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Stato sociale, dotato di apparati burocratici sempre più ampi e costosi, man mano che le grandi

guerre e le crisi economiche hanno creato le condizioni per un’ulteriore espansione del ruolo

dei governi, nel controllare i cicli economici e nel guidare i processi di sviluppo.

Il fenomeno apparve particolarmente grave e minaccioso nel corso degli anni settanta, quando

le capacità dei governi di far fronte ai loro nuovi e maggiori compiti sembravano diminuire,

tanto da far parlare di «crisi di governabilità». Tuttavia, l’asserzione generale di una consistente

espansione dei governi, per quanto riguarda il periodo 1950-1980, è stata smentita dall’analisi

comprata di 13 democrazie occidentali compiuta da Rose (1980), dalla quale risulta che:

a) le leggi approvate dai parlamenti non erano aumentate e le società democratiche non

erano particolarmente condizionate dal peso morto di leggi ormai datate;

b) l’aumento del drenaggio fiscale era stato determinato più dall’inflazione che da

un’espansione della quota del prodotto nazionale destinata al settore pubblico;

c) la grande maggioranza dei dipendenti pubblici non era rappresentata da burocrati

irraggiungibili, ma da funzionari che fornivano in modo diretto istruzione, assistenza

sanitaria e altri servizi ai nuclei familiari;

d) il numero delle istituzioni e delle organizzazioni pubbliche era addirittura diminuito;

e) i programmi pubblici che avevano sperimentato un’espansione non erano stati quelli nuovi,

quanto piuttosto quelli relativi alle politiche pubbliche già ben consolidate ed accettate, che

provvedono alle pensioni, alla sanità e all’istruzione.

A fronte di questa situazione, l’aggressiva reazione di ampi settori di opinione pubblica nei

confronti della presunta crescita del governo e la cospicua affermazione elettorale dei

neoconservatori, in particolare nelle grandi democrazie anglosassoni, si spiegano

probabilmente col fatto che, proprio di fronte al successo degli Stati e dei governi, cresciuti di

ruolo e di peso, nel costruire società più prospere e meglio protette contro le avversità della

vita, alcuni settori sociali hanno acquisito la convinzione di poter fare meglio da soli e hanno

richiesto una riduzione del ruolo dello Stato e del governo. Dove la tradizione individualistica le

strutture partitiche più deboli e le strutture statali meno invadenti, queste richieste hanno avuto

parziale successo. Un ridimensionamento complessivo dello Stato sociale nei regimi

democratici sembra ormai in corso: si vanno ridefinendo confini diversi, più mobili e favorevoli

alla società e all’economia, con il rischio non soltanto in una ridefinizione dei diritti sociali dei 45

cittadini, ma anche di quelli politici e civili. Infatti, poiché sono i settori più svantaggiati della

società a partecipare meno politicamente, se tali settori si espandono la partecipazione politica

scivolerà sempre più in grembo ai ceti sociali che già hanno le risorse necessarie per difendere

ed accrescere le loro posizioni privilegiate.

LE FORME DI GOVERNO - i governi svolgono i loro compiti inseriti all’interno di un sistema

istituzionale complessivo definito «forma di governo». In base al principio della separazione dei

poteri abbiamo:

1. Forme di governo direttoriali (a collaborazione iniziale tra poteri) - il parlamento elegge un

esecutivo collegiale, che poi assume un ruolo indipendente rispetto ad esso. È una soluzione

istituzionale praticata in società nelle quali esistono numerose divisioni etniche, linguistiche,

religiose, come la Jugoslavia comunista e la Svizzera, dove il parlamento bicamerale elegge

un consiglio federale composto da sette responsabili dei dicasteri scelti in modo tale da dare

rappresentanza ai partiti, ai cantoni e ai diversi gruppi linguistici, e la cui durata in carica è un

quadriennio.

2. Forme di governo presidenziali - le funzioni esecutiva e legislativa sono prive di un

istituzionalizzato rapporto fiduciario. Il corpo elettorale elegge sia la rappresentanza

parlamentare che il presidente, capo dell’esecutivo. Il presidente non ha il potere di sciogliere il

parlamento, spesso detto Congresso. A sua volta, il Congresso non può sfiduciare e sostituire il

presidente, ma soltanto metterlo in stato di accusa (impeachment) per attentato alla

Costituzione - misura estrema e rarissima. Il presidente e il Congresso - e, in certa misura, la

Corte Suprema - sono «istituzioni separate che condividono i poteri»: se il presidente introduce

disegni di legge che il Congresso non gradisce, quest’ultimo può dilazionarli, cambiarli o

respingerli; se il Congresso approva disegni di legge che il presidente non gradisce oppure

emenda i disegni di legge del presidente in maniera che il presidente reputa inaccettabile, il

presidente può fare ricorso al potere di veto, parziale o totale.

Il problema maggiore del presidenzialismo è costituito dalla presenza in carica di un presidente

il cui partito non abbia la maggioranza nei due rami del Congresso, il c.d. governo diviso.

Alcuni vi hanno individuato un altro pericolo: quello di un presidente che abbia una solida

maggioranza in Congresso e che, quindi, possa governare schiacciando l’opposizione,

insofferente a controlli e contrappesi (presidenza imperiale). Pertanto, il presidenzialismo è

soggetto a oscillazioni da un eccesso di potere a una carenza di potere, dal massimo di

decisionalità alla paralisi decisionale, che il presidente può cercare di superare in maniera

clientelare, retorica o autoritaria. Naturalmente, taluni di questi effetti possono essere esaltati o

temperati dal sistema partitico: se i rappresentanti osservano una rigida disciplina di partito,

allora sia il decisionismo sia la paralisi decisionale costituiscono rischi veri per la qualità e la

sopravvivenza della democrazia; se invece i rappresentanti hanno grande autonomia di

comportamento, il presidenzialismo funziona a bassi livelli di rendimento qualora di presenti

sotto forma di governo diviso, oppure è soggetto a deboli contrappesi e a pochi controlli

qualora si presenti sotto forma di presidenza imperiale (il caso statunitense). Infine, se il

governo è diviso, il presidente e il congresso entrano in una zona grigia di

competizione/collaborazione tale che l’elettore, chiamato a esprimere il suo voto, non è in

grado di attribuire responsabilità specifiche.

3. Forme di governo parlamentari - la classica forma di governo parlamentare è caratterizzata

dall’esistenza di un rapporto fiduciario, che può essere di tipo naturalistico - come in Gran

Bretagna, dove non c’è un rapporto fiduciario esplicito, poiché la natura omogenea della

società civile e politica, la competizione bipartitica centripeta e la legge elettorale maggioritaria

uninominale portano quasi sempre all’individuazione automatica, dopo le elezioni, di un partito

di maggioranza e di un primo ministro capace di restare in carica per tutta la legislatura - o 46

razionalizzato - quando esistono regole procedurali aggravate per la concessione e la revoca

della fiducia, introdotte nel tentativo di rendere più stabili gli esecutivi in società civili e politiche

più frammentate. Un meccanismo istituzionale molto efficace contro l’instabilità governativa,

teso ad evitare crisi inutili, in cui non c’è un’alternativa credibile di governo, è il voto di sfiducia

costruttivo (Germania, Spagna): la sfiducia nei confronti del capo dell’esecutivo deve essere

palesemente votata da una maggioranza assoluta e seguita da un altro voto ugualmente a

maggioranza assoluta, con il quale si conferisce quella carica a un’altra personalità, pena lo

scioglimento del palamento o una fase transitoria di poteri quasi eccezionali per il capo del

governo sfiduciato. Contribuiscono alla stabilità governativa anche specifiche condizioni

politiche: sistemi multipartitici moderati, caratterizzati da una competizione bipolare centripeta,

la cui formazione può essere soltanto agevolata da apposite leggi elettorali.

Dal punto di vista dei poteri del governo, le forme parlamentari sono suscettibili di tre potenziali

sviluppi ritenuti controversi: il primo, abbastanza raro, è costituito dall’esagerato controllo del

governo sulla maggioranza parlamentare, che può condurre ad eccessi decisionistici (nel caso

inglese questa situazione è temperata da apposite convenzioni parlamentari e da

comportamenti conseguenti dei parlamentari di maggioranza); il secondo consiste nella

tendenza dei governi parlamentari deboli a governare per decreto, sia per tenere insieme la

propria composita maggioranza e obbligarla ad essere disciplinata, sia per troncare i giochi

parlamentari, le lentezze istituzionali e gli ostruzionismi; il terzo, prodotto dall’enorme

importanza assunta dalla comunicazione politica televisiva, è rappresentato dalla cosiddetta

presidenzializzazione della politica.

3.1 Forme di governo semipresidenziali - la nozione è stata introdotta da Duverger per

descrivere quegli ordinamenti che, accanto al rapporto fiduciario tra parlamento e governo,

prevedessero anche l’elezione popolare diretta del capo dello Stato. Non si tratta, tuttavia, di

una forma di governo autonoma, ma una variante della forma di governo parlamentare, della

quale sono presenti tutti i caratteri. Sul piano istituzionale, l’elezione diretta del capo dello Stato

non dice nulla, mentre rileva il parco delle competenze attribuite in particolare al capo dello

Stato ed al governo: in Francia il Presidente della Repubblica gode di ampi poteri e, quando

maggioranza presidenziale e maggioranza parlamentare coincidono, ha una forte capacità di

indirizzo politico e prevale sul primo ministro, da lui nominato; altrove, come in Austria, è una

figura di secondo piano e la forma di governo ha un funzionamento sostanzialmente

parlamentare monista, con prevalenza del primo ministro.

Naturalmente, anche nel semipresidenzialismo le elezioni disgiunte di presidente e parlamento

possono essere causa di esiti differenziati, con il presidente eletto da una maggioranza di

colore diverso da quella prevalente in parlamento: questa situazione che è definita

coabitazione. Tuttavia, si configurano due fattori possibili di temperamento delle tensioni e dei

conflitti possibili in caso di coabitazione:

- Fattore personale, costituito dalle ambizioni di presidente e primo ministro, che si

confrontano e si controbilanciano senza produrre una paralisi politico-istituzionale: volendo

essere rieletto, il presidente non forzerà la coabitazione a sua favore per non apparire poco

rispettoso della volontà dell’elettorato che ha dato la maggioranza parlamentare a partiti

diversi da quelli che hanno sostenuto la sua elezione; volendo probabilmente candidarsi

alla

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A.A. 2014-2015
76 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/04 Scienza politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fire_snk di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Scienza politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Massari Oreste.