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Un simile risultato poteva apparire soddisfacente, almeno per il momento, a Cavour e ai moderati;

ma certo non accontentava i democratici, pronti a sfruttare le circostanze favorevoli per rilanciare

l’iniziativa rivoluzionaria nel regno delle Due Sicilie, dopo il disastro della spedizione di Sapri,

guidata da Pisacane nel 1857, nel vano tentativo di provocare un’insurrezione contro i Borbone.

Questa volta era la Sicilia ad offrire un terreno fertile per l’iniziativa rivoluzionaria: i mazziniani

Crispi e Pilo, esuli in Piemonte, organizzarono un’insurrezione, che scoppiò a Palermo nei primi

mesi di aprile; mentre Pilo accorse in Sicilia per assumere la direzione del moto, che represso

nella città si diffuse nelle campagne, Crispi, dopo lunghe discussioni, convinse Garibaldi, il

generale più prestigioso del movimento patriottico, ad assumere la guida di un una spedizione nel

Sud. Garibaldi e i suoi Mille, un corpo di volontari di varia provenienza ed estrazione sociale, mal

armati ed equipaggiati ma pieni di passione ed esperienza, partirono dal porto di Quarto tra il 5 e il

6 maggio 1860. Elusa la sorveglianza della flotta borbonica e sbarcati a Marsala, i Mille

penetrarono all’interno e a Calatafimi ottennero una vittoria clamorosa contro un esercito più

numeroso ma mal comandato, mentre il corpo di spedizione veniva ingrossato da nuove reclute e

in contadini insorgevano; i garibaldini espugnarono Palermo, difesa con inettitudine, e Garibaldi,

che allo sbarco aveva assunto la dittatura in nome di Vittorio Emanuele II, proclamò la decadenza

della monarchia borbonica, mentre si formava un governo civile provvisorio guidato da Crispi. Il

successo di Garibaldi era dovuto in larga misura all’insurrezione dei contadini: inizialmente si alleò

con la loro rivolta, abolì la tassa sul macinato e promise la redistribuzione della terra; le iniziative di

riforma, tuttavia, furono subordinate all’esigenza di arruolare truppe attraverso l’odiata coscrizione

obbligatoria e a quella di garantirsi il sostegno dei proprietari terrieri: i contadini si ribellarono e ci

furono episodi di dura repressione. Garibaldi, forte dell’arrivo dal Nord di circa 20mila volontari,

cacciò le truppe borboniche dall’isola; grazie alla benevola neutralità della flotta inglese, sbarcò sul

continente e risalì rapidamente la penisola, senza che l’esercito borbonico, in disgregazione, fosse

in grado di opporgli resistenza. Il 6 settembre Francesco II, esitante, delegittimato e

diplomaticamente isolato, abbandonò Napoli, e il 7 settembre Garibaldi fece il suo ingresso

trionfale nella città. La battaglia decisiva ebbe luogo ad inizio ottobre a Volturno e vide la sconfitta

dell’esercito borbonico, dovuta ad errori strategici dei comandi.

Il re guardò con malcelato favore all’impresa garibaldina, mentre Cavour, che temeva

complicazioni internazionali e vedeva nella spedizione una pericolosa occasione di rilancio per i

mazziniani, ebbe un atteggiamento ambiguo: da una parte mostrò di voler agevolare il buon esito

della spedizione, favorendo l’afflusso di armi e volontari; dall’altro tentò di bloccarne gli ulteriori

sviluppi, suscitando un movimento di opinione pubblica favorevole all’annessione al Piemonte, sia

in Sicilia che a Napoli, nel tentativo vano di strappare l’iniziativa ai democratici. Napoli rischiava di

diventare una roccaforte democratica e la base di partenza per una spedizione nello stato

pontifico, che avrebbe provocato la reazione di Napoleone III e che, in caso di successo, avrebbe

messo in discussione l’assetto monarchico e moderato del regno sabaudo. Non restava altra

scelta che quella di prevenire l’iniziativa garibaldina con un intervento militare: dopo che Cavour

ebbe ottenuto l’assenso di Napoleone III, impegnandosi a non minacciare Roma e il Lazio, le

truppe regie varcarono i confini dello stato pontificio e invasero Marche e Umbria, sconfiggendo le

forze papali a Castelfidardo. Il 25 ottobre 1860, a Teano, Garibaldi cedette le sue conquiste a

Vittorio Emanuele II e partì per Caprera. Tra ottobre e novembre si tennero plebisciti nel Sud, nelle

Marche e in Umbria, che sancirono l’annessione alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele

II. Tali plebisciti, a suffragio universale, furono importanti momenti fondativi del nuovo Stato, in

quanto per la prima volta si chiedeva al popolo di esprimere la sua opinione sul futuro politico del

paese. Bisogna tuttavia tenere conto del fatto che il voto non era a scrutinio segreto, e che quindi

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deferenza verso le élite e controllo sociale furono massicciamente mobilitati a favore

dell’annessione, insieme a brogli e corruzione. Il 17 marzo 1861 il primo Parlamento italiano, eletto

secondo la legge censitaria piemontese, proclamava Vittorio Emanuele II “re d’Italia per grazia di

Dio e volontà della nazione”. Mancavano ancora all’appello Roma e il Veneto.

Il processo di unificazione si compiva in termini straordinariamente rapidi e con modalità non

previste nemmeno da coloro che ne erano stati i principali sostenitori ed artefici. I progetti

democratici, che volevano far sorgere il nuovo stato dalla sola iniziativa popolare, non si erano

realizzati. Né si può dire che il processo unitario sia stato il frutto di una pura “conquista regia” o di

una rivoluzione dall’alto, analoga a quella che poco dopo portò all’unificazione della Germania. E’

invece corretto affermare che l’unificazione nazionale non fu il prodotto di un piano prestabilito, ma

dell’interazione e del conflitto di molte forze:

- in parte fu il prodotto dell’iniziativa diplomatica e militare dello stato sabaudo, di cui Cavour fu il

principale e geniale artefice;

- in parte fu il prodotto di un’iniziativa dal basso: l’unità fu preparata da un ampio moto di opinione

pubblica che coinvolse gli strati più attivi e dinamici della società; a ciò si deve aggiungere il ruolo

essenziale svolto dalle élite dell’Italia centrale nel periodo tra l’aprile del 1859 e il marzo 1860

(uomini come Ricasoli, Farini, appoggiati da un considerevole numero di seguaci, tra cui molti

membri della Società Nazionale, decisero che l’annessione al Piemonte fosse la migliore strada da

seguire per l’Italia centrale e resero in tal modo quasi certa l’adozione della stessa linea da parte

dell’Italia meridionale, contribuendo fortemente all’unificazione nazionale), la spedizione dei Mille

del 1860 e infine i plebisciti;

- l’unificazione, infine, non sarebbe stata possibile se non si fossero verificate circostanze

internazionali favorevoli: la neutralità benevola della Gran Bretagna (favorevole a un’Italia unita e

indipendente, capace di consolidare l’equilibrio europeo), l’isolamento del regno delle Due Sicilie e

dell’Impero asburgico, e soprattutto l’appoggio di Napoleone III.

8 - Donne e Risorgimento

Il ruolo svolto dalle donne nel Risorgimento rimane probabilmente l’aspetto più trascurato della

storia italiana del XIX secolo. Il coinvolgimento delle donne deve essere analizzato in termini di

divisioni sociali: fatta eccezione per i periodi rivoluzionari, le donne della classe operaia e della

piccola borghesia ebbero minori opportunità di coinvolgimento politico attivo di quelle dell’alta

borghesia, a causa delle restrizioni sociali, della mancanza di istruzione e tempo libero, delle

preoccupazioni domestiche e delle pressioni economiche ad esse collegate.

Gli eventi rivoluzionari del 1848-49 e del 1859-60 provocarono un temporaneo crollo di molti dei

vincoli che regolavano il comportamento sociale delle donne. Nei periodi di emergenza, contadine

ed operaie si guadagnarono l’appartenenza a pieno titolo a quelle che le autorità consideravano le

“classi pericolose” e il loro attivismo politico fu percepito da molti con indignazione, come parte

dell’aberrazione e degli eccessi che si verificavano quando il normale ordine del mondo veniva

sovvertito.

In particolare, nel 1846-47 la partecipazione delle donne fu incoraggiata dall’origine

“convenzionale” e dalla natura quasi religiosa del primo nazionalismo, legato alle celebrazioni per

l’elezione di Pio IX, che permisero loro di superare le barriere sociali e culturali al coinvolgimento

nella sfera pubblica: per oltre due anni le donne furono ammesse e incoraggiate a partecipare a

processioni (spesso reggendo il tricolore), Te Deum e altre celebrazioni in onore del papa. La

guerra del 1848-49 contribuì ulteriormente a politicizzare le donne di varia estrazione sociale e

regionale, quando ovunque affollarono le commemorazioni religiose degli eroi caduti in battaglia.

Quando Milano insorse contro gli austriaci nel marzo 1848, le donne della classe operaia furono

direttamente coinvolte nei combattimenti di strada: erano addette alla raccolta e alla distribuzione

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delle munizioni, facevano da staffette, lanciavano pietre e tegole dalle finestre sulle truppe

nemiche, fornivano un servizio di ambulanza per gli insorti (caso singolare di donna combattente:

Luigia Battistotti). Quando venne la guerra, però, la maggior parte delle donne cominciò a ritirarsi

da un movimento che stava diventando incompatibile con il concetto di “femminilità rispettabile”,

concetto sulle cui restrizioni la rivoluzione non aveva esercitato un’azione liberatoria, se non nelle

città teatro di insurrezioni.

Un fattore che limitò l’impatto della rivoluzione sulle donne italiane fu l’analfabetismo, che

interessava circa l’80% di loro: l’emancipazione fu soprattutto una questione di educazione e,

dunque, di classe sociale di appartenenza. Fatta eccezione per i periodi di crisi rivoluzionarie, ci

sono poche prove di un coinvolgimento politico diffuso delle donne della classe operaia; le fonti

scritte noi pervenute, sia di natura patriottica che antirisorgimentale, sono per lo più opera di donne

della borghesia o dell’aristocrazia.

Una fonte primaria scarsamente utilizzata, come la pittura contemporanea, può essere utile a

comprendere il ruolo delle donne nel Risorgimento. Banti ha dedicato molta attenzione ai quadri

storici di artisti protoromantici come Hayez, specializzato in raffigurazioni liriche e solenni: nei

“Vespri siciliani” le donne sono rappresentate come sacerdotesse della patria violata, che incitano

gli uomini a vendicare l’onore nazionale. Diverso è l’approccio di pittori radicali come i

“macchiaioli”, che affrontarono i temi risorgimentali con irriverenza e nuova sensibilità verso la

realtà sociale, aborrendo la retorica nazionalista: ne “Il campo italiano alla battaglia di Magenta” di

Fattori figura il servizio di ambulanza, ruolo chiave svolto dalle donne nei conflitti armat

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Publisher
A.A. 2014-2015
23 pagine
8 download
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fire_snk di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del Risorgimento e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Falco Emilio.