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VERSI DOPPI

– Il riferimento è a quei versi (quinari, senari, settenari,...) che, accoppiati, sembrano compe-

tere in ampiezza con l’endecasillabo: in realtà questi sono scissi nettamente dalla cesura

tanto che in alcuni casi vi si registra presenza di rima e vi sono ammesse sillabe soprannu-

merarie e non sinalefe: in questo caso, l’emistichio. Ciò rende la loro ritmica netta e spesso

rigida. Il verso doppio presenta un profilo ritmico subito raddoppiato: gli accenti regolar-

mente ripetuti inclinano alla monotonia e sono lontani dalla varietà dell'endecasillabo. Il

raddoppiamento li assimila ai versi parisillabi.

VERSI PARISILLABI E IMPARISILLABI

– Questa distinzione era già offerta da Dante nel De vulgari eloquentia in cui il poeta proscri-

ve i versi parisillabi perché monotoni. Beltrami nega il valore di questa distinzione riferen-

dosi alla Francia in cui si è opposta la stessa differenza (imparisillabo: vario ≠ parisillabo:

monotono) peccato che in francese sono imparisillabi i versi che in italiano sono parisillabi

e viceversa. Ma la questione si chiarisce se si sostituiscono i due termini con “versi divisibili

o meno in parti uguali tra loro” (per questo Dante avversava anche il novenario, divisibile

per tre): è la divisibilità e la fissità dell’accentazione che rende ripetitivi i parisillabi. Per

quanto riguarda il confronto con il francese di Beltrami è da respingere per quanto riguarda

la percezione dei parlanti: infatti il décasyllabe appare del tutto naturale a un orecchio fran-

cese mentre il suo corrispettivo italiano, l’endecasillabo tronco, sarebbe concepibile solo in

un intento comico-parodico. La confusione nasce dal fatto che non si vuole considerare

l’undicesimo tempo di un endecasillabo italiano: ma ciò va contro al fatto che la cadenza

della nostra lingua sia normalmente piana.

2. L’opposizione pari/dispari

L’alternanza pari/dispari non è priva di significato se passa dalla dimensione versale e ci si interroga

sulle strutture strofiche e sull’articolazione intera dei testi. Il piacere del ritmo, infatti, si fonda sul

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meccanismo della ripetizione e sul senso di rassicurazione e conferma che il ritorno del già noto

comporta. Naturalmente, questo ritorno comporta sazietà nel caso non venga corretto da nuovi

elementi, cioè da un contrappunto che pur accettando l’inevitabile regolarità della ripetizione si

preoccupa di mostrare la ricchezza implicita nell’opposto piacere della variatio. Le forme strofiche

si prestano a essere analizzate in quest’ottica: in esse si assiste alla dialettica incrociata che

possiamo appunto simbolizzare nel rapporto e nello scambio pari/dispari.

Non potendoci soffermare su tutte le strutture, ci rifaremo a una cellula fondamentale, quel-

la del distico che unisce due versi all’insegna della ripetizione semplice: ripetizione della stessa

stringa ritmica e ripetizione dell’omofonia terminale. Non costituisce reduplicazione del distico ma

un diverso schema elementare il raggruppamento della quartina, soprattutto presente nella poesia

non lirica delle origini ed entrata a far parte del sonetto siciliano.

La quartina nel sonetto è l’elemento di un’articolazione la cui specificità risiede nel rapporto

che si istituisce e sviluppa tra schema binario e schema ternario, quest’ultimo rappresentato dai

due terzetti di chiusura. Bisogna sottolineare il passaggio da un ordine binario, più lento ed equili-

brato a uno ternario, più mosso, con tutte le possibili variazioni che ne conseguono.

3. Rima, verso, strofa

L’alternanza delle rime trasmette al discorso un impulso ritmico: se alla regolarità del verso si ag-

giunge in fine di verso un richiamo fonico preciso questo diventa elemento qualificante della strut-

tura e la sua “proposta” innesca l’attesa di una sua “risposta”.

In questo senso la rima baciata (AA) del distico non offre aperture: la sua risposta è imme-

diata e la struttura strofica appare completata dal riproporsi della rima che conferma e chiude.

Questa fissità è sfruttata dalla Cavalla storna di Pascoli perché funzionale alla sua tonalità cupa. È

l’ambito di un ordine pari o binario, ma basta che la rima venga a mancare perché l’impianto ven-

ga subito modificato.

L’eventuale rispondenza alla rima A non del secondo verso (che sarà B) ma del terzo (ABA)

crea infatti una virtuale situazione di “apertura” in cui anche il secondo verso può attendere rispo-

sta chiusura del breve scambio di battute (ABAB). Questa struttura può allungarsi senza che ne

venga meno il carattere: si avranno la sestina e l’ottava “siciliane” a rime alterne, parenti del ri-

spetto toscano e dello strambotto che tuttavia introducono in fine di stanza una rima baciata CC,

cioè un elemento dispari che per la sua diversità timbrica costituisce elemento di chiusura.

La fortuna dell’ottava toscana (ABABABCC) è legata a questa caratteristica, funzionale alla

narratività e alle pausazioni della pratica orale: la struttura infatti garantisce adeguate possibilità di

articolazione ma soprattutto di continuità del discorso. L’ampiezza dell’ottava è tale da poter acco-

gliere un periodo sintattico e infatti spesso finisce con un punto fermo ma è anche tale che, con

un’opportuna distribuzione della materia, può mettere in rilievo un particolare verso. Tuttavia pen-

siamo alla differenza tra l’ottava “stagnante” di Poliziano e a quella “prorompente” di Ariosto: ve-

diamo come lo stesso metro si presta a effetti ritmici diversissimi. È il rapporto con la sintassi a

definire questi elementi.

Abbiamo detto che il verso deve essere considerato nella sua unità, ma questo non vuol dire

non considerare l’organismo di cui fa parte. Il verso compone il materiale linguistico entro una gri-

glia che strutturalmente dipende dall’unità superiore della strofa e da quella complessiva del di-

scorso. L’intonazione ha una sua parte nel determinare il ritmo e questa può essere misurata su un

arco maggiore o minore: si pensi all’enjambement, che istituisce un collegamento tra due versi.

Pensiamo l’architettura discorsiva della poesia barocca più per l’occhio: una lettura verticale che ri-

cerca collegamenti che esulano dalla lettura lineare della prosa sia da quella ritmica del verso per

una considerazione unitaria e sincronica del testo in una forma esasperata di ricerca poetica.

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4. Semantica strofica

Una strofa di ampiezza ridotta, tale che il discorso prosegue oltre il limite strofico ma dotata di un

sistema di concatenazione efficace è la terzina: la mobilità è indotta dal numero dispari dei versi e

dalla rima irrelata che apre ogni nucleo a un apporto successivo. Lo schema ABA attende una ri-

sposta B che è occasione di una nuova apertura perché porta con sé una nuova rima: BCB. Solo

l’aggiunta di un verso isolato, che riprende la rima centrale, consente a un certo punto di chiudere

in pari una scansione ternaria.

Come evidenziato dalla Commedia la terzina si presta a coglier registri diversi e tale strofa è

stata usata variamente nel corso dei secoli: è inutile insistere su distinzioni aprioristiche delle for -

me ritmiche, cercandovi un’implicita definizione semantica. Il significato di queste strutture esiste

solo in relazione alle possibilità musicali cui danno luogo e appare definibile solo nei limiti i fattori

ritmici: fattori importanti, determinati nel dominio musicale, ma in poesia sottomessi comunque al

principio primo della semanticità della parola.

5. Il verso libero

Il dibattito sul verso libero cominciava già in Francia alla fine dell’Ottocento. Luigi Capuana, nel

1899 autore di Semiritmi in realtà poco innovativi, affermava che il poeta aveva fatto bene a libe-

rarsi dalle «pastoie del ritmo»: Pascoli reagì con indignazione, osservando che il ritmo, lungi dal co-

stituire un impedimento di qualsiasi natura, era connaturato al movimento e al suo armonioso di-

spiegarsi. La scelta del verso libero può essere intesa come: atto di orgoglio (o presunzione?), desi-

derio di perfezionamento, volontà di immettere un nuovo apporto nella tradizione. In ogni caso si

vuole operare fuori dalle convenzioni e stabilire una corrispondenza tra sentimento interiore e

espressione verbale che dalle convenzioni non appaia limitata ma che stabilita da sé ogni volta i

criteri più opportuni. Ma questi criteri sono difficilmente definibili. Mengaldo, rifiutandosi di

“legiferare” in proposito, ha parlato di metrica libera (preferendo questa espressione a “verso

libero”) osservando in questa:

Perdita di funzione della rima, che diviene assente o sporadica.

– Libera mescolanza di versi canonici e non canonici.

– Mancanza dell’isostrofismo.

Tynjanov parlava del meccanismo di anticipazione e risposta implicito nell’organizzazione metrica e

considerava che l’anticipazione non conclusa rappresenta un momento dinamizzante, perché il

metro si conserva come impulso ritmico e così ogni irresoluzione dà luogo a un nuovo raggruppa-

mento metrico. Un simile verso era da lui considerato metricamente libero, tale perché il sistema

viene sostituito dal metro come principio dinamico. L’irregolarità ritmica sarebbe riscattata non

dal singolo verso ma la serie che, con la sua compattezza, dà l’«indicazione oggettiva del ritmo del

verso» e della «dinamizzazione del materiale del discorso». Osservazioni importanti ma che ri -

schiano di dissolvere le possibilità di descrizione: infatti, l’impulso ritmico si trasforma in ritmo

solo se assume una qualche forma di regolarità, anche per smentirla; se la dinamizzazione invece si

fonda sull’arbitrarietà degli a capo allora il verso libero si rivela fenomeno non “ali limite della se-

ria” come Tynjanov voleva ma fuori da essa anche se vi allude tipograficamente.

Un ritmo deve esistere ed essere percepibile: nel concreto, la produzione poetica avanguar-

dista non ha portato al sovvertimento minacciato. Non potendo rinunciare al ritmo, i mezzi più

usati per realizzarlo o per alludervi sono:

All’interno di misure libere, versi o segmenti di verso propri della metrica tradizionale.

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L’alternanza di versi lunghi e di versi brevi, che nella loro opposizione e contrappunto

– rimandano all’idea di un paradigma ritmico.

Il ricorso a parallelismi, sia logico-sintattici che prosodici.

– L’uso di assonanze, allitterazioni, rime interne che prendono il po

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A.A. 2014-2015
31 pagine
5 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Armilla di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria della letteratura e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Esposito Edoardo.