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3. CHE COS’E’ UN CLASSICO?
Classico, per lo scrittore francese Sainte-Beuve nel 1850, è ciò che ha un valore non solo
estetico ma umano e spirituale; è ciò che è contemporaneo in ogni epoca, rispetto a cui sentiamo
di essere venuti tardi. Un vero classico è quindi un autore che ha arricchito lo spirito umano, che è
sembrato per un momento rivoluzionario. Sono classici Molière e Corneille, autori che al loro
tempo era anticonformisti; Shakespeare è “il classico più grande senza saperlo”, un autore isolato
che aveva però il carattere dell’universalità; è un classico ora, ma non lo era al suo tempo. La
necessità di confrontarsi dialetticamente con il problema e di individuare quindi un concetto più
ampio di classicità è all’origine di una riflessione estetica e culturale che interessò anche la
Germania, dove il movimento contro il classicismo tradizionale era stato particolarmente forte.
Hegel esprime una nuova visione di classico, in cui si conferma l’esemplarità della Grecia, vista
però in un senso storico evolutivo. E tuttavia questa perfezione contiene in sé anche l’inizio della
sua dissoluzione. Al periodo classico subentra quello romantico che per Hegel è il momento
cristiano dell’arte che prepara la sua sostituzione attraverso la religione e la filosofia; il
romanticismo sancisce un momento del progresso spirituale che contribuisce però alla fine
dell’arte stessa. Il romanticismo è una percezione interiore ed è la manifestazione più recente del
bello; il classicismo è rivalutato sostanzialmente nella sua originalità appartenente al passato. Nel
corso dell’Ottocento si diffondono anche i termini neoclassico e neoclassicismo, che costituiscono
un tentativo di mediare tra classicismo e la modernità. In Inghilterra il termine Neo-classical appare
nel 1863 per indicare una scuola di ispirazione agli antichi che domina dal Cinquecento al
Settecento. In Francia nel 1861 usa neoclassicisme Baudelaire con intento dispregiativo,
attribuendo all’espressione il significato di qualcosa di ripetitivo e di accademico. In Germania si
usa indifferentemente Klassizismus e Neukassizismus, perché prima del XIX secolo non c’era
stato un vero revival di studio del passato e quindi perde significato l’uso del prefisso Neu. In
Spagna il termine è coniato nel XIX secolo e indica nel complesso la letteratura classicistica di
reazione al barocco del secolo precedente. In Italia è Carducci, attorno al 1880, a utilizzare il
termine neoclassico, in ambito letterario, con una sfumatura positiva di significato. Con esso
Carducci indica la “nuova letteratura” sottolineando lo spirito di rinnovamento presente nella
tradizione tardo-settecentesca. Carducci parla anche di “neoclassicismo nazional”, riconducibile a
Monti, Foscolo, Giordani e avviato da Parini e Alfieri. Neoclassicismo indica in generale,
almeno in Italia, il periodo di tardo Settecento e primo Ottocento dominato da un’istanza di
rinnovamento nel rapporto con gli antichi, studiati con scrupolo filologico. Il XX secolo ha
amplificato il significato di classico e ne ha dilatato i confini. Nella prima parte del secolo emerge
un significato di classico lontano da quello che era stato il classicismo umanistico, legato in parte
alla proposta fortemente critica e distruttiva di Nietzsche, per cui l’antico e il mondo classico non
possono più avere alcuna funzione esemplare. In Italia il termine ha un significato nello stesso
tempo morale e politico, oltre che estetico; in Francia Proust afferma che solo gli innovatori in
letteratura possono diventare dei classici, mentre tale qualifica non potrà mai spettare a nessun
imitatore. Per Proust tutto ciò che è bello e nuovo in arte può definirsi classico. I classici sono vitali
nel presente eppure sono diversi, hanno cioè con il nostro presente un rapporto perturbante, di
familiare estraneità. Henry Peyre sostiene che classico è ciò che rientra in parametri stilistici ed
estetici di equilibrio, armonia, compiutezza; è ciò che corrisponde a una serie di regole e norme.
Qualche anno dopo, riprendeva la questione Thomas Eliot: What’s a Classic? fu pronunciato nel
1944 dall’allora presidente della Virgil Society in un momento in cui l’Europa era dilaniata dalla
seconda guerra mondiale. La domanda presupponeva un’istanza di resistenza alla barbarie e
ricercava nei fondamenti della storia occidentale il senso della civiltà stessa. Eliot intende
individuare una norma ideale classica che deve essere però radicata nella storia e nelle vicende
dei popoli; su queste basi individua come classico assoluto solo Virgilio, l’unico autore che è in
grado di riassumere il genio del popolo. Ci sono per Eliot alcuni elementi propri del classico:
maturità mentale e linguistica e perfezione dello stile riguardano l’epoca in cui lo scrittore vive; le
ragioni della storia, il livello di civiltà dell’epoca, comprensività e universalità riguardano invece
l’opera dell’autore e i suoi lettori, rappresentano la sfera emotiva e affettiva dell’intera umanità e si
rivolgono a uomini e donne di tutti i tempi e di tutte le civiltà. L’unico autore in grado di soddisfare
tutti questi criteri per Eliot è Virgilio, prodotto di una “civiltà matura”, che si basa sull’esempio dei
predecessori che non hanno però esaurito la perfezione artistica e hanno lasciato spazio alla
creatività dei posteri in modo da consentire un equilibrio tra tradizione e originalità. Nel momento in
cui, alla fine della guerra, era necessario immaginare un nuovo ordine culturale in grado di
riaffermare i valori della civiltà europea, Eliot guardava dunque al classico per eccellenza, Virgilio,
al quale affidare il compito di guida ideale dell’Europa. Per Gadamer classico è un concetto
normativo che recupera una legittimità scientifica e la nozione di classico nasce da una
“mediazione del passato con il presente”. Mario Luzi parte dalla constatazione di una perdita di
autorità dei classici e considera infranto il mito della classicità nell’età contemporanea; gli autori del
passato che non hanno più un ruolo riconosciuto di maestri, non propongono più una tradizione
con cui confrontarsi, ma sono sottoposti a un processo di revisione e di riconsiderazione. Ogni
epoca elabora un suo canone e conferisce a un testo lo statuto di classico. Luzi, inoltre, nota che i
classici non hanno più i canoni dell’antichità come chiarezza, armonia, ordine, equilibrio; sono
classici anche gli esponenti di un pensiero dell’angoscia e del turbamento, dell’inquietudine. Anche
Calvino intitolava in modo interrogativo la sua personale inchiesta Perché leggere i classici,
articolata in una serie di domande e di risposte che partivano dalle stesse problematiche poste in
quegli anni da Luzi sulle potenzialità della lettura e rilettura, in prospettiva storica delle diverse
epoche. Il lettore, secondo Calvino, assapora i classici in fasi diverse della vita, li può leggere nella
giovinezza e ancora nell’età adulta, trovando in essi sempre nuovi spunti e nuove suggestioni.
Ogni incontro con i classici è nuovo anche se i libri vengono letti più volte. Per Calvino, i classici
hanno sempre qualcosa di nuovo da dire. Ogni lettore costruisce una sua biblioteca ideale di
classici composta da personali esperienze di lettura. Per Steiner, classico ha una componente
dinamica, che coinvolge profondamente il lettore. Egli approda a una presa d’atto della marginalità
del classico nella modernità; i modi fondamentali del modernismo sono l’effimero, il frammento,
l’autoironia, l’interazione tra cultura alta e popolare. Tutto ciò rende le forme del classico qualcosa
di estremamente difficile da assimilare. John Coetzee nel saggio iniziale di Stranger Shores del
1999 si pone nuovamente la questione Che cos’è un classico? rifacendosi esplicitamente alla
domanda che si era posto mezzo secolo prima Thomas Eliot. L’autore parte dal presupposto che le
grandi opere della letteratura e della musica classiche assumono un significato diverso a seconda
della condizione psicologica, culturale, storica di chi legge un libro o ascolta una musica, del
pubblico di lettori e ascoltatori. Esse sopravvivono perché sono indispensabili in modo diverso
all’uomo per contrastare le barbarie e non. Ripercorrendo i contenuti della conferenza di Eliot del
1944, Coetzee si domanda perché lo scrittore, americano di nascita, adotti la linea eurocentrica
nella quale fa confluire l’intera tradizione occidentale che parte da Virgilio; nota che l’obiettivo di
Eliot era quello di “affermare l’unità storico-culturale della cristianità occidentale europea” e di
configurare la nazionalità nel modo a lui più conveniente, in un tipo di cosmopolitismo cattolico.
Eliot abbracciava una tradizione culturale che lo nobilitava e in qualche modo lo garantiva; e nel far
questo rinunciava alla sua identità di americano per assumere quella inglese. Il discorso sul
classico implica quindi un ripensamento sulle origini e sull’identità. Prevale dunque in questi ultimi
decenni una visione relativa del classico che può avere diverse declinazioni: per Coetzee è
l’assunzione di un fattore identitario globale che ogni individuo declina in base alla propria storia;
per Calvino è una modalità di partecipazione attiva del lettore al sapere e all’esperienza; per
Steiner la crisi del classico è quasi inevitabile nell’epoca contemporanea perché dà il senso della
dissoluzione uscita dalla catastrofe della Shoah, essendo inscindibile dalla storia di ognuno e dalla
storia generale. L’etichetta postclassico indica artisti che guardano al passato, alla memoria e alla
tradizione reinventandole e tornando a cercare un’ispirazione nella classicità intesa come archivio
e patrimonio da sottoporre a nuove rivisitazioni. Anche classico inteso come elemento distintivo
della cultura nazione è un concetto in crisi, perché il valore formativo degli studi letterari in chiave
identitaria nazionale è qualcosa che non appartiene più alla scuola e alla società italiana.
4. QUESTIONI APERTE
Il termine canone deriva dal greco kanon; allude a una unità di misura costituita da uno
strumento di misurazione e indica in generale regola, modello. L’uso metaforico di classico come
esemplare è strettamente legato alle liste di scrittori eccellenti che venivano redatte già dai greci
che ordinavano la tradizione in elenchi, per l