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RUOLO E CARATTERI DEI LEGISLATORI

Prima Repubblica - se il rappresentante parlamentare dell’epoca liberale, almeno fino al 1919,

 poteva essere raffigurato con le etichette del notabile o del politico amatoriale, quello

dell’epoca repubblicana, fin dalle prime legislature, ha senza dubbio incarnato la figura del

politico di professione, prescelto sulla base della militanza e delle esperienze partitiche e

talvolta sindacali.

Studi empirici hanno dimostrato che nell’Italia repubblicana si era radicato un diffuso

predominio partitico sui processi di selezione delle candidature e di carriera parlamentare. Per

quanto riguarda a selezione delle candidature:

nel Pci, la leadership nazionale, solidamente protetta dal principio del centralismo

 democratico, riusciva ad imporre un selezione d’apparato puro, quindi completamente

controllata dall’alto.

nel caso della Dc (e degli altri partiti di governo) il personale politico veniva scelto

 attraverso una mediazione tra leader locali e nazionali: i secondi si garantivano una facile

rielezione utilizzando le «teste di lista» e la pubblicità del partito; i primi invece si sfidavano

nelle grandi circoscrizioni proporzionali andando a caccia dei voti di preferenza.

La differenza tra i due modelli persisteva anche a livello di carriera:

nella Dc le carriere parlamentari dipendevano certo dall’appartenenza alle forti correnti

 nazionali, ma anche dal numero di voti di preferenza che i candidati riuscivano a rastrellare

nella propria circoscrizione; 42

nel Pci era il partito a ispirare la distribuzione dei voti di preferenza, e soprattutto a porre

 un limite (stabilito a livello statutario) al numero di rielezioni in Parlamento. Di

conseguenza, il turnover era più elevato e molti esponenti di punta rimanevano nella

leadership partitica ma lasciavano lo scranno parlamentare, passandolo magari a qualche

giovane esponente della stessa federazione provinciale.

Nell’insieme, queste caratteristiche convergevano in un’elevata partitizzazione del ceto

parlamentare. Una conseguenza era il forte controllo esterno esercitato dai partiti sulle

articolazioni politiche all’interno del Parlamento: i gruppi parlamentari erano dominanti dalle

rispettive organizzazioni partitiche, e questo comportava un livello generale di disciplina

partitica, anche se, nei fatti, un partito diviso in correnti (la Dc, ma anche il vecchio Psi)

potevano spesso spaccarsi di fronte a determinate scelte, spesso nascondendosi dietro il voto

segreto.

Seconda Repubblica - le elezioni del 1994 hanno visto un tasso di turnover parlamentare

 incredibilmente alto, superiore al 70%, che si spiega con la crisi politico-giudiziaria e con il

collasso dei partiti di governo, che avevano di fatto azzerato buona parte della classe politica

preesistente. Successivamente è tornato sui livelli di normalità, pur rimanendo leggermente più

elevato rispetto ai decenni della Prima Repubblica. Nelle elezioni del 2013 il tasso di turnover

ha raggiunto di nuovo un picco altissimo, pari al 65%, grazie alla buona affermazione di una

formazione completamente nuova (M5S) e ad un generale ricambio generale, più elevato nelle

file del centrosinistra.

I criteri di reclutamento dei candidati non sembrano così diversi rispetto al passato. L’utilizzo di

un sistema misto-maggioritario aveva determinato qualche nuovo accorgimento nei processi di

selezione dei partiti, che cercavano di favorire candidati territorialmente visibili e quindi più

adatti alla competizione nei collegi, ma senza modificare drasticamente i processi di selezione,

ancora incentrati sulle scelte delle élite nazionali, né tanto meno i caratteri sociologici del ceto

politico. Il ritorno di un sistema proporzionale, nel 2006, con l’introduzione della lista bloccata e

la possibilità di multi candidature, ha favorito un processo di reclutamento parlamentare

centralizzato e partitocratico, visto il totale controllo esercitato da un numero relativamente

basso di personalità sull’allocazione di un elevato numero di seggi; alcune formazioni hanno

cercato di decentrare la selezione delle candidature ricorrendo allo strumento delle primarie

(aperte o chiuse).

Per quanto riguarda l’aspetto sociopolitico dell’élite parlamentare, quella promossa dai partiti

all’epoca «più nuovi» ha mostrato qualche elemento innovativo: FI ha in un primo tempo

reclutato un buon numero di manager ed esponenti del mondo economico, mentre la Lega

vede tra i propri rappresentanti molti attivisti provenienti dalle categorie sociali vicine al suo

discorso politico, cioè piccoli imprenditori, artigiani, agricoltori e altre categorie della classe

media. Tuttavia, dopo qualche anno di instabilità, l’aspetto sociopolitico dell’élite parlamentare

è tornato ad assomigliare molto al profilo della Prima Repubblica e i modelli di carriera politica

non si mostrano diversi dal passato.

Pertanto, gli elementi di relativa innovazione emersi negli ultimi vent’anni sono pochi:

1. il primo riguarda i politici di carriera che si avvicinano al Parlamento, i quali sembrano oggi

caratterizzati da esperienze di amministrazione locale, più che dall’esperienza partitica

pura;

2. il secondo è la polarizzazione, rispetto ai caratteri socio-occupazionali, delle due coalizioni,

che ripropone la tendenza dell’elettorato italiano a dividersi lungo la linea di frattura tra

settore privato e impiego pubblico: il primo è molto più nettamente rappresentato dal

centrodestra, che tende ad eleggere un numero elevato di parlamentari provenienti dalle

filiere dell’impresa, del management e delle libere professioni; il secondo è invece territorio

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privilegiato del centrosinistra, che non a caso elegge un numero maggiore di funzionari

pubblici, insegnanti e docenti universitari;

3. infine, un numero elevato di politici si mostra oggi più disponibile a lasciare gli scranni

parlamentari se ha la possibilità di ricoprire cariche ritenute evidentemente più importanti

ed influenti: il Parlamento non rappresenta più l’unica arena dove mettere alla prova le

ambizioni di carriera degli aspiranti leader politici e molti preferiscono «scendere» al livello

della politica locale, o «salire» a quello della politica europea.

Capitolo 7 - Regioni e governo locale. Un viaggio verso il federalismo?

FRATTURE TERRITORIALI E COMPROMESSI ISTITUZIONALI - le analisi comparate dei sistemi

politici hanno a lungo classificato quello italiano come un esempio di Stato unitario, in quanto per

lunga parte della sua storia gli indicatori standard del grado di centralizzazione dei poteri e delle

risorse fiscali facevano pendere il nostro sistema dalla parte del modello centralistico. Eppure,

molti elementi del sistema politico italiano originario indicavano un evidente deficit di coesione e di

unità, che si cercava appunto di colmare con la costruzione di un ordinamento giuridico statale

altamente centralizzato:

1. una prima ragione di cautela è connessa alla natura e alla difficile genesi dello Stato italiano: il

processo di costruzione dello Stato italiano fu possibile grazie all’affermazione di un principio di

consociazione tra i gruppi dominanti nelle varie regioni; un processo che appare molto diverso

rispetto al compromesso costituzionale formalizzato in un modello federale, come quello che

caratterizzò la nascita degli USA, ma anche rispetto alla formazione di uno Stato il cui

autorevole potere centrale riuscisse a controllare la periferia tramite la formazione di una solida

amministrazione, cosa avvenuta, con dinamiche secolari, nelle varianti britannica e francese di

costruzione dello Stato.

2. una seconda ragione risiede nel fatto che le unità amministrative, in particolare le

amministrazioni municipali, potevano contare su una tradizionale identificazione popolare, che

fu decisiva in alcuni momenti cruciali della storia del paese.

L’intricato quadro del localismo italiano è stato studiato a lungo, utilizzando metodo diversi e

generando una pluralità di interpretazioni. Proviamo ad indicare le principali «scuole di pensiero»:

• L’approccio basato sulle specificità dei microcosmi territoriali in Italia si è sviluppato nel XX

secolo, grazie al contributo di storici e antropologi, ispirando studi importanti come Le basi

morali di una società arretrata di Banfield (1958). In quest’opera, il concetto di familismo

amorale - la massimizzazione egoistica dei benefici personali e familiari che azzera il senso di

bene pubblico e la cooperazione collettiva - fu considerato un modello diffuso nella vita di molte

comunità del Mezzogiorno italiano; tra le soluzioni indicate da Banfield per fronteggiare la

condizione di povertà culturale e di depressione economica del Sud, troviamo la proposta di

una «devoluzione di quante funzioni di governo possibili, al fine di insegnare alla gente le virtù

dell’autogoverno e, in conseguenza, di un’attitudine sociale positiva».

• Un secondo filone di studi è quello basato sulle macroaree, ed è orientato a scoprire le

differenti eredità storiche e culturali che coesistono nel sistema paese. Anche in questo caso, il

sottosviluppo economico e sociale del Sud è al centro dell’analisi, sebbene le implicazioni dei

vari studi siano abbastanza difformi. 44

• La nozione di capitale sociale ha stimolato molte ricerche, incentrate su tale concetto ma

sviluppate attraverso strumenti metodologici diversi, che hanno messo in luce le differenze tra i

vari sottosistemi politici locali del panorama italiano. Un contributo fondamentale è stato quello

di Putnam (1993) - vedi dopo.

Governo locale dall’unificazione alla Prima Repubblica - Al momento dell’unificazione il

 potere il potere locale risentiva già di una frammentazione estrema che parte da lontano,

ovvero dalle leghe comunale e dalle comunità locali e rurali di epoca medievale. L’età liberale

non aveva cancellato queste specificità: pur senza creare una forma di vera autonomia, nei

primi decennio dello Stato unitario era stato riconosciuto il ruolo del governo locale soprattutto

attraverso i comuni e creando i dipartimenti, il cui significativo potere amministrativo veniva

però ancorato a un forte controllo centrale, esercitato per mezzo dei prefetti, che

rappresentavano il governo nazionale in periferia (modello amministrativo francese).

Su questo sistema di poteri locali, dal quale emergeva seppur lentamente una domanda di

maggiore autonomia (per esempio, nelle richieste del Ppi di una riforma regionalistica), si

abbatté la scure del regime autoritario, che bloccò l’ipotesi di creazione delle regioni e riportò i

sindaci fuori dal circuito rappresentativo, ancorandoli nel 1926,

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A.A. 2014-2015
64 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/04 Scienza politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fire_snk di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Scienza politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Massari Oreste.