Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
PRANZARE O NUTRIRSI?
Il pasto della SERA, CENA, è a Roma uno dei grandi momenti della giornata.
I convitati non si limitano soltanto a mangiare, ma celebrano un rituale sociale,
quotidiano, fondamentale alla coesione della comunità.
Mangiare e bere nel contesto della cena è soprattutto un’attività culturale,
indipendentemente dal fatto che si tratti della cena di tutti i giorni che riunisce
soltanto i membri della stessa famiglia o del grande banchetto, CONVIVIUM, a
cui sono invitati gli ospiti: amici, parenti, clienti.
Siccome la CENA riguarda sia la salute del corpo che quella dell’anima, i medici
dissertano sulla prima e i moralisti sulla seconda.
Gli uni e gli altri dicono ai convitati quello che devono o possono mangiare e
quello che è loro vietato.
Le diete prescritte da MEDICI bambino allegramente l’una dall’altra; i
MORALISTI s’indignano tutti del lusso o dell’avarizia, della golosità, GULA, e
biasimano quanti usano il pretesto di offrire un banchetto per mostrare le proprie
ricchezze e celebrare il loro io.
I SATIRICI sono bravissimi a mostrare le innumerevoli perversioni delle cene e
dei banchetti.
Mettono alla berlina quelli che si mangiano nel vero senso della parola il
patrimonio per golosità, quelli che stanchi di mangiare piatti raffinati, cercano di
rianimare un appetito vacillante con le stravaganze culinarie, quelli che
prolungano al mattino le grandi bevute guardando danzare i mimi.
La FUNZIONE SOCIALE dei BANCHETTI è troppo seria perché lo Stato non
se ne occupi. 272
I CENSORI:
escludono dall’esercito i cavalieri obesi, e
bollano d’infamia coloro che si rovinano per la gola.
Stendono delle liste di CIBI PROIBITI al di fuori dei giorni festivi,
fissano la cifra massima che si può prendere annualmente per comprare
lardo e salumi.
Le CENE costano sempre di più.
Il popolo vota regolarmente delle leggi suntuarie, ma il fatto che queste vengano
continuamente aggiornate mostra quanto fossero inefficaci.
CESARE arrivò al punto di mandare dei sorveglianti al mercato per sequestrare i
prodotti alimentari proibiti; i soldati entravano perfino nelle case per vedere cosa
veniva servito a tavola durante le cene.
Ma allora, i Romani erano dei mangioni impenitenti, degli incorreggibili golosi?
Niente affatto, anzi.
Generalmente i Romani sono di una grande frugalità.
Non confondono il NUTRIRSI con il BANCHETTARE, come non confondono
il cibo degli uomini con il mangime per gli animali.
Secondo loro, gli animali mangiano soltanto per soddisfare un bisogno naturale,
mentre gli uomini, mangiando, affermano la loro caratteristica di esseri umani.
Per questo gli uomini non possono nutrirsi di frutti selvatici, come le radici o le
ghiande, senza trasformarsi in una specie di bruti animaleschi, ed è anche per
questo che il cibo varia a seconda del luogo, del momento, della personalità di
chi mangia.
Non si mangia al mattino allo stesso modo che alla sera.
Questi diversi modi di mangiare sono organizzati in funzione di due opposte
concezioni dell’alimentazione:
la PRIMA ha il solo scopo di far tornare le forze all’uomo, di curare il
corpo placando la fame; in questo caso il Romano mangia da solo,
rapidamente e in piedi un pasto freddo, frugale. Il soldato si rifocilla la
sera con qualche galletta bagnata nell’acqua; il viaggiatore mangia pane e
273
fichi a casa sua, la mattina o a mezzogiorno; il Romano, per non restare a
digiuno fino a sera, sgranocchia un po’ di pane duro, delle verdure bollite
il giorno prima, una cipolla.
La SECONDA concezione è quella della CENA: cibi migliori, senza
essere per forza ricercati, piatti caldi, una tavola, dei letti, la famiglia o
degli invitati. La cena ha lo scopo di confermare i legami che uniscono
coloro che quella sera dividono lo stesso pasto.
274
NUTRIRSI.
Il PASTO FRUGALE del soldato o del contadino che va a lavorare nei campi
all’alba, o del cittadino che torna esausto a mezzogiorno dal Foro, è anch’esso un
cibo molto elaborato, perché si tratta di pane o polenta.
In effetti, gli alimenti che fanno tornare le forze sono composti da ingredienti
«forti» e «duri», i quali dovranno essere tagliati a pezzi e cotti nell’acqua per
ammorbidirli; soltanto in questo modo lo stomaco potrà digerirli.
Digerire vuol dire trasformare il nutrimento in sostanze vitali grazie anche alla
cottura finale che ha luogo nello stomaco, capace di digerire dei cibi più forti e
quindi più ricostituenti, ma non di digerire un alimento crudo molto duro.
Mangiar crudo significa diventare crudi.
La stessa parola CRUDO indica un cibo insufficientemente elaborato; chi ha
un’indigestione non «cuoce» il cibo nello stomaco, e diventa a sua volta crudo e
selvatico.
Per integrare questi alimenti duri, cioè per renderli digesti, i Romani usano TRE
TECNICHE DI CUCINA:
la manipolazione violenta che spezza l’alimento in piccoli frammenti,
la cottura in acqua e
la putrefazione naturale.
Questi pasti frugali e «forti» vengono cucinati per dare 2 tipi di alimento:
il pane e
la polenta.
Il PANE viene cotto sul focolare, sotto una tegola ricoperta di brace, mentre la
POLENTA cuoce in un paiolo.
Il PANE preparato dai Romani è di 2 TIPI:
impastato o
lievitato. 275
Impastare la farina o aggiungervi il lievito serve a ottenere lo stesso risultato, e
cioè vincere la forza del grano; quest’ultimo è stato dapprima pestato o macinato,
anche se tale operazione non è sufficiente per ammorbidirlo.
Se si cuocesse la farina soltanto con un pizzico di sale, senza impastarla o senza
il lievito, si otterrebbe del pane duro come la pietra.
Impastare vuol dire manipolare violentemente l’impasto, sottometterlo,
spezzarlo; tutte le parole usate dai Romani per indicare l’impastatura mostrando
che si tratta di domare qualcosa di selvaggio, di rendere civile, e quindi di
ammorbidire, qualcosa di duro, di crudo.
Il LIEVITO è una decomposizione ottenuta appositamente che, introdotta
nell’impasto, gli trasmette la sua morbidezza naturale.
Il lievito può essere della pasta lasciata riposare per molto tempo, oppure una
miscela di farina e succo d’uva molto aspro.
Questo pane può essere arricchito, specialmente per i contadini e per gli operai
che eseguono lavori faticosi; si tratta di una pagnotta di pasta di farina cotta sotto
una tegola, nella quale è stato aggiunto formaggio o miele.
La POLENTA è il risultato del grano che si macina «bollendo», cioè che cuoce
in un paiolo con molta acqua.
I Romani ritengono che far bollire è più forte di far cuocere a fuoco lento, e che
quest’ultimo sistema è a sua volta più forte del cuocere arrosto o sulla griglia.
La differenza sta nel fatto che far bollire vuol dire integrare l’acqua, elemento
molto ammorbidente, al cibo; cuocere in pentola fa conservare l’acqua contenuta
in un alimento, mentre cuocere arrosto o alla griglia la fa evaporare tutta.
Per questi cibi frugali non vengono usati né olio, né lardo.
Se si comincia ad usare l’olio per friggere dei dolci al miele o al formaggio, non
si può parlare della frugalità del mattino.
Il normale nutrimento del Romano si riduce a poco se è adulto e in buona saluto;
nemmeno il pane e la polenta sono indispensabili, tranne agli uomini provati da
lavori molto faticosi: è sufficiente un po’ di verdura.
276
Prodotte nell’orto, terreno coltivato il permanenza ed integrato allo spazio
civilizzato, queste verdure sono un alimento veramente civile, anche se cotte
pochissimo: mangiare verdure non trasforma gli uomini in selvaggi.
277
IL RITUALE DELLA CENA.
L’uomo, il cittadino, ha bisogno di poco nutrimento per vivere, ma deve anche
mangiare in maniera meno frugale per mostrare la sua socialità; in tempo di pace;
questo avviene sia in città che in campagna.
La CENA, l’unico vero pasto dei Romani, raduna nella sala da pranzo, il
TRICLINIO, stanza al limite dell’intimità, tutta la famiglia libera, a cui si
aggiungono talora degli invitati.
Quelli che partecipano alla cena di un padre di famiglia sono della sua stessa
estrazione sociale, perché i nati liberi non mangiano insieme ai liberti.
Gli adulti sono sdraiati sui letti, appoggiati sul gomito sinistro, e mangiano con la
mano destra.
Le donne e i bambini sono seduti su delle sedie attorno a una tavola centrale.
Normalmente, una sala da pranzo contiene 3 letti da 3 posti ciascuno; le cene
private accolgono sempre un limitato numero di invitati, a differenza delle feste
pubbliche, durante le quali migliaia di partecipanti banchettano nelle strade.
Il vasellame, spesso di terracotta, ma che può essere d’oro e d’argento, consiste
in: piatti,
scodelle e
coppe.
Ci sono anche delle brocche per il vino e dei crateri per mescolare l’acqua al
vino, visto che questo non si beve puro, ma allungato con acqua, a volte calda e
salata, nella misura di 2 PARTI D’ACQUA e 1 DI VINO, o viceversa.
L’unica posata che viene usata è il CUCCHIAIO; questo significa che tutti i cibi,
in particolare le carni, sono cotti al punto da sfarsi, e spesso le porzioni sono
tagliate prima. s’inserisce
Ogni sera, l’uomo romano in una comunità umana, famiglia, amici,
associazione religiosa, condividendo i piaceri di una cena.
278
Soltanto il celibe sfortunato, la sera in cui non viene invitato o non invita
qualcuno, deve accontentarsi di un pasto frugale, dato che non si celebra una
cena da soli.
Le verdure, condite con olio, costituiscono la cena minima.
La SOLITUDINE è più difficile a viversi della frugalità, soprattutto la sera,
all’ora della socialità.
Il Romano, che ha bisogno di sentirsi inserito in una microsocietà, è avido di
inviti a cena, specialmente se non ha famiglia.
La cena è veramente l’elemento che unisce un po’ gli uomini tra di loro.
Non esiste una collettività che non celebri regolarmente un banchetto.
Questa confidenza creata dall’usanza della cena può diventare pericolosa, perché
l’amicizia fra convitati non è basata sulla stima, ma su una complicità nel
piacere.
I banchetti, inoltre, riuniscono uomini e donne in un’inquietante impunità
notturna.
Si rischia sempre di vedere costituirsi in questi banchetti un’anti-città, una
società del piacere e del crimine: ragione di più per lo Stato di intromettersi nei
banchetti privati, limitando il numero degli invit