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3.LA VENDETTA DEI BUONI A NULLA
1.Fatti intelligente: All’inizio degli anni Novanta la NASA ha destinato cento
milioni di dollari a un programma decennale volto alla ricerca di intelligenza
extraterrestre (Search for Extraterrestrial Intelligence, o SETI). Gli scienziati
dovevano stare in ascolto tramite antenne radio di eventuali segnali che
potessero provenire solo da extra terrestri intelligenti. Com’era prevedibile,
qualche parlamentare ha trovato da ridire. Uno ha obiettato che mettersi a
«cercare ometti verdi con teste di forma strana» rappresentava uno spreco di
denaro federale. Per minimizzare il «fattore ridicolo», la NASA ha ribattezzato
il progetto High-Resolution Microwave Survey. Attualmente esso è finanziato
da donazioni di privati, fra cui Steven Spielberg. Trovare vita intelligente
altrove nel cosmo sarebbe la scoperta più entusiasmante della Storia umana,
ma i biologi hanno l’impressione che gli entusiasti della SETI ragionino a
partire da credenze popolari prescientifiche. Il biologo Ernst Mayr aveva
osservato che solo una fra cinquanta milioni di specie sulla Terra aveva
sviluppato delle civiltà e, quindi, non c’erano molte probabilità che la vita su
un dato pianeta includesse una specie intelligente. In molti casi,
naturalmente, gli animali sono diventati di discendente in discendente più
complessi. Ma in molti altri casi gli animali non sono diventati più complessi.
Gli organismi raggiungono un livello ottimale e si fermano lì, spesso per
centinaia di milioni di anni. E quelli che invece diventano più complessi non
sempre diventano più intelligenti. L’evoluzione è una questione di fini, non di
mezzi. Gli organismi non evolvono verso ogni immaginabile vantaggio. Se lo
facessero, ogni creatura sarebbe più veloce di una pallottola, più potente di
una locomotiva, e in grado di saltare grattacieli d’un balzo. Un organismo che
dedica parte della sua materia ed energia a un solo organo deve sottrarle a
un altro. Deve avere ossa più sottili o meno muscoli o meno uova. Gli organi
evolvono solo quando i loro benefici superano i loro costi. Svantaggi si
troverebbe di fronte qualunque creatura che dovesse decidere se evolvere un
cervello di tipo umano: Primo, il cervello è ingombrante; il cervello richiede
energia (rappresenta soltanto il 2 per cento del peso corporeo ma, quanto a
energia e sostanze nutritive, ne consuma il 20 per cento); Terzo, per imparare
a usare il cervello ci vuole tempo; Quarto, compiti semplici diventano lunghi.
L’intelligenza non fa per tutti, non più della proboscide, il che dovrebbe dare
da riflettere agli entusiasti della SETI. La mente è un organo. Abbiamo la
mente perché il modo in cui essa è fatta dà dei risultati i cui benefici
superavano i costi nella vita dei primati africani del plio-pleistocene. Per
capire noi stessi, occorre capire il come, perché, dove e quando di questo
episodio della Storia. 2. Il progettista della vita: Richard Dawkins ha
sostenuto che la vita, ovunque possa venire trovata nell’universo, sarà
sempre un prodotto della selezione naturale darwiniana. Se come penso, ha
ragione, essa è indispensabile per capire la mente umana. Gli animali vedono
e le rocce no perché gli animali hanno gli occhi. L’occhio ha così tante parti, e
assemblate con tanta precisione, che sembra essere stato progettato fin
dall’inizio con l’obiettivo di mettere assieme qualcosa che vedesse. Lo stesso
vale per gli altri nostri organi. Darwin ha identificato un processo fisico di
causazione in avanti che ha l’aspetto paradossale della causazione
all’indietro, o teleologia. Il trucco si chiama replicazione. Un replicatore è
qualcosa che può fare una copia di sé, con la maggior parte dei suoi tratti
duplicati nella copia, compresa la capacità di replicarsi a propria volta. La
prole ha occhi perché vedevano bene gli occhi dei genitori (causazione in
avanti, ordinaria, giusta). Gli occhi della prole assomigliano a quelli dei
genitori, per cui è facile prendere quel che è successo per causazione
all’indietro. Darwin spiega la comparsa di un progetto senza un progettista
usando la causazione ordinaria, in avanti, applicata ai replicatori. La storia
per intero è questa: In principio c’era un replicatore. I replicatori, per le loro
copie, consumano materia, e, per la replicazione, energia. Il mondo è limitato,
quindi essi devono competere per le sue risorse. Poiché nessun processo di
copiatura è perfetto al cento per cento, saltano fuori degli errori, e non tutte le
figlie sono dei duplicati esatti dei genitori. La maggior parte degli errori di
copiatura si rivelano cambiamenti in peggio, e ne risulta un utilizzo meno
efficiente di materia ed energia, o un ritmo di copiatura più lento, o minori
probabilità di replicazione. Ma, grazie alla cieca fortuna, alcuni errori
rappresentano dei cambiamenti in meglio, e i replicatori che ne sono
portatori, proliferano. Il replicatore che ne risulta, con il suo corpo
apparentemente ben progettato, è ciò che chiamiamo un organismo. La
selezione naturale non è l’unico processo che cambia gli organismi nel
tempo. Ma è l’unico che, nel tempo, apparentemente li progetta. I due princìpi
che hanno finito per essere associati al predecessore di Darwin, Jean-
Baptiste Lamarck, uso e disuso ed ereditarietà dei caratteri acquisiti, non
sono neanch’essi all’altezza del compito. Molte parti degli organismi, è vero,
rispondono adattivamente all’uso: i muscoli esercitati si gonfiano, ecc. Ma
queste risposte sono parte della struttura, frutto di evoluzione, dell’organismo.
Quanto all’ereditarietà dei caratteri acquisiti, è ancora peggio, perché la
maggior parte dei caratteri acquisiti sono tagli, graffi, cicatrici. Un’ulteriore
teoria che non sta in piedi è quella che fa appello alla macromutazione: un
macroscopico errore di copiatura che genera, d’un sol colpo, un nuovo tipo di
organismo adattato. In realtà, per dare all’organismo un occhio deve essersi
accumulata una lunga sequenza di piccole mutazioni. Una quarta alternativa
è la deriva genetica casuale. I caratteri benefici sono tali solo nella media.
Proprio a causa della sua natura fortuita, la deriva casuale non può spiegare
la comparsa di un carattere improbabile e utile come la capacità di vedere o
di volare. Le mutazioni sono del tutto indifferenti ai benefici che apportano a
un organismo. Esse non possono essere adattive in generale. L’altra sfida
viene dai fautori della teoria della complessità, che cerca i princìpi matematici
dell’ordine sotteso a numerosi sistemi complessi: galassie, cristalli, sistemi
meteorologici, cellule, organismi, cervelli, ecosistemi, società. La teoria della
complessità solleva questioni interessanti. La selezione naturale presuppone
che in qualche modo sia venuto fuori un replicatore, e la teoria della
complessità potrebbe contribuire a spiegare quel «qualche modo». Gli
organismi sono macchine, e la loro «complessità» è struttura funzionale,
adattiva: complessità al servizio di qualche obiettivo degno d’interesse. La
selezione naturale resta l’unica teoria che spieghi come possa sorgere la
complessità adattiva: essa è infatti l’unica teoria non miracolosa, rivolta in
avanti, nella quale il buon funzionamento di una cosa gioca un ruolo causale
nel modo in cui si è formata.
Darwin fece notare il potere dell’allevamento selettivo, che è in diretta
analogia con la selezione naturale, nel modellare gli organismi. Le differenze
fra i cani, per esempio (chihuahua, terrier scozzesi, san bernardo), sono frutto
di un allevamento selettivo dei lupi durato appena qualche migliaio di anni. La
selezione naturale si può vedere in azione facilmente anche in natura. Un
esempio classico è quello della farfalla bianca screziata di nero che, nella
Manchester del Diciannovesimo secolo, dopo che la fuliggine delle fabbriche
ebbe coperto il lichene su cui usava posarsi, rendendola troppo visibile agli
uccelli, lasciò il posto a una forma mutante scura. Quando, negli anni
Cinquanta, grazie alle leggi anti-inquinamento, il lichene ridivenne chiaro, la
forma bianca, ormai rara, tornò a imporsi. Due dei prerequisiti della selezione
naturale, abbastanza variazione e abbastanza tempo, sono sotto gli occhi di
tutti. Le popolazioni di organismi che vivono in modo naturale mantengono
un’enorme riserva di variazioni genetiche che possono servire da materia
prima alla selezione naturale. E, per evolversi sulla Terra, la vita ha avuto a
disposizione oltre tre miliardi di anni, e la vita complessa un miliardo, secondo
una stima recente.
Si vuole disperatamente che il darwinismo sia sbagliato. La diagnosi di
Dennett, in L’idea pericolosa di Darwin, è che la selezione naturale implica
che non vi sia alcun piano nell’universo, natura umana inclusa. Un’altra
ragione di tanta ostilità è che chi studia la mente preferirebbe non dover
pensare a come essa è evoluta, perché ciò fa precipitare nel caos teorie
amatissime. Gli sforzi compiuti dagli accademici per impugnare il darwinismo
sono veramente degni di nota. Uno di questi sforzi consiste nel pretendere
che l’ingegneria inversa, il tentativo di scoprire le funzioni degli organi (cosa
che io sostengo si dovrebbe fare con la mente umana), sia un sintomo
dell’«adattamentismo». A quanto sembra, chi crede che qualche aspetto di un
organismo abbia una funzione deve assolutamente credere che ogni aspetto
ha una funzione, che le scimmie sono marroni per nascondersi fra le noci di
cocco. Poiché gli adattamentisti ritengono che le leggi della fisica non bastino
a spiegare la struttura degli animali, si immagina che sia loro sempre vietato
fare appello alle leggi della fisica per spiegare qualsiasi cosa. Un’altra accusa
è che la selezione naturale è uno sterile esercizio di narrazione a posteriori,
ma la complessità organizzata di un organismo è al servizio della sua
sopravvivenza e riproduzione. La selezione naturale non gode della
lungimiranza degli ingegneri, ma questo ha i suoi vantaggi oltre che i suoi
svantaggi: non ha i loro blocchi mentali, la loro scarsa immaginazione, il loro
conformismo nei confronti della sensibilità borghese e degli interessi delle
classi dirigenti. Guidata solo da ciò che funziona, la selezione può giungere a
soluzioni brillanti. Da millenni i biologi vanno scoprendo i geniali apparati del
mondo vivente: la perfezione biomeccanica dei ghepardi, gli steno