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2. SECONDA PROSPETTIVA: DALL’ORDINE CULTURALE ALLE ORIGINI
SIMBOLICHE DELLA SUA FORMAZIONE: la paura della morte violenta resta
la preoccupazione principale di quelli che hanno scelto ordine e pace. Con il
gesto che li scioglie dalla condizione naturale, i congiurati del patto
esplicitano il fine, la causa finale, che lasciano al sovrano da interpretare.
Scelto dai congiurati del patto, il sovrano è dunque sciolto dai legami sociali
che valgono per tutti gli altri. A differenza dei congiurati non rinuncia a nulla. Il
dio mortale è l’oggetto della paura comune: l’istituzione del sovrano diventa
l’antidoto per la paura. La paura dell’individuo, in un mondo che non gli
consente di appartenere a se stesso per intero, scoraggia dal vivere e deve
essere dominata. L’individuo è dominato e controllato da corpi e forze, ma
anche da affezioni e passioni. Queste spingono gli uomini a seguire chi le
governa, ecco perché il desiderio di potere fa funzionare lo Stato. Solo
davanti a Dio si può rinunciare all’ambizione. A muovere al patto è anche la
passione pacifica della salvezza della vita, che vince tutte le passioni
violente. Ciò non basta a spiegare perché la paura della morte esca dallo
stato di natura. In Hobbes, il desiderio di potere non è in competizione con la
morte, ma con ciò che può sospendere il movimento naturale del desiderio.
L’inganno del senso, effetto necessitato dal limite interno della percezione
sensibile, fa emergere dal simbolico ciò che produce forme di verità e realtà.
Il capovolgimento della passione della paura in paura della passione deve
prodursi in modo da scaturire la funzione sovrana. Produce meraviglia. Dio
mortale o homo artificialis, la persona sovrana costituisce un prodigio. Il
movimento del desiderio si ritrae dinanzi alla morte. Si verifica una
sospensione: la concatenazione di causa effetto si interrompe e non c’è più
spazio oltre la paura. Si chiude lo spazio dell’ordine meccanico e si apre
quello dell’ordine esistenziale, del potere assoluto sulla paura della morte. A
differenza dello spazio caotico della moltitudine, nell’economia della
costruzione politica, la paura della morte violenta non è più un ostacolo.
L’idillio dell’uomo con il mondo si è rotto subito: la conoscenza del bene e del
male(frutto dell’albero della conoscenza) è mortale. L’uscita dal paradiso dei
nostri progenitori somiglia a quella dallo stato di natura: analoga è la paura
che vuole nascondersi ed anche l’intervento del Signore dell’Antico
Testamento e quello del dio mortale che si erge a protezione dell’uomo
rendendone la condizione sopportabile e civile. Il timore che il sovrano incute
ai figli della superbia protegge la loro nudità. Il simbolismo del potere è
umano come passione di tutti, orgoglio che si vorrebbe immortale, ma non si
cancellano le tracce dell’origine concreta della sovranità dalla necessità di
cedere la pretesa all’onniscienza e all’onnipotenza a chi per primo ne ha
rappresentato l’ostacolo.
CAP. 2: L’ARCHITETTURA DELL’ASSOLUTISMO HOBBESIANO
1.IL VISIBILE E IL LEGGIBILE: L’introspezione di cui parla Hobbes
nell’Introduzione al Leviatano ipotizza un ritrarsi in se stesso del soggetto. E’
condizione di intellegibilità e governabilità. Per Hobbes chi governa deve
leggere in se stesso il genere umano, come se si guardasse allo specchio.
Leggibile e visibile hanno in comune l’uomo, che con l’arte crea e governa.
L’arte può per Hobbes interrompere l’inganno del senso e i suoi riflessi, cioè
terrore, impotenza, menzogna. Chi guarda in sé conosce la somiglianza delle
passioni. Hobbes propone il distanziamento dalle stesse questioni che
affliggono o appassionano l’individuo. L’orientamento del leggi te stesso
contrapposto al disorientamento causato dal tentativo di assecondare le
passioni è anche luogo della simulazione in cui ci si rende simili a ciò che
deve essere rappresentato. Il nosce te ipsum perciò ristabilisce un punto di
vista metafisico, tramite il quale trova ricomposizione l’intelligibilità e la
vivibilità del mondo. Rappresentazione visibile e interpretazione leggibile si
incrociano: il visibile deve essere interpretato, il leggibile deve essere
rappresentato. Chi interpreta per il pubblico il testo o la partitura secondo
ragione o verità diventa l’autentico, mentre l’attore sovrano dà espressione,
rappresenta fatti e idee del mondo storico. Le corrispondenze fra arte del
visibile e le sue interpretazioni, e l’artificio concettuale e la sua
rappresentazione, hanno dato forma e movimento all’artificio barocco,
macchina di governo degli uomini. Hobbes riconosce la necessità della difesa
artificiale contro l’immediatezza naturale dei fatti, avvertiti come pericolo.
2.TIMORE E SPERANZA: per Hobbes lo spazio è misura metafisica, cioè
principalmente controllo e confine senza i quali non ci sarebbe ritorno sociale,
né costituzione della dimensione pubblica. Misura è ideazione, la risultante di
un rapporto di forze. L’artefice stabilisce la differenza fra natura, che è neutra,
e lo spazio politico come equilibrio tra il ritirarsi della libertà nel foro interno e
il prodursi dello Stato come foro esterno. Secondo l’assolutismo, lo spazio
politico è definito dalla mutua relazione tra protezione e obbedienza. Unico è
il soggetto dell’azione, colui che rinuncia al diritto su tutto, cioè il suddito. La
rinuncia è uno spogliarsi dell’abito animale o da lavoro, ma è anche rinuncia
all’habitat, alla dimora naturale. Vi è un’attesa, una speranza di occupare e
acquisire un nuovo spazio, che è impegno costitutivo di fede. Colui a favore
del quale ci si spoglia del proprio potere riceve con l’abito solo la rinuncia
all’uso dello stesso. Timore e speranza sono moti dell’animo mobilitati dal
desiderio di conservare la propria natura. Il timore della volontà di non riuscire
a controllare il futuro e la speranza della ragione di organizzarlo
razionalmente, instaurano una sorta di circolarità avvolgente. Funzionano
come simbolo di massa, che vuole vivere più a lungo ed è sempre pronta a
seguire le ragioni che le consigliano di avere o sapere di più. Ciò rende
problematica l’interna conversione di timore e speranza in esterna ragione e
volontà. In Hobbes l’obbedienza al grande uomo è simbolo di massa che
rinuncia e la volontà dei soggetti diventa immaginazione e discorso della
mente. Gli uomini cedono per durare: per essi l’escluso dal patto riveste il
potere irresistibile già riconosciuto all’oggetto prioritariamente lasciato nello
stato di natura. L’atto sintetico della volontà, rinuncia che è atto interno
dell’animo prima che obbligazione a stare ai patti per non diventare preda
della volontà altrui. Per Hobbes non si può parlare di dimensione normativa
prima della costituzione pattizia che nasce insieme allo Stato e non ha
fondamento naturale. Rinunciando alla libertà di scontrarsi, i soggetti hanno
creato lo spazio in cui volontà individuale e azione collettiva coincidono nella
persona che distribuisce torti e ragioni. L’accordo del patto è una falsa
prospettiva in cui le singole volontà arrivano al loro fine nel divenire di
un’unica volontà che le implichi in sé. La generazione del corpo politico dalla
rinuncia di ognuno a governarsi da solo, esprime il senso dell’azione
sostitutiva svolta dalla persona, attore di una rappresentazione. Quando
Hobbes parla del potere assoluto del sovrano, tramite metonimia, inversione,
il sovrano presta allo Stato il suo segno di significato assoluto. Anche
secondo la fisica hobbesiana, il corpo artificiale deve prendere il posto di
quello naturale, perché non possono condividere lo stesso spazio.
L’affermazione della propria sussistenza, nell’iconografia del Leviatano,
anima i corpi che compongono la persona sovrana, la cui azione assoluta si
protende oltre la morte reificante. La sottomissione rinvia a una misura
comune, sostitutiva e sospensiva della propria condizione. Hobbes non mira
a coltivare l’illusione di una sovranità dal corpo immortale. Sul piano
passionale, il sovrano resta attore così da aspirare a prolungare la vita dello
Stato. La funzione mediatrice è fondamentale nell’arte della politica, arte del
centro per eccellenza: da un lato sottomette l’incondivisibile movimento ad
una convenzione etica e a un sistema di regole formali, dall’altro opera una
sospensione del giudizio sui comandi di coloro che hanno il diritto di
comandare. 3.L’APERTURA ALLA TRASCENDENZA: La posizione di Schmitt
riguardo la politica moderna è sintetizzata nel Cristallo di Hobbes: secondo lui
per Hobbes l’ordine politico è potestas directa. La figura a cristallo è un
ordine architettonico pensato come misura dello spazio politico che chiude
religione e potere nella forma autonoma dello Stato moderno. Ordine che
secondo Schmitt può esser letto in 2 direzioni: partendo dall’alto, il
movimento è comandato dall’apertura alla trascendenza, che permette al
sovrano di organizzare lo spazio comune, di decidere tempi e modi di
trasmissione della verità; partendo dal basso, dai bisogni, i sudditi tenderanno
a raccogliersi sotto il segno del culto pubblico di cui sovrano è interprete e
organizzatore. Interpretazione e giudizio recuperano nella storia quella verità
che Hobbes chiama per nome: Jesus is the Christ. Per la prof.ssa Barberi, il
decisionismo di Hobbes esaltato da Schmitt rimane nascosto nelle
corrispondenze di visibile e leggibile. La genesi razionale dello Stato
hobbesiano sembra confermare che a muovere al patto sia proprio il
desiderio di controllare il futuro. Carattere storico dello Stato moderno, la
singolarità, l’unità e l’universalità del potere statale, dipendono dall’autorità
temporale visibile, ma per Schmitt l’autorità di chi fa la legge si fonda sul
potere diretto. Sovranità per Schmitt è decisione. L’ordine architettonico del
cristallo riflette la relazione tra obbedienza e potere, ma anche tra protezione
e autorità. Nella prima si esprime un’allegoria del potere come dominio
caratterizzante il secolo, nell’altra trova espressione simbolica la
rappresentazione capace di rendere visibile l’invisibile. Nella scienza politica
di Hobbes, il potere di interpretare c