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LUCILIO E LA NASCITA DELLA SATIRA
Lucilio fu contemporaneo di Terenzio ed ebbe i suoi stessi protettori di età più avanzata; fu però un equestre, colto e
benestante, capace di scelte audaci in quanto potente. Fu il primo letterato di ceto sociale alto e agiato, originario della
Campania, che si appartò per condurre vita da scrittore. Nacque nel 148 a.C. e morì nel 102, ma alcuni dati – derivanti
da San Girolamo – sarebbero discordanti: pare fosse a Numanzia nel 133 – quando però avrebbe avuto solo quindici
anni – e la sua carriera sarebbe stata precocissima, in contraddizione con Orazio che lo chiamava senex. Si ipotizza che
Girolamo sia stato fuorviato dalla quasi omonimia fra i consoli del 148 e quelli del 180.
Lucilio scrisse trenta libri di satire, di cui oggi restano circa 1300 versi. Nel I secolo a.C. ne circolava un’edizione di Valerio
Catone, dove le opere erano organizzate per metri e non cronologicamente: libri 1-21: esametri dattilici; libri 22-25:
forse distici elegiaci; libri 26-30: metri giambici e trocaici. I singoli libri potevano constare di composizioni uniche o meno,
e pare che nel 130 Lucilio avesse pubblicato quelli oggi compresi fra 26 e 30. Sembrerebbe così che avesse
provocatoriamente accostato l’esametro, il metro dell’epica, a una materia quotidiana; l’esempio verrà poi ripreso da
Orazio, col quale diverrà il metro canonico satirico. Non è certo che il titolo Saturae risalga a Lucilio, giacché nei suoi
frammenti chiama i componimenti sermones; Orazio usa però questo termine per inaugurare il genere letterario, e
ancora si ipotizza che il titolo primitivo fosse schèdia (improvvisazioni). Fonti su Lucilio vengono da Orazio soprattutto
da commentatori tardi, fra cui Nonio Marcello (IV secolo). Le origini del genere che i Romani chiamano satira prevedono
alcune premesse: anzitutto paiono del tutto slegate dal greco satyros, e quindi lontane dai drammi greci accompagnati
da cori di satiri; va invece detto che satura lanx era un piatto misto di primizie offerte agli dei, e che la lex per saturam
era un procedimento giuridico che legava stralci di vari argomenti: si ipotizza quindi che il genere conservasse il
significato di mescolanza e varietà. Così come atellana, il nome non è quindi greco; Quintiliano disse anzi “satura tota
nostra est”, in contraddizione col tentativo di Orazio e altri di legarsi a precedenti greci (come il mordace Aristofane).
L’impulso specificamente romano si inquadra nella necessità degli autori di trovare uno spazio che permettesse
l’espressione di sentimenti e impressioni propri del poeta, diversamente dai generi fino ad allora usati. Fondamentale
era stato qui l’esempio di Callimaco, capace di superare i limiti della tradizione e coltivare una poesia erudita
introducendovi contenuti nuovi, avvicinando raffinate riflessioni artistiche a scenette di vita quotidiana: il canone della
varietà si contrapponeva così a quello uniforme e altisonante dell’epica. Dai frammenti pare che anche Ennio avesse
scritto alcune satire, nelle quali aveva trattato argomenti disparati; ed è verosimile che proprio da queste derivassero
alcune sue notizie biografiche, facendo sì che iniziasse a svilupparsi un atteggiamento di consapevolezza di sé; non è
noto se vi comparissero anche polemiche, invece presenti in Nevio. Diversamente da Ennio, Lucilio pratica la satira in
maniera esclusiva e non come genere minore, trovandovi il migliore mezzo espressivo; ancora, portò alla nascita di un
nuovo pubblico, interessato a una letteratura realista. Per quanto emerge dai frammenti, pare che Lucilio abbia
affrontato un enorme spettro di argomenti. Il libro I conteneva il Concilium deorum: attraverso una parodia – anche
critico-letteraria – dei divini concili dell’epica, si prendeva in giro un tale Lentulo Lupo, inviso agli Scipioni, il quale moriva
in indigestione per volere degli dèi; essi, comportandosi secondo il protocollo senatorio, costituivano quindi un topos
della poesia elevata, contro il quale Lucilio ironizzava. Il libro III trattava un colorito viaggio in Sicilia, secondo un topos
– quello del viaggio – poi ripreso da Petronio.
In più di una satira viene proposto il filone gastronomico: nel libro XXX si raccontava di un banchetto, secondo il tema
della critica del lusso a tavola, mentre nel XX si raccontava di quello tenuto da Granio, antenato letterario di Trimalcione.
Il libro XVI infine pare fosse dedicato all’amata, costituendo un precedente dei carmi di Catullo. Seppure in opposizione
all’enfasi di Accio, anche Lucilio si dedica a riflessioni critico-letterarie (similmente a Callimaco e ai neoterici). Non è
noto se Lucilio rispondesse a un programma poetico organico, né quanto questo fosse legato ai suoi protettori, ai quali
sopravvisse di molti anni; è chiaro però che fu un innovatore vivace e anticonformista. Nelle satire luciliane dovettero
essere importanti gli spunti moralistici di critica al lusso e alla società contemporanea grecizzante; non manca poi un
impegno educativo, che si esprime nel riproporre spunti filosofici nel loro contrasto con la realtà quotidiana. Lo stile,
infine, amalgama quello elevato dell’epica con tecnicismi e linguaggio quotidiano, oltre a un’infinità di grecismi: questa
disarmonia – voluta e ripresa da Petronio – si inseriva nel programma di fondere vita e arte. Lucilio rimase un modello
per i scrittori satirici successivi, e perfino Orazio – che ne critica lo stile – lo consacra quale inventor del genere. Un
aspetto fu però inevitabilmente perduto, giacché la satira luciliana trovava facilmente bersagli in età repubblicana; cosa,
questa, che sarà difficile per Orazio in età imperiale.
LA LETTERATURA FRA I GRACCHI E SILLA
Durante gli anni tra le riforme dei Gracchi e la restaurazione di Silla acquisirono importanza le scuole di oratoria e
retorica, armi politicamente potenti: per questo, nel 92 a.C., i consoli chiusero la scuola popolare di Plozio Gallo, cliente
di Mario – che non chiedeva la conoscenza pregressa del greco né rette elevate – onde evitare vi si formassero abili
oratori popolari. L’insegnamento di questa scuola si ritrova in Rethorica ad Herennium, manuale di autore ignoto – che
influenzerà Cicerone – nel quale lo schematismo greco si presta a esporre la materia oratoria romana. Seppure esistano
pochi frammenti di orazioni anteriori a Cicerone, nel suo Brutus egli traccia una storia dell’eloquenza romana: già gli
appartenenti al circolo degli Scipioni pare fossero abili oratori – con i distinguo fra lo stile grave (gravitas) dell’Emiliano
e quello pacato (lievitas) di Lelio – e veementi e ispirati, invece, i Gracchi (notevole il complimento, data l’opposizione
politica fra Gracchi e Cicerone).
Già prima di Cicerone iniziarono a definirsi due tendenze di gusto nell’eloquenza romana: una asiana, fiorita nelle scuole
dell’Asia minore e improntata su pathos e musicalità; e una atticista, sobria e ispirata all’attico Lisia. Esponenti
dell’asianesimo – che Cicerone distingueva ulteriormente in utilizzatori di frasi sofisticate ininterrotte e ricercatori di
stile tumido e sovrabbondante – furono Caio Gracco, Publio Sulpicio Rufo e Quinto Ortensio Ortalo; si avvicinarono
all’atticismo, invece, Marco Bruto e Gaio Licinio Calvo – eccessivamente raffinato e per questo poco popolare. La
polemica sullo stile derivava da quella che già contrapponeva la scuola di Pergamo a quella di Alessandria: l’una
sostenitrice della teoria anomalista, che considerava il linguaggio libera creazione della consuetudo e si apriva a
neologismi e deviazioni; l’altra, ispirata ai classici, si fondava sulla ratio e sull’analogia e aveva tendenza conservatrice.
Fu analogista Tirannione il Vecchio e anomalista Alessandro Poliìstore; tentò poi di conciliare le tendenze Elio Stilone. A
metà II secolo a.C. a Roma la filologia si affermò come disciplina specializzata: Stilone – maestro di Cicerone e Varrone
– pubblicò e commentò criticamente i testi letterari. Nato a Lavinium nel 150, era un cavaliere legato all’aristocrazia e
si occupò dell’autenticità delle commedie plautine, del Carmen saliare e delle XII tavole. Ottavio Lampadione curò poi
un’edizione di Nevio e Vettio Filocomo una di Lucilio. Nacquero infine opere enciclopediche, in risposta all’esigenza di
comporre informazione erudita. Nell’età dei Gracchi la storiografia divenne invece strumento di analisi politica,
sfruttato da membri degli entourage politici ma mai dai capi delle fazioni. La novità di questa storiografia fu l’abbandono
del metodo annalistico in favore di quello razionalistico, influenzato da Polibio e scelto perché capace di spiegare gli
eventi: Sempronio Asellione, per esempio, riferisce soltanto eventi vissuti in prima persona, dei quali poteva dare notizie
soddisfacenti. Già qualche anno prima, comunque, Celio Antipatro – giurista plebeo raffinato e colto – aveva rotto con
la tradizione precedente, proponendo una trattazione monografica della seconda guerra punica farcita di pathos tragico
e stilisticamente attenta a soddisfare il pubblico: da qui il plauso di Cicerone, che invece criticò lo stile disadorno di
Asellione.
L’autore più interessante fu infine Cornelio Sisenna, filo-aristocratico fautore di Silla, che nelle sue Historiae trattò
solamente vicende contemporanee: ispirato da Clitarco – storico di Alessandro Magno – scrisse una storia romanzesca
e favolosa, in uno stile talmente eccessivo che perfino Cicerone definì puerile. La vena di narratore di Sisenna ben si
esplica poi nelle Fabulae milesiae, racconti licenziosi il cui nome deriverebbe da Aristide di Mileto, iniziatore del genere
poi modello di Petronio e Apuleio. Mentre la storiografia non era praticata quindi da dirigenti, essi – che ritenevano
inconciliabile l’attività politica con gli studi stilistici – iniziarono a scrivere Commentarii sulla propria vita politica,
annotandovi esperienze di vita senza porre alcuna cura nell’esposizione, costruendo materiali poi utilizzati dagli storici
veri; ne scrissero Rutilio Rufo, Lutazio Catulo e perfino Silla. Alcune di queste autobiografie erano una sorta di auto
apologia politica (come quella di Rufo), altre proponevano elementi carismatici (come Silla, che si descriveva investito
dagli dèi): su questi filoni proseguirono poi Lucullo e Augusto. Per gli antichi l’antiquaria si occupava dei caratteri di una
data società, collegandosi però a varie altre discipline e stimolando l’orgoglio nazionale: fra i Gracchi e Silla anch’essa –
come la nuova storiografia – acquisì autonomia e dignità propria. La commedia, invece, dopo Terenzio era