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REGOLAMENTI PARLAMENTARI E FORMA DI GOVERNO
La stessa storia costituzionale italiana e storia della Costituzione repubblicana possono essere analizzate, anche
attraverso i regolamenti parlamentari.
Tali regolamenti sono connessi al regime (ovvero alle norme, ai valori, alle regole e alle strutture d'autorità dove
agiscono i soggetti politicamente rilevanti) e quindi alla cosiddetta Costituzione materiale. I regolamenti parlamentari
costituiscono i principali procedimenti per la produzione delle norme di carattere legislativo e uno strumento per
influire sul tipo di forma di governo. Se con quest'ultima si intendono i rapporti che si stabiliscono tra i supremi organi
costituzionali in relazione alla funzione di indirizzo politico, i regolamenti parlamentari costituiscono il segno concreto
dei rapporti esistenti all'interno delle singole Camere e tra Legislativo ed Esecutivo. Perciò, all'interno della forma di
governo si deve necessariamente tenere conto della conformazione del sistema partitico sia a livello elettorale che a
livello parlamentare. I differenti tipi di partito, all'interno delle diverse forme di stato e di governo, influenzano, in
maniera intensa il funzionamento delle strutture parlamentari in correlazione con le regole interne delle stesse. Riguardo
al caso italiano risulta indispensabile confermare la connessione tra i regolamenti delle assemblee elettive e la storia
costituzionale generale.
Nel 1971 i regolamenti hanno subito un profondo processo di decostruzione e appaiono caratterizzati da una doppia
natura: da un lato indicano il processo di istituzionalizzazione delle strutture parlamentari, dall'altro sono caratterizzati
da forti mutamenti derivanti dai precari equilibri politici.
Le tecniche del diritto parlamentare sono caratterizzate da continuità e nella storia del Parlamento italiano possiamo
individuare diverse fasi:
1. Il modello statuario originale: è la prima fase del diritto parlamentare, è deducibile dal modello monarchico
costituzionale dello Statuto Albertino. Qui il parlamento collaborava con una compartecipazione alla funzione
legislativa all'indirizzo politico del Sovrano.
2. L'interpretazione liberale oligarchica: è rappresentata dall'interpretazione evolutiva della monarchia
rappresentativa nella versione liberale-oligarchica, in cui il Parlamento divenne elemento cardine, di un sistema
caratterizzato dalla ristretta base censitaria e dalla tutela del Sovrano nei momenti di crisi. Qui la vicenda dei
regolamenti parlamentari segue le conseguenze dell'espansione del suffragio universale.
3. Il breve periodo liberale e democratico: questa fase si è aperta alle soglie del 900, con l'assassinio di Umerto I, con
il nuovo regolamento della Camera ed il Decreto Zanardelli. Esplose il suffragio universale maschile e venne introdotto
un sistema a formula non maggioritaria, venne modificata anche l'organizzazione del Parlamento con l'adozione dei
gruppi parlamentari e delle Commissioni.
4. Il periodo autoritario a tendenza totalitaria: aperto dalla legge elettorale Acerbo (2444 del 18 novembre del 1923)
tutte le innovazioni del Regime tesero a modificare il carattere della rappresentanza parlamentare: listone unico,
abolizione dell'elettività della Camera dei deputati e trasformazione di essa in Camera dei fasci e delle corporazioni.
5. Il periodo transitorio e provvisorio della ristrutturazione costituzionale: comprende il regime costituzionale
transitorio della storia del Parlamento repubblicano, con il recupero della normativa dello Stato liberale e democratico
pre-fascista, fino alla formazione di uno Stato dei partiti sregolato.
L'approvazione della Costituzione fu l'ultimo atto dell'unità delle forze antifasciste. I partiti si divisero sulla base di
linee di politica internazionale e interna, dando vita a uno Stato regionale e una forma di governo debole, caratterizzata
da un bicameralismo paritario.
6. La prima fase della storia della Costituzione repubblicana: dopo le elezioni del 18 aprile del 1948, la costituzione
risultò congelata per alcuni anni, vennero applicate rigide convenzioni e nel 1953 il premio di maggioranza. Intorno agli
anni 60 si è assistito allo scongelamento istituzionale e la sconfitta del centro-sinistra. Negli anni 90 c'è stata
l'implosione del sistema partitico italiano.
7. La seconda fase della Repubblica: il periodo ventennale che stiamo vivendo è quello di uno Stato dei partiti
sregolato, ma privo di formazioni strutturate con il doppio difetto di aver perso qualsiasi tipo di partecipazione e di aver
immesso un bipolarismo centrifugo di tipo plebiscitario. Sono gli anni della crisi di regime, della fine della classe
politica tradizionale, dell'avvento di nuovi soggetti e di forze anti-sistema, delle riforme elettorali, della caduta di
Berlusconi e della modifica incisiva del regolamento parlamentare della Camera dei deputati.
Nell'ultimo ventennio ci si è interrogati sui compiti delle assemblee parlamentari nell'ambito dei processi di
integrazione e globalizzazione. Si è individuata una nuova funzione dei parlamenti nazionali, quella di coordinare i
differenti piani delle assemblee elettive, inoltre si è pensato di risolvere la crisi nazionale e del Parlamento attraverso
una riforma dei regolamenti.
Il parlamento tedesco è sempre più attivo in ambito europeo, altri invece rischiano di essere delegittimati date le loro
agende sempre più leggere. Non si può che ribadire l'esigenza di andare avanti nel processo di integrazione politica
continentale, perché il destino dei parlamenti è legato a quello dell'Europa.
IL REFERENDUM ELETTORALE: TRA L'INFANTICIDO E LAZZARO
I sistemi elettorali sono strumenti tecnici di valenza politica che si connettono alla forma di Stato e al regime, influendo
per l’elezione
sulla dinamica della forma di governo. La legge Calderoli di Camera e Senato era parsa ai limiti
dell'incostituzionalità, tanto che sono stati proposti due referendum per abrogarla.
Tra la prima e la seconda fase repubblicana si sono susseguiti due referendum in materia elettorale, quello sulla
preferenza unica nel 1991 e quello sulla quota del proporzionale del Senato del 1993 e la consapevolezza della crisi
politica italiana, aveva convinto alcuni a ripercorrere la via del referendum abrogativo in materia elettorale. Nella
primavera del 2011 lo fecero due promotori: Passigli e Morrone-Parisi. Il referendum Passigli, dopo un buon consenso
iniziale derivato dai sindacati e da lustri intellettuali, venne abbandonato dopo il dibattito interno al PD. Lui proponeva
il ritorno a un sistema basato su formula proporzionalistica e soglia di esclusione del 4%. Invece l'iniziativa Morrone-
Parisi, intendeva abrogare la legge Calderoli in toto, o parzialmente, per ritornare al meccanismo del 1993 attraverso
l'istituto della reviviscenza. Una simile ipotesi aveva davanti a sé la difficoltà del giudizio di ammissibilità.
L'interrogativo principale era se la reviviscenza fosse applicabile all'abrogazione referendaria anche in considerazione
della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia, che aveva espresso una opinione negativa. Infatti si è
evidenziato come la reviviscenza delle norme abrogate da una legge attraverso intervento parziale o chirurgico di un
referendum popolare ponga problemi di logica giuridica e di applicazione concreta.
IL TENENTE DROGO E LA RIFORMA ELETTORALE
Tra il 1993 e il 2012 l'ordinamento politico italiano è stato l'unico ad aver subito per due volte la modifica del sistema
elettorale, senza tenere conto delle incisive modifiche tenutesi a livello regionale (199/2001) e comunale.
Dopo il referendum del 18 aprile del 1993 si passò, dal Mattarellum, un meccanismo maggioritario con ripartizione
speculare dei seggi, al Porcellum (270/2005 del ministro Calderoli), ovvero un meccanismo speculare con soglie di
esclusione e premio di maggioranza alle coalizioni o al partito. Il 2012 si aprì con la sentenza della Corte costituzionale
che dichiarò l'inammissibilità del quesito referendario volto a far rivivere il Mattarellum, attraverso l'abrogazione del
Porcellum.
Il 2012 fu pieno di annunci, ma l'unico risultato raggiunto è stata la legge sui rimborsi elettorali. Essa prevede la
riduzione dei contributi pubblici per le spese sostenute dai partiti e dai movimenti politici, articolandolo come rimborso
delle spese elettorali per il 70% e come finanziamento per il restante 30%. Tutte le altre misure, come l'applicazione
dell'art. 49 della Costituzione (regolazione dei partiti), la riforma costituzionale sull'elezione del Capo dello Stato e la
riforma elettorale, rimasero tutte bloccate.
A gennaio si era parlato di un accordo tra PD e PDL, per la stesura della riforma elettorale, il primo avrebbe dovuto
rifiutare al doppio turno magg. in collegio uninominale, e il secondo al premio di coalizione. Si sarebbe dovuto
reintrodurre la scelta delle preferenze, con il conseguente abbandono della scelta del partito e della coalizione,
caratteristica fondamentale della seconda fase della Costituzione.
Lo sciogliersi del PDL, la crisi della Lega Nord e l'incredibile consenso ottenuto dal M5S ha convinto il PD a
mantenere il sistema elettorale vigente, perché ne avrebbe tratto guadagno da esso. Perciò la legge 270/2005 è stata
mantenuta, nonostante abbia sostituito il principio elettivo con quello di nomina, non assicuri la governabilità e ha un
premio di magg. alto.
NON CI SONO ZONE FRANCHE NELLO STATO DI DIRITTO COSTITUZIONALE.
Nel marzo del 2013, l'ordinanza della Corte di Cassazione di rimettere alla Corte Costituzionale una serie di articoli del
Porcellum, ha costituito un segnale dell'intervento concreto degli organi di controllo interno ed esterno
dell'ordinamento, davanti al blocco dei partiti e del parlamento. C'è chi ha definito questa mossa: sovversiva, attentato
alla stabilità dell'esecutivo, non rispettava le competenze parlamentari in materia elettorale, ecc..
Il problema è che il tema elettorale è stato trascurato dalla dottrina giuspubblicistica. Occorre ricordare che alcune parti
del sistema elettorale, ovvero del meccanismo di trasformazioni dei voti in seggi, sono lasciate alla discrezionalità dei
soggetti politicamente rilevanti, ma altre si connettono alla forma di stato e non possono derogare i principi della libertà
di voto e dell'eguaglianza. Di conseguenza non è possibile, che vengano superati i limiti di ragionevolezza per favorire
la governabilità e che vi deve essere un modo per spingere il legislatore ad adeguarsi ai valori costituzionali.
Nell'ordinanza viene ribadito che le leggi elettorali, non possono sfuggire al sindacato di costituzionalità, non si
tratterebbe di violare la competenza degli organi parlamentari, bensì di verificare la legittimità dello strumento per la
selezione della rappr