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PRINCIPALI OBIETTIVI, ATTIVITA’ E METODI DEL
FASI DEL RE-ENGINEERING RE-ENGINEERING
•
1. ANALISI DEL CLIENTE Capire le esigenze del cliente
• Ricorso ai metodi della ricerca di mercato
•
2. ANALISI DELL’AMBIENTE Tendenze del settore 15
• Benchmarking
• Individuare le aree per migliorare
•
3. GLI STRUMENTI Tecniche di gestione (Just In Time, TQM…)
• Struttura dell’organizzazione
• Politiche di remunerazione
• Uso della tecnologia
•
4. LE GRANDI LINEE Ridefinire la “missione” e gli obiettivi
dell’impresa
• Decidere il flusso, le sequenze principali
dell’attività produttiva
• Decidere chi avrà la responsabilità del re-
engineering
•
5. I DETTAGLI Descrizione delle operazioni che
compongono il core process
• Disegnare la struttura dell’organizzazione;
stabilire chi controlla cosa, definire il layout:
chi-cosa-dove
•
6. MIGLIORARE “Non possiamo fare tutto bene al primo
tentativo. Il miglioramento continuo deve
essere stimolato attraverso
un’organizzazione adeguata”
• Progettare un nuovo sistema di controllo
delle prestazioni
• Progettare i processi di soluzione formale
dei problemi di gestione che si presentano
•
7. IL COLLAUDO “Valutare un progetto di re-engineering non
è molto diverso dal valutare il progetto di un
nuovo prodotto. Ad esempio quando il
progetto di un nuovo aereo è giunto al
termine, prima di costruire il prototipo
occorre sottoporre a verifica il modello”
• Come giustificare il nuovo progetto dal
punto di vista del cliente
• Come giustificare il nuovo progetto nel
contesto della concorrenza
•
8. LA PRESENTAZIONE Il primo passo è lanciare una campagna di
comunicazione informando i managers che
non hanno partecipato al progetto di re-
engineering 16
• Il secondo passo è un test su un “gruppo
pilota” dell’organizzazione
• La fase finale è la presentazione del
progetto all’organizzazione
•
9. L’APPLICAZIONE Due sono i componenti del processo di
applicazione del progetto di re-engineering e
della sua realizzazione: 1) la conversione
dal vecchio al nuovo; 2) gestire la
transizione
Capitolo 8 – Lean management
La produzione artigianale
- “Una forza lavoro altamente specializzata in progettazione, lavorazioni meccaniche e montaggio”. I
lavoratori entravano come apprendisti e imparavano le tecniche di produzione attraverso l’esperienza.
- “Utilizzo di macchine utensili generiche per eseguire trapanatura, molatura e altre operazioni sul metallo e
sul legno”. La macchina era uno strumento che serviva per realizzare il progetto ideato del
proprietario/imprenditore.
- “Produzione molto ridotta: non più di 1000 automobili all’anno”.
Una produzione di questo tipo presentò però dei punti deboli, in primo la mancanza di barriere all’entrata di
nuovi concorrenti; infatti meno di vent’anni dopo la fabbricazione della prima automobile, centinaia di aziende
in Europa e nell’America del Nord sfornavano automobili in piccole quantità con tecniche artigianali.
Il secondo punto debole erano i costi medi di produzione assai elevati che in pratica limitavano grandemente
la domanda potenziale, senza possibilità quindi di allargare il mercato e porre le premesse per economie di
scala.
Un terzo punto debole era nella mancanza di capitali che limitava il campo delle innovazioni.
Infine nella diversità della produzione artigianale è insita la difficoltà di mantenere standards elevati di
qualità.
La produzione di massa
“Il concetto chiave della produzione di massa non era la linea di montaggio in movimento, o continua, ma
l’intercambiabilità completa dei pezzi e la semplicità d’incastro. Queste furono le innovazioni nella
fabbricazioni che resero possibile la linea di montaggio”. Ad esempio, Ford aveva predisposto banchi di
montaggio sui quali era costruita l’intera auto; ogni operaio montava una parte consistente dell’auto prima di
spostarsi a quella successiva.
I vantaggi nei confronti dei concorrenti furono rilevanti. Attraverso l’intercambiabilità e soprattutto
semplificando le operazioni di montaggio, Ford riuscì a ridurre il numero dei montatori qualificati che avevano
sempre rappresentato gran parte della forza lavoro delle imprese automobilistiche. Lo sviluppo delle
produzioni mise però in evidenza i limiti dell’assemblaggio in postazioni diverse. “Camminare, anche soltanto
per un paio di metri, richiedeva tempo e provocava spesso ingorghi quando i lavoratori più veloci superavano
17
quelli più lenti davanti a loro. Il lampo di genio che ebbe Ford nella primavera del 1913 fu l’introduzione della
linea di montaggio in movimento, che faceva passare l’automobile davanti agli operai fermi”.
Lo straordinario successo della produzione di massa trovò un limite invalicabile nella idea tenacemente
perseguita da Ford di produrre in serie tutto quanto. In sostanza Ford non riuscì ad escogitare una forma di
organizzazione che consentisse di accentrare in una sola persona tutta l’attività decisionale.
Mentre Ford aveva costruito pezzo per pezzo il suo impero, William Durant (General Motors) aveva
acquistato una dozzina di imprese automobilistiche (molte delle quali sull’orlo della crisi) e le aveva gestite
separatamente. La concorrenza tra modelli era inevitabile ma l’esplosione della domanda aveva per alcuni
anni nascosto la debolezza dell’organizzazione. La crisi economica del 1920 aveva mandato in rovina
Durant e portò Sloan alla direzione della General Motors.
Sloan aveva di fronte più imprese che avevano una storia diversa, “culture” diverse e prodotti diversi e che in
parte erano concorrenti le une dalle altre. Disporre di più imprese rappresentava un punto di forza, ma allo
stesso tempo anche una debolezza. La soluzione di Sloan fu geniale. La General Motors fu articolata in più
divisioni con una propria direzione generale dotata di tutte le tipiche funzioni di un’impresa. Ogni divisione
aveva un proprio mercato o più mercati. Il coordinamento tra le varie divisioni era realizzato da un Corporate
(amministrazione centrale) dotato anch’esso di specialisti nelle varie funzioni.
L’America nel 1955
I metodi di produzione di Ford da un lato e l’organizzazione divisionale di Sloan furono gli ingredienti
principali del successo dei costruttori americani. A parte pochi costruttori di nicchia (Ferrari, Aston Martin,
Rolls Royce) tutti i costruttori di automobili adottarono metodi e forme di organizzazione simili.
Usciti dai disastri della Seconda Guerra, negli anni ’50 i costruttori europei raggiunsero le scale di
produzione comparabili con quelle delle maggiori industrie americane. Ancora una volta le differenti
condizioni ambientali orientarono la produzione e il marketing in modo diverso.
La prima crisi petrolifera (1973-1975) diede il colpo di grazia all’industria americana, caratterizzata da
automobili di grandi dimensioni e dalle grosse cilindrate. Il forte aumento del prezzo del petrolio fece
tramontare i concetti che erano stati alla base della produzione. L’industria europea, pur piegata anch’essa
dalla recessione economica, si trovò in posizione di vantaggio rispetto a quella americana. Anche per gli
europei si profilava però una nuova, forte, minaccia: i giapponesi stavano sviluppando un modo del tutto
nuovo di fabbricazione, che chiamiamo produzione snella.
Ascesa della produzione snella
Per illustrare le origini della produzione snella partiamo da due tecnici giapponesi, Toyoda e Ohno, che nei
primi anni ’50 dovettero risollevare la Toyota dopo la crisi dovuta alla guerra, ma con un metodo diverso dalla
produzione di massa americana.
L’obiettivo era costruire una grande comunità Toyota della quale i lavoratori erano parte integrante. Per
raggiungere questo obiettivo ai lavoratori fu data una serie di diritti, primo fra tutti la garanzia del posto di
lavoro. Partendo dal presupposto che la forza lavoro rappresentava a breve termine un costo fisso analogo a
quello dei macchinari e delle attrezzature, assicurarsi il contributo dei collaboratori per tutta la vita significava
sfruttare al massimo le loro esperienze e le loro capacità. Per dissuadere gli operai a cambiare impresa,
Toyota introdusse un sistema salariale basato sull’anzianità.
In cambio della garanzia del posto di lavoro, Toyota chiedeva ai dipendenti di essere flessibili
nell’assegnazione dei compiti e di partecipare attivamente al miglioramento continuo della gestione.
Altro principio della produzione di massa non condiviso da Ohno riguardava la correzione degli errori. Nella
catena di montaggio secondo Ford, ogni operaio sapeva che i difetti sarebbero stati corretti alla fine 18
dell’assemblaggio e sapeva anche che ogni interruzione della catena sarebbe stata punita. In questo modo,
una volta che un pezzo difettoso era diventato parte integrante di un veicolo complesso, la riparazione
poteva richiedere un ingente lavoro di verifica. Mentre nell’organizzazione di Ford soltanto il direttore della
catena di montaggio poteva fermarla, Ohno addestrò gli operai delle varie squadre a fermare l’intera linea di
assemblaggio quando si presentasse un difetto o un problema non risolvibile all’istante.
Un altro punto di diversità riguardava il processo di fabbricazione. Mentre i costruttori europei e americani
avevano percentuali di produzione interna che variavano dal 25 al 70%, Toyota aveva scelto fin dalle origini
una politica diversa: soltanto il 15% circa dell’intero processo di fabbricazione di un’automobile era svolto
nello stabilimento di assemblaggio finale. Il rimanente era acquistato all’esterno.
Questa organizzazione aveva il vantaggio di ridurre i costi fissi di Toyota, ma presentava anche molti
svantaggi.
1) I fornitori lavoravano sulla base delle specifiche tecniche fornite da Toyota, ma non avevano possibilità di
suggerire miglioramenti.
2) I fornitori erano messi in concorrenza l’uno contro l’altro al fine di ridurre il loro margine di utile e quindi i
costi per Toyota. In questo modo però essi non erano stimolati a migliorare l’organizzazione o ad investire al
fine di ridurre i costi nel lungo periodo.
3) Le fluttuazioni della domanda di autovetture rendevano non prevedibili gli ordini da parte di Toyota nei
confronti dei fornitori. Costoro si cautelavano accumulando scorte di pezzi finiti. Il risultato era
inevitabilmente un capitale circolante più alto e quindi maggiori oneri finanziari.