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CAPITOLO III - I DIRITTI DI PARTECIPAZIONE POLITICA NELL’INNOVAZIONE
ISTITUZIONALE INCREMENTALE ITALIANA
Durante la XIII legislatura (1996-2001) l’azione innovatrice era divenuta progressivamente
sempre più intensa. La Commissione bicamerale presieduta da D’Alema venne affiancata
da una rilevante opera di innovazione a Costituzione invariata (le leggi Bassanini) ed al
suo fallimento seguirono una serie di modifiche costituzionali su temi importanti ma
dispersi: l’art. 111 sul giusto processo, gli artt. 48, 56, 57 sul voto degli italiani residenti
all’estero, nel 2001 la riforma del Titolo V, cui si collegava la modifica del 1999 relativa alla
forma di governo regionale.
Durante la XIV legislatura (2001-2006) il II Governo Berlusconi si fece promotore di
un’ampia riforma costituzionale che, se non fosse stata respinta dal referendum
confermativo del 2006, avrebbe investito ben 40 artt. della II parte della Costituzione. Dal
punto di vista comparatistico si trattava di un intervento inusitato, per la valenza
quantitativa e qualitativa delle modifiche; a ciò si affiancavano problemi e dubbi sulla sua
compatibilità con l’assetto democratico-pluralistico e sulla sua efficacia:
- Per quanto riguarda la forma di Stato il progetto vulnerava esplicitamente il circuito
democratico, di cui agli artt. 1, 48, 49, 55, 56, 67 e 94, e con esso i principi supremi che la
Corte Costituzionale ha riconosciuto come indefettibili e immodificabili: tendeva infatti a
respingere la concezione della democrazia di massa, organizzata dai partiti e basata sulla
rappresentanza politica, per sostituirla con un rapporto semplificativo, esplicito e diretto tra
Corpo elettorale e Primo ministro.
- Il rafforzamento del Premier, a scapito di tutti gli altri organi costituzionali, ed in
particolare del Presidente della Repubblica, finiva per rompere ogni equilibrio istituzionale;
allo stesso tempo, egli non poteva contare su una reale capacità di gestione dell’indirizzo
politico, dimezzato da una ripartizione confusa delle competenze legislative tra le due
Camere, di cui una sola legata a lui istituzionalmente. Lungi dall’aver risolto il problema del
bicameralismo perfetto, il progetto introduce un bicameralismo ambiguo.
- Veniva inoltre reso formalmente vacuo il divieto di mandato imperativo, di cui all’art. 67: il
rappresentante veniva infatti vincolato alla sua appartenenza elettorale dal nuovo art. 94.
Il nuovo sistema elettorale in senso stretto, la legge 21 dicembre 2005 n. 270, ha rinviato
sine die la auspicata conclusione della transizione italiana, rivoluzionando le regole di
distribuzione delle carte tra i partiti e nei partiti:
- Per la Camera è stato introdotto un meccanismo basato su formula non maggioritaria,
collegio plurinominale, scheda unica, lista bloccata, premio di maggioranza e clausola di
esclusione a livello nazionale.
- Per il Senato è stato introdotto un meccanismo basato su formula non maggioritaria,
collegio plurinominale, scheda unica, lista bloccata, premio di maggioranza e clausola di
esclusione a livello regionale.
Il confronto con il meccanismo precedente permette di comprendere la portata
dell’innovazione, che rimette in gioco l’intero processo di transizione:
Nel vecchio sistema del 1993 Nel nuovo sistema del 2005
Una pluralità di collegi uninominali I collegi sono sempre plurinominali.
Un collegio nazionale o regionale
plurinominale.
Un premio implicito all’aggregazione. Un premio esplicito all’aggregazione, che
però appare insufficiente per la
governabilità e ha sviluppi differenti per le
due Camere; in sostanza esiste un premio
implicito alla differenziazione, nonostante i
partiti debbano coalizzarsi per il premio e
siano previste soglie di rappresentanza ed
esclusione: essi mantengono il controllo dei
candidati e sono costretti a massimizzare le
distanze per raccogliere i voti dell’elettorato
Un potere partitico implicito, ma con Viene evidenziato un potere partitocratico
possibilità di bilanciamento da parte degli esplicito, che si sostanzia nella previsione
elettori. della lista bloccata, predisposta dai vertici di
partito a livello nazionale o regionale: il
procedimento di preposizione dei
rappresentanti si inserisce nella categoria
della nomina, piuttosto che in quella della
elezione. Le stesse segreterie si lasciano
poi mano libera per la possibilità di
convergere verso il centro e rimettere in
discussione le aggregazioni stipulate in
sede di presentazione delle coalizioni
elettorali.
La permanenza di un rischio di difformità Persiste il rischio di risultati differenti tra le
dei risultati tra le due Camere. due Camere.
Nei collegi si presentavano i candidati Prevista la possibilità di un collegamento in
connessi a partiti a loro volta collegati a coalizione di partiti e gruppi politici, che gli
livello nazionale; il collegamento tra i partiti stessi depositano contestualmente al
era empirico, come gli accordi per le contrassegno e al programma, nel quale
candidature. viene dichiarato il nome della persona
indicata come “capo della forza politica”; i
partiti e i gruppi politici organizzati in
coalizione che si candidano a governare
depositano un unico programma elettorale,
nel quale dichiarano il nome della persona
indicata come ”capo unico della coalizione”.
Altre significative stranezze - L’art. 3 della legge 27 gennaio 2006 n. 22 disponeva che per
le elezioni del 2006 fosse ammessa presso i seggi, per la prima volta nella nostra storia
elettorale, la presenza di osservatori internazionali dell’OCSE. La disposizione, unita alla
richiesta “da terzo mondo” operata da Berlusconi di osservatori ONU, si inquadrava in una
consapevole strategia di innalzamento incrementale della tensione, volta alla
delegittimazione dell’avversario. L’art. 2 della stessa legge prevedeva inoltre, con fini
evidentemente polemici, la rilevazione informatizzata dello scrutinio in un numero di seggi
non superiore al 25% del totale. Ciò che preoccupava non era solo il rischio di eventuali
brogli: per questo intervento era stato utilizzato il decreto legge in una materia coperta da
riserva di legge d’Assemblea; la spesa per la sperimentazione evidenziava il costo
elevatissimo dell’esperimento e di una eventuale completa informatizzazione.
L’epilogo delle elezioni politiche del 2006 fu controverso, non solo per i dati concreti, che
videro il pericolo di una ingovernabilità del Senato. Il risultato fu contestato in vario modo
da esponenti del centrodestra, che volevano mantenere alta la tensione e non concedere
all’avversario l’ammissione della sconfitta. Berlusconi sostenne che le schede contestate
alla Camera erano sufficienti a ribaltare l’esito della partita, ma il caso si fondò
“formalmente” su un errore del Ministero dell’Interno, che aveva sommato le schede
contestate alle bianche e alle nulle. In seguito Tramaglia denunciò gravi irregolarità nelle
operazioni di voto degli italiani all’estero e chiese la ripetizione del voto per questa
categoria di cittadini: la denuncia, seppure realistica, pare colpevolmente tardiva e non
affronta il vero problema dell’incostituzionalità del voto per corrispondenza. Infine Calderoli
dichiarò invece inammissibile il collegamento di una lista regionale autonomista (Lega
Autonoma Alleanza Lombarda) con la coalizione di centro-sinistra, ma il suo intervento
tardivo era palesemente pretestuoso e mirato a riprendere la strategia della contestazione.
Ma le dispute elettorali interessarono anche il centrosinistra: alcune liste (tra cui la Rosa
nel pugno), che avevano ottenuto un risultato inferiore al 3% dei voti nell’ambito delle
singole circoscrizioni regionali per l’elezione del Senato, contestarono l’interpretazione
della legge che le avrebbe escluse dalla ripartizione dei seggi a vantaggio di altre liste di
centrosinistra.
Nel 2008 si è assistito a una decisione comune e “apparentemente” non concordata delle
leadership dei due maggiori partiti: il rifiuto selettivo delle alleanze,mirato alla riduzione del
potere dei partners considerati veto player. Ne è scaturita una apparente semplificazione
del panorama partitico, che - collegata alla formazione di PD e PDL - ha fatto gridare alla
conclusione del riallineamento post-1993. Si è trattato in realtà di un nuovo capitolo del
bipolarismo coalizione centrifugo, che ha forzato all’aggregazione ma che, senza un vero
e proprio collante ideologico-organizzativo, ha iniziato a sgretolarsi rapidamente. Nella ex-
maggioranza di Governo l’aggregazione del PDL è deflagrata nel corso del 2010 a seguito
dei contrasti tra Berlusconi e Fini, che è stato espulso e ha costituito un soggetto politico
nuovo, FLI. Inoltre, i processi di unificazione delle formazioni di partito hanno nascosto la
persistenza di partiti fantasma che, sulla base della normativa relativa al rimborso delle
spese elettorali, percepiscono i rimborsi spalmati annualmente.
Dopo la formazione del Governo tecnico guidato da Monti, al centro della polemica è
tornata la legge elettorale: la sua scandalosa inefficienza, che ha messo in difficoltà due
maggioranze, e la sua palese non rispondenza agli standard di democraticità, hanno
portato alcuni a indicare come necessaria la sua modifica prima di convocare nuove
elezioni. La fine della transizione, dunque, si allontana, ed è riapparso il pericolo della crisi
politico-costituzionale, che in un momento di difficoltà economica potrebbe anche sfociare
in una crisi di tipo societario. La necessità di recuperare un minimo comune denominatore
per affrontare i compiti più urgenti appare evidente: non lo chiedono solo gli investitori del
nostro debito o la stampa estera, ma la ragione.
CAPITOLO IV - LA LEGISLAZIONE ELETTORALE ITALIANA E IL VOTO AI NON
CITTADINI
Storicamente il termine cittadinanza tende ad esprimere lo status caratteristico di coloro
che costituiscono il nucleo individuatore di ogni comunità politica.
La giuspubblicistica tradizionale ha sempre ritenuto parte essenziale del demos i cittadini
politicamente attivi, ovvero il Corpo elettorale, considerato come la parte attiva
dell’elemento personale dello Stato, cui l’ordinamento attribuisce l’incarico di gestire in
modo diretto o indiretto la cosa pubblica. Una simile concezione di demos ha alle spalle
una parte della tradizione classica, ma copre altre alternative che sempre in quella
tradizione sono recuperabili per contrasto. Al demos politico (il popolo costituito dai
cittadini) si contrappone un demos sociale (la popolazione residente in un determinato
territorio) e nello stesso demos politico possono essere individuati membri politicamente
attivi, il cosiddetto demos effettivo (il Corpo elettor