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IL DIVORZIO
Il “divorzio” è, insieme alla morte di uno dei coniugi, causa di scioglimento del matrimonio valido. Tale
scioglimento opera ex nunc, e quindi non retroattivamente.
La stragrande maggioranza degli ordinamenti giuridici del mondo ammettono il divorzio o come
“divorzio sanzione” (in ipotesi specifiche di gravi colpe di un coniuge ai danni dell’altro) o come
“divorzio-rimedio”, e cioè per cause tassative di grave e irreversibile crisi del rapporto patrimoniale
(cause oggettive di fallimento del matrimonio).
Si badi: esistono alcuni ordinamenti che ammettono il c.d. divorzio consensuale, ossia il divorzio basato
solo sul mutuo consenso dei coniugi (U.S.A., Svezia, ecc…).
La legge italiana sul divorzio
Il sistema italiano del divorzio appariva un sistema misto fondato sia sull’idea del” divorzio-sanzione”
che sull’idea del “divorzio-rimedio”.
Sotto il profilo del divorzio-sanzione lo scioglimento del matrimonio veniva ammesso:
a) Per la condanna di un coniuge all’ergastolo o alla reclusione superiore ad anni quindici per delitti
non colposi.
b) Per la condanna per il delitto di incesto, violenza carnale, atti di libidine violenti, ratto a fine di
libidine e ratto di persona minore degli anni quattordici o inferma a fine di libidine o di
matrimonio, per induzione o costrizione del coniuge o di un figlio anche adottivo alla
prostituzione, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della
prostituzione di un discendente o di un figlio adottivo.
c) Per la condanna per omicidio volontario in danno di un discendente o figlio adottivo ovvero
tentato omicidio in danno del coniuge o di un discendente o figlio adottivo.
d) Per due o più condanne per i delitti di lesioni personale, e per i delitti di violazione degli obblighi
familiari o maltrattamenti in famiglia.
In questo secondo gruppo di ipotesi è largamente rappresentata anche l’idea del divorzio-rimedio per
rottura irreversibile del rapporto matrimoniale dovuta a cause varie.
• Si ammetteva poi il divorzio dopo 5 anni di separazione legale.
• Il divorzio veniva ammesso subito nel caso di matrimonio non consumato
• Nel caso in cui l’altro coniuge, cittadino straniero avesse ottenuto all’estero l’annullamento o lo
scioglimento del matrimonio, od avesse contratto all’estero nuovo matrimonio.
Si noti che nell’attuale assetto normativo, a seguito delle ll. 436/1978 e 74/1987, il sistema del divorzio
resta misto, ma prevalgono nettamente le ipotesi di “divorzio-rimedio”, per il quale restano ferme le
ipotesi sopraricordate, salva la riduzione da cinque a tre anni del periodo di separazione, e salva
l’aggiunta del caso dell’accertamento giudiziale del mutamento di sesso.
Il procedimento
a domanda di divorzio si propone con il ricorso dinnanzi al Tribunale nel luogo ove il coniuge
L
convenuto ha residenza o domicilio. Nel ricorso dovrà essere indicato, ovviamente, il presupposto in base
al quale si chiede il divorzio, che poi dovrà essere accettato dal Tribunale.
In realtà l’art. 1 della legge sul divorzio affermando che il giudice “accerta che la comunione spirituale e
materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste
dall'art. 3.” ha fatto pensare alla necessità di un duplice accertamento giudiziale: cioè sia quello sulle
cause del divorzio che quello sul venir meno della comunione spirituale e materiale di vita dei coniugi
(estrema difficoltà di tale accertamento).
• Se la domanda è “congiunta” ed indica anche le condizioni concordate inerenti alla prole ed ai
rapporti economici, essa è decisa dal Tribunale con sentenza, sentiti i coniugi, verificata
l’esistenza di presupposti di legge e valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse dei figli.
• Se invece non esiste alcun accorso tra i coniugi, essi debbono comparire dinnanzi al Presidente del
Tribunale che, tentata la riconciliazione, dà i provvedimenti temporanei ed urgenti più opportuni.
Dopodiché il procedimento si trasforma in una normale causa civile contenziosa, da istruirsi e
successivamente da decidersi con sentenza da parte del Tribunale.
In caso di “matrimonio civile”, il Tribunale pronuncia lo scioglimento; in caso di “matrimonio
concordatario”, il Tribunale ne pronunzia la cessazione dei soli effetti civili.
Il divorzio ha effetto dal giorno della annotazione della sentenza, da effettuarsi dopo il suo passaggio
“ingiudicato”. Successivamente a tale momento è possibile celebrare un nuovo eventuale matrimonio,
ovviamente, solo “civile”.
La donna perde il cognome del marito, salva diversa autorizzazione del Tribunale. I procedimenti di
appello e di revisione successiva della sentenza sono proposti e decisi secondo il rito dei procedimenti di
volontaria giurisdizione.
Provvedimenti per i figli minori
La problematica relativa all’affidamento dei figli minori, in generale, è sostanzialmente identica a quella
già esaminata in sede di separazione personale, e ad essa si rinvia.
Vanno, però, menzionate talune particolarità della legge sul divorzio rispetto alla disciplina della
separazione. La legge sul divorzio, dopo aver stabilito che l’abitazione nella casa familiare spetta di
preferenza al genitore cui vengano affidati i figli o con il quale i figli convivano oltre la maggiore età,
dispone poi che “in ogni caso, ai fini dell’assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni
economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L’assegnazione, in
quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente”.
Provvedimenti fra i coniugi
L'art. 5 della legge ordinaria 898/1970 prevedeva che il Tribunale, con la sentenza di divorzio, potesse
disporre, “tenuto conto delle condizioni economiche dei coniugi e delle ragioni della decisione”, l’obbligo
per uno dei coniugi di somministrare all’altro un “assegno periodico”, “in proporzione alle proprie
sostanze ai propri redditi”. Si precisava che nella determinazione di tale assegno si doveva tener conto
“del contributo personale ed economico dato da ciascuno dei coniugi alla conduzione familiare ed alla
formazione del patrimonio di entrambi”.
Si era largamente affermata la concezione c.d. “composita” sulla natura di tale assegno di divorzio,
perché si riteneva che tale assegno avesse triplice natura:
a) Assistenziale, quando doveva servire di mantenimento per il coniuge economicamente debole,
che non godesse di propri mezzi di sostentamento;
b) Compensativa, quando doveva servire a compensare un coniuge del maggior contributo personale
ed economico dato, attraverso l’attività domestica o apporti finanziari o altrimenti, sia alla
famiglia che alla formazione del patrimonio;
c) Risarcitoria, quando, tenendo conto delle ragioni della decisione, cioè delle colpe determinanti lo
scioglimento del matrimonio, doveva servire a indennizzare in qualche modo il coniuge non
colpevole.
I tre profili dell’assegno risarcitorio potevano coesistere insieme, o essere presenti alcuni, e servivano al
giudice per determinare le componenti e l’entità dell’assegno stesso.
Con la riforma della legge sul divorzio del 1987, è stato disposto l’obbligo della somministrazione
dell’assegno divorzile quando un coniuge “non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per
ragioni oggettive”. Secondo l’attuale interpretazione, quando il coniuge ha mezzi adeguati propri, egli
non ha più alcuna tutela sia per compensarlo del contributo dato alla conduzione familiare ed alla
formazione del patrimonio, sia per risarcirlo del comportamento illecito tenuto dall’altro coniuge. Sembra
profilarsi una situazione di diseguaglianza che dovrebbe portare la questione dinanzi alla Corte
costituzionale per violazione dell’art. 3Cost. La sentenza deve stabilire anche un criterio di adeguamento
automatico dell’assegno per l’eventualità della svalutazione monetaria. L’obbligo della corresponsione
dell’assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze.
Vi sono inoltre successive riforme che hanno previsto una serie di norme di grande importanza sociale a
favore del coniuge più debole. Come la conservazione dell’assistenza sanitaria nei confronti dell’ente
mutualistico da cui sia assistito l’alto coniuge, il diritto ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto
di lavoro. REGIMI PATRIMONIALI DELLA
FAMIGLIA
Ai bisogni della famiglia devono provvedere matrimonialmente innanzitutto coloro che vi hanno dato
origine, ossia i coniugi, o coloro che di fatto vivono come se lo fossero.
• A tale riguardo l’art. 143, comma 3, stabilisce che “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in
relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a
contribuire ai bisogni della famiglia”.
• Art. 148 aggiunge che entrambi i coniugi hanno l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la
prole in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o
casalingo.
• La responsabilità dei coniugi per le obbligazioni assunte nell’interesse della famiglia deve
ritenersi solidale e illimitata, ma in parti variabili, proporzionali alle effettive capacità economiche
dei coniugi. Nei rapporti interni essa si ripartisce non in parti uguali ma variabili in relazione alle
effettive possibilità economiche e capacità di lavoro dei coniugi. Lo stesso regime di
contribuzione si può applicare alla famiglia naturale, non fondata sul matrimonio, per la quale
l’art. 261 stabilisce che i genitori hanno verso i figli naturali i doveri che essi hanno nei confronti
dei figli legittimi. Non sussiste dunque un’autonomia patrimoniale della famiglia in quanto la
legge non impone che venga costituito per essa un patrimonio autonomo.
Allo scopo di evitare il più possibile i fastidiosi calcoli derivati dalla ripartizione interna degli oneri
patrimoniali, la riforma del diritto di famiglia ha previsto come regime patrimoniale legale, non più quello
della separazione, bensì quello della “comunione dei beni acquistati dopo il matrimonio”, ex art. 159.
Il regime della comunione dei beni può essere escluso o integrato con apposite convenzioni matrimoniali
(art. 159).
Tali convenzioni sono disciplinate dall’art. 162, c.c.:
“Le convenzioni matrimoniali debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità.
La scelta del regime di separazione può anche essere di