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TEORIA DEL MONITORAGGIO DELLO STESSO LIVELLO –

RELAZIONE E SONO DIPENDENTI L’UN L’ALTRO.

Quest’ultima teoria si pone in una posizione intermedia: la consapevolezza è generata da uno stato meta­rappresentazionale, ma lo

colloca allo stesso livello di ciò che sta rappresentando. Queste teoria esercitano la loro influenza anche nel campo

dell’autocoscienza.

I requisiti che sembrano distinguere uno stato mentale autocosciente da uno di cui siamo semplicemente consapevoli sono

l’attribuzione di qualche conseguenza alla consapevolezza di avere una data rappresentazione e l’esperienza di un certo tono

emotivo.

Ragionamento riflessivo ed emotività si dispiegano nello stesso corso. Essere autocoscienti vuol dire attribuire una qualificazione al

fatto di intrattenere consapevolmente certe rappresentazioni. Essere autocoscienti è uno stato mentale di secondo ordine rispetto

all’essere coscienti, in quanto presuppone quest’ultima condizione e fa leva su di essa.

Le due componenti dell’autocoscienza

3. 1. Riconoscimento di sé e ragionamento riflessivo

La percezione della propria consapevolezza (fenomeno tutto­o­niente) avviene in maniera immediata e unitaria. Se siamo

autocoscienti lo si è in modo pieno, altrimenti non si è consapevoli di qualcosa. Se siamo consapevoli di noi stessi tutta la vita

mentale (responsabilità morale, capacità di calcolare) ha luogo, al contrario non siamo responsabili di nulla. Questo modo di

ragionare identifica la consapevolezza di sé con la lucidità.

La consapevolezza è la principale condizione di possibilità della responsabilità che nutriamo verso il significato delle azioni e senza

di essa non sarebbe presente la responsabilità, sia morale che giuridica.

Il senso comune è indeciso se considerare embrioni, feti, scimpanzé e disabili mentali gravi come autocoscienti e non si considera

l’eventualità che un individuo sia autocosciente solo certi punti di vista. Diversi scienziati abbracciano l’aspetto della coscienza come

fenomeno tutto o niente.

Distinguiamo nel concetto ordinario di autocoscienza due nozioni distinte: da una parte, considerare tutte le capacità che hanno a

che fare col riconoscimento di se stessi, e dall’altra, tutte le manifestazioni di un’autentica e complessa vita interiore. Dividiamo

quindi questi fenomeni in due gruppi:

RICONOSCIMENTO DI SE’

RAGIONAMENTO RIFLESSIVO

Il riconoscimento riflessivo è la forma più semplice di autocoscienza e richiede che il soggetto sia capace di riferirsi a sé stesso

tramite uno schema del proprio corpo. Altre forme di riconoscimento di sé riguardano il riconoscimento della propria voce, parti del

corpo, odore ecc. Pratiche come la rasatura o il truccarsi non sarebbero possibili senza questa forma elementare di

consapevolezza. 2. L’articolazione della vita interiore

Il ragionamento riflessivo è una forma più complessa di autocoscienza. Consiste nel fare inferenze tra concetti che si riferiscono a chi

li intrattiene, ovvero la capacità di considerare il ruolo che un concetto ha all’interno della rete riflessiva in cui si trova.

Il pensiero, oltre che ad essere rivolto verso altre persone e eventi del mondo, può essere rivolto verso se stessi. Possiamo diventare

oggetto del nostro ragionamento, ed è questo il ragionamento riflessivo. Se mi attribuisco una proprietà (rissoso, irascibile,

intelligente), sono condotto ad attribuire altre proprietà che riguardano le proprietà che mi sono attribuito. Il

ragionamento riflessivo è la forma più complessa di attività che la nostra mente può intraprendere.

Si potrebbe dire che il ragionamento riflessivo è autocoscienza autentica, mentre quello di sé è il modo in cui funziona la nostra

mente automatica. A differenza della consapevolezza dell’aspetto della nostra faccia o altro, bisogna distinguere il fatto che uno stato

mentale riflessivo ha delle conseguenze e il fatto che noi gliele attribuiamo, al contrario del primo.

Coloro che ritengono che la vita mentale sia concettuale pensano che anche il riconoscimento di sé abbia questa caratteristica, in

quanto si ritiene che per individuare servano dei criteri di identificazione e quindi far leva su dei concetti, ma ritenere che tutta la

conoscenza proceda per concetti è un errore, in quanto ci sono molte forme di conoscenza che non sono concettuali.

La conoscenza non si basa esclusivamente sulla contemplazione del contenuto di certe frasi, ma anche in numerose abilità

operative come allacciarsi le scarpe. Per padroneggiare un concetto bisogna conoscere le proprietà del concetto stesso e saper fare

un confronto con altre proprietà, altrimenti non siamo in grado di esibire la conoscenza in questione.

La distinzione tra conoscenza concettuale e non concettuale vale anche per l’autocoscienza. Essere consapevoli di se stessi è un

modo per conoscersi. Come esiste una conoscenza concettuale e una non concettuale delle altre persone e del resto del mondo,

vale anche per la conoscenza di se stessi. La conoscenza di se stessi mediata dai concetti è il ragionamento riflessivo, mentre la

conoscenza non concettuale di se stessi è il riconoscimento consapevole. Nel complesso il riconoscimento di sé può darsi senza e

con consapevolezza.

3. Devo essere io, perché qui ci sono io

Possono esserci casi in cui il ragionamento riflessivo ha luogo senza il riconoscimento di sé e viceversa. Una paziente di Antonio

Damasio, Emily, era colpita da una forma di prosopagnosia, ovvero non era in grado di riconoscere i volti. Emily però era affetta da

un’autoprosopagnosia, ovvero l’incapacità di riconoscere il proprio volto e non riconoscere la propria immagine. Nonostante ciò Emily

non ha perso la capacità di ragionare su se stessa, conservando il riconoscimento riflessivo.

Sembra quindi che la capacità di riconoscersi possa perdersi, senza che si perda la capacità di fare congetture su se stessi.

Questa dissociazione tra ragionamento riflessivo e riconoscimento di sé suggerisce come il riconoscimento del proprio volto sia una

funzione cognitiva localizzata in una specifica regione del cervello.

4. Modi di essere consapevoli di sé

Il ragionamento riflessivo può darsi anche quando il riconoscimento di sé è compromesso. La dissociazione indica però, che può

avvenire anche il contrario.

Il caso più ovvio riguarda i bambini che diventano capaci di identificarsi prima che siano in grado di articolare un ragionamento su se

stessi. Sono diverse le discussioni tra specialisti riguardo l’autocoscienza dei bambini. Alle tradizionali opinioni come quelle di Freud,

secondo cui la vita mentale dei bambini è situata in uno stato indifferenziato, si contrappone una visione che riconosce nei bambini

una ricca vita interiore e una sorta di consapevolezza di se stessi.

Secondo Neisser nella vita infantile si sviluppa un sé ecologico, che permette al bambino un’interazione con l’ambiente. Questo sé

ecologico non coincide con la consapevolezza di sé, né con la capacità di ragionamento riflessivo. Riguardo quest’ultima incapacità

nei cambini, dipende dal fatto che mancano loro le risorse linguistiche affinché questo ragionamento possa aver luogo. Nei bambini

di 2 anni, il riconoscimento di sé è già sviluppato.

Oltre a dividere la nozione di autocoscienza in concettuale e non concettuale, è necessario distinguerne il lato fenomeno e il lato

psicologico. Essere consapevoli di qualcosa svolge un ruolo nella mente e guida il comportamento. Grazie al fatto di essere

consapevoli, ad esempio, di un pericolo, inneschiamo una serie di ragionamenti che ci aiutano ad uscire da una situazione rischiosa.

Essere consapevoli del proprio aspetto e della localizzazione del proprio corpo si prova qualcosa a livello qualitativo. E’ il lato

fenomenico del riconoscimento di se stessi.

5. Il cervello riconosce il resto del corpo

A sostegno dell’idea che la differenza tra il riconoscimento di sé e il ragionamento riflessivo dipende da due componenti

dell’autocoscienza deriva dalla diversa localizzazione cerebrale delle due funzioni, suggerendo che le funzioni svolte dalle due

componenti sono distinte.

Diversi dati hanno affermato che la capacità di riconoscersi ha luogo nell’emisfero destro.

Gli Specchi

4. 1. Mirror­Molyneux

Gli specchi hanno il potere di generare negli esseri umani la meraviglia su se stessi; da migliaia di anni gli uomini si osservano allo

specchio allo stesso modo.

La diffusione universale degli specchi può far pensare che non siano mai esistiti esseri umani privi della possibilità di specchiarsi.

L’antropologo Edmund Carpenter, visito una tribù della Nuova Guinea e, quando li mise di fronte ad uno specchio, rimasero

paralizzati e spaventati. Dopo l’iniziale disorientamento, nel giro di pochi giorni familiarizzarono con questo nuovo oggetto.

I bambini, se cresciuti in maniera normale si abituano facilmente alla propria immagine allo specchio, altrimenti potrebbero avere un

atteggiamento non completamente umano nei confronti dello specchio. Ci si chiede se un individuo che non conosce il proprio

aspetto si riconoscerebbe osservandosi per la prima volta.

Il riconoscimento di sé basato su informazioni visive statiche, come la fotografia, è diversa da quella dinamica.

Se crediamo che un individuo innocente agli specchi si riconoscerebbe la prima volta che si specchia, allora riteniamo chele

informazioni derivanti dal movimento e della propria figura sono sufficienti a produrre un immagine di sé da garantire il

riconoscimento.

Un esempio riguarda Elena, una scienziata esperta di specchi che sa ogni cosa su ciò che vuol dire specchiarsi. Se si specchiasse

per la prima volta cosa proverebbe? Rispetto alla tribù della Guinea è avvantaggiata e, conoscendo il meccanismo, capirebbe subito

qual è la sua immagine. Proverebbe subito a muoversi per controllare la corrispondenza dell’immagine, utilizzando al meglio le

informazioni visive e propriocettive senza gli specchi, per capire di star guardando se stessa.

Potrebbe stupirsi, sorprendersi o emozionarsi, analogamente a quando si torna in un posto dopo molto tempo, dove si era stati da

bambini. Elena, dalla propria immagine potrebbe afferrare una sensazione che la sola conoscenza di come doveva essere fatta non

poteva darle. 2. Il Test della Macchia

Esistono delle persone che non sono in grado di comunicare le proprie sensazioni, come i pazienti affetti da Locked­in Syndrome,

una patologia in cui l’individuo immobile e incapace di muovere un solo muscolo è tuttavia consapevole di tutto ciò che gli accade

intorno.

Casi come questi, ci spingono a pensare che essere in grado di comu

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
15 pagine
2 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/02 Logica e filosofia della scienza

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MFallout di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia della mente e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Perconti Pietro.