
II CAPITOLO: UNA DIFFICILE INTEGRAZIONE
-Già negli anni trenta, uno dei più raffinati esperti di arte colta del Novecento, Erwin Panofsky,
formula alcune considerazioni antitetiche rispetto ad Adorno:
”Oggi non si può negare che i film siano arte”: non ritiene alcuna contraddizione tra potenzialità
commerciali e artistiche di un prodotto
”L’arte commerciale è più vitale ed efficace”: si spinge fino ad affermare che tanto più un oggetto è
vivo quanto è commerciabile, quanto è centrale all’interno dell’industria culturale.
-Sulla stessa lunghezza d’onda si muovono tre opere.
2.1
Sui boulevard della cultura di massa
-Morin scrive nel 1962 Lo spirito del tempo, offrendo un modello alternativo di approccio alla
cultura di massa.
Le società occidentali, afferma, fino ad un certo punto sono state caratterizzate da due culture
parallele: quella ufficiale, utilizzata dagli uomini “colti” a scopo distintivo, legittimata, e quella
popolare, decisamente meno sofisticata e data dall’insieme di saperi elementari diversi. Su questo
scenario fa irruzione una terza cultura, quella promossa dai mezzi di produzione e diffusione di
massa che andranno a comporre l’industria culturale.
La cultura di massa, se dapprima si presenta come una via di mezzo, espressione della classe
sociale borghese, allora in ascesa, presto dimostra di essere in grado di turbare le altre culture
preesistenti: essa non è autonoma in senso assoluto, ma si integra alle altre culture a ha quindi
una natura policulturale e universalista. Il suo successo è secondo Morin dato dalla capacità di
instaurare un dialogo continuo fra produzione e consumo: non è retta e regolamentata dalla polizia
del gusto, dalla gerarchia del bello, ma dimostra una sorta di anarchismo e si sviluppa in funzione
della logica di un rapporto il più possibile diretto tra produttori e consumatori.
2.2
L’apocalisse strumentale
-Umberto Eco afferma la necessità di un’intellettuale che accetti l’universo delle comunicazioni di
massa come dato di fatto