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Estratto del documento

III.

Si tratta di un documento rinvenuto nell’archivio Caetani e studiato da

Stendhal, in forma di cronaca che racconta la storia di un principe invaghitosi di

una bella ragazza promessa sposa a Cristofano vassallo dei Savelli. Il futuro

sposo uccide il principe e poi fugge, mentre la giovane verrà arrestata e

torturata. Condannata a morte, essa viene salvata da Margherita d'Austria che

la prende come damigella.

Secondo Stendhal, che aveva raccolto molte di queste “relazioni”, si trattava di

storie vere che testimoniavano un' Italia autentica e mitica del Rinascimento.

Esaminando altri archivi troviamo altre raccolte simili, e ciò spiega che nella

prima metà dell'800 in Europa erano in voga libri che raccontavano di storie di

giustizia, di crimini efferati e di atroci supplizi che si spacciavano come storie

vere avvenuta a Roma tra il 1550 e il 1700.

Infatti presso la Biblioteca Angelica di Roma però si trova una relazione

pubblicata nel 1752 praticamente identica a parte il particolare che il padre del

principe finì in un

Manicomio (le altre varianti sono di carattere lessicale). Un'ulteriore versione

pubblicata nel 1796, trascritta da Lucidi (canonico) racconta la stessa storia

con qualche particolare in più per esempio la procedura giudiziaria avviata

dopo il delitto e si riportano alcuni brani dell’interrogatorio della moglie

dell’omicida estratti dal processo svoltosi a Roma.

La relazione trascritta da Lucidi nel 1796 sembra essere la più antica: in essa è

presente un io narrante che collocherebbe l'originale tra il 1605 e il 1661.

Andando a controllare e verificare i vari aspetti della narrazione si possono

accertare alcuni fatti: quasi mai è possibile sapere i nomi dei protagonisti e in

alcuni casi nemmeno i cognomi. Un articolo del 1927 apparso sul “Capitolium”

disse i nomi dei personaggi coinvolti sulla base del verbale del processo allora

conservato presso l’archivio di Stato di Roma, che però ha ora un’altra

collocazione e quindi non più consultabile, perciò bisogna sottoporre a verifica

alcune circostanze descritte:

il padre del principe in manicomio è un particolare senz'altro falso poiché

questo era un luogo in cui solo i poveri e i mendicanti venivano rinchiusi. Del

resto però l'internamento in manicomio era invece un vero e proprio topos

letterario dell'epoca.

Per finire Margherita d'Austria all'epoca dei fatti era troppo giovane (12/14

anni) e troppo lontana (a quell’epoca si trovava a Firenze per sposare

Alessandro de’ Medici) e nel suo testamento non risulta il nome di nessuna

Giovanna Santi (questo il nome attribuito alla promessa sposa) tra le sue

dipendenti. Vi sono insomma troppi fatti discordanti perché la storia sia presa

per vera.

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Perciò di quale tipo di fonte si tratta?

Inizialmente sembrava fosse una cronaca di fatti che però sfuggono a una

ricostruzione certa.

La storia raccontata più che di un omicidio è la storia di un sopruso nobiliare.

La copia della biblioteca Angelica di Roma, inoltre, è analoga a molte altre

conservate in diverse biblioteche estere ed italiane e quindi sembra molto più

probabile che essa sia stata inventata su un modello predefinito. Essa si

presenta come una narrazione su tematiche stereotipate (o su storie basate e

rielaborate dai verbali dei tribunali) tipiche del Cinquecento e che divenne

letteratura di largo consumo tra il Sei e il Settecento: storie scabrose composte

da autori non ben identificati, a metà tra informazione e pettegolezzo. Una

testimonianza dunque non di un delitto, ma di un'adesione a precisi stereotipi e

modelli culturali che ne tradivano un intento almeno formalmente di carattere

pedagogico e moralistico.

Addirittura si possono rintracciare alcune funzioni e personaggi-tipo della fiaba

rintracciate da Propp (Cristofane è eroe all’inizio e poi anti-eroe, la moglie è la

protagonista, ci sono le funzioni del divieto, trasgressione, tranello,

allontanamento ed esilio, condanna, salvataggio e trasfigurazione).

Quindi questa relazione è testimonianza di un mercato, un gusto letterario, un

pubblico di Sei-Settecento con fine pedagogico e moraleggiante.

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FARE UN MONUMENTO DI SE STESSO: UNA FONTE ORATORIA di S. Lupo

Col discorso il politico vuole presentare se stesso a un certo pubblico, vuole

giustificare, convincere, costruire una propria immagine, ottenere dei risultati.

È il piano nascosto nella parte palese della politica.

Francesco Crispi nacque nel 1819 in Sicilia da famiglia di origine albanese.

Schieratosi tra i democratici, svolse un ruolo di primo piano nella rivoluzione

siciliana del 1848 poi si recò in Piemonte e si legò a Mazzini e al movimento

repubblicano. Nel 1860 fu l'uomo-chiave del movimento garibaldino. A

unificazione compiuta accettò la monarchia e fu uno dei leader del partito della

sinistra; quando questa andò al potere nel 1876 fu presidente della Camera e

poi ministro dell'interno sotto il governo Depretis, ma poco dopo si allontanò da

lui.

4 DISCORSI DI CRISPI DAL 1881 AL 1884

1° discorso: 13 novembre 1881

Crispi si presenta come a cavallo tra passato e presente, uomo di partito, ma

anche della nazione, celebrando i propri successi e le proprie sconfitte. Si

auspica una riforma elettorale ispirata ai principi della democrazia. Inoltre la

sinistra di Crispi contava molto sulla legge Coppino e sull'alfabetizzazione

popolare che avrebbe consentito l'aumento del numero degli elettori (come

effettivamente successe, dal 2% al 7% ca. di elettori)

Crispi accusa Depretis di trasformismo, si augura di non trovare convergenze

centriste tra i partiti e denuncia il pericolo di un sistema basato sullo scambio

di favori elettorali e sui particolarismi locali che caratterizzano la politica da

allora. Crispi tiene molto a presentarsi come colui che meglio degli altri ha

previsto e indirizzato il percorso che portava alla democrazia.

In una lettera aperta a Mazzini però, sostiene la necessità di una scelta

monarchica come piattaforma costituzionale e su cui costruire la convivenza

tra partiti diversi (cioè: finiamola con le rivoluzioni se vogliamo delle riforme).

Egli utilizzò il capitale simbolico del suo passato per presentarsi da

protagonista sullo scenario italiano dei primi anni 80. In questo modo

ritualizzava e monumentalizzava il Risorgimento secondo le proprie necessità,

quindi celebra la Nazione per garantire la fedeltà dei cittadini al nuovo Stato.

Quindi in questo modo non è più il passato a ispirare il presente, ma è il

presente che strumentalizza il passato, selezionandone gli eventi per

legittimarsi.

Intanto al potere la destra di Cavour era più preoccupata di rassicurare i

conservatori che non fosse in atto una rivoluzione (il nuovo regno aveva

semplicemente recepito lo Statuto Albertino, senza enfatizzare troppo la

discontinuità) E però essi stessi non potevano chiamarsi conservatori, per via

del suo Stato nuovo contrapposto alla Chiesa.

Crispi era ben cosciente di questo problema di legittimità e ne approfittava per

mostrare il proprio partito come quello che aveva imposto la soluzione

nazional-unitaria, mentre i moderati avevano più che altro cercato di sabotare

le iniziative, cercando sempre di far coincidere la coerenza del percorso della

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nazione con quella del suo partito e con la sua personale. Intanto però criticava

il basso profilo di Depretis e, quando gli fu necessario, tornò a parlare di

Rivoluzione (di identità nazionale e sottolineò l'identità culturale e storica degli

italiani identificandola con la storia di casa Savoia)

2° discorso: 31 marzo 1882

Crispi rimise in campo un profilo radicale e in questa occasione conferma che la

scelta monarchica e unitaria fatta dopo la rivoluzione nazionale del 1860-61 è

stata quella giusta

3° discorso: 23 marzo 1884

Sintesi della decadenza politica e della rinascita della Nazione che parte dalla

caduta dell’Impero Romano. Inoltre attribuisce a casa Savoia una politica

espansionistica e guerriera, quindi intenzione patriottica (vedi dietro). Spiega

perciò che nessun progresso poteva essere realizzato senza il contributo della

monarchia.

4° discorso: 2 aprile 1884

Crispi rievoca la sua gioventù spiegando ai giovani che il Risorgimento ha dato

loro la possibilità di progredire e studiare che lui e tutta la sua generazione non

ebbero. Ricorda più volte l’importanza del re nella rivoluzione (rivoluzione

regia). Infatti l’Italia non si sarebbe mai unificata senza il popolo ed il re, ma ora

senza re non andrebbe avanti.

A metà anni 80 Crispi si riavvicina a Depretis e nel 1887 gli succede al governo

e avviò molte riforme, ma le sue idee erano troppo fissate sugli ideali passati, e

quella che una volta era stata la sua forza, risultò ora una debolezza.

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L'UOMO COL DITO PUNTATO: UNA FONTE ICONOGRAFICA di A. Gibelli

La storia della fonte è il primo passo per poterla usare a fini storici. In questo

caso parliamo dell'immagine dello zio Sam col dito puntato verso l'osservatore.

L'immagine risale al 1917 ed era un appello all'arruolamento: si tratta di un

inedito uso dei mezzi di comunicazione di massa in funzione della

mobilitazione, della propaganda e dell'organizzazione del consenso.

Tre anni prima in GB era stata usata la stessa immagine raffigurante Lord

Kitchener

(spietato protagonista della guerra anglo-boera) per lo stesso fine.

L'importanza di questa immagine inglese sta nel fatto che essa è stata la prima

ad applicare uno schema del genere che poi venne usato anche per

pubblicizzare diversi prodotti (anche prima della guerra). Un aspetto tipico della

società novecentesca in via di massificazione, infatti, è stato quello

dell'adozione di un linguaggio comune da parte della pubblicità e della

propaganda di guerra.

Le immagini di questo genere hanno caratteristiche comunicative che le

rendono particolarmente efficaci: un uomo il cui sguardo si prolunga in

direzione dello spettatore grazie al gesto di un braccio teso in avanti e di un

indice puntato. Uno schema che corrisponde a un dispositivo di puntamento,

quasi. L'immagine tende a colpire personalmente perché sembra essere rivolta

proprio all'osservatore, interpellandolo personalmente (da ovunque lo guardi, si

rivolge proprio a te con un effetto quasi di tridimensionalità).

Colpire lo spettatore, catturare la sua attenzione, raggiungere il bersaglio: tutte

metafore di caccia e di guerra. Soprattutto la speciale aggressività visiva cerca

di imporsi nono

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
21 pagine
23 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nina128 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Arcangeli Alessandro.