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Wittgenstein sia il simbolismo di Russell (principia Mathematica) che
l’ideografia di Frege erano manchevoli sotto diversi aspetti. Per questo indica
nel Tractatus che la proposizione è nella sua essenza una funzione di verità
delle proposizioni elementari. Nel Tractatus Wittgenstein elenca e illustra
alcuni casi in cui la veste segnica del linguaggio comune non si conforma alla
grammatica logica. Un esempio è la parola “è” che può apparire in una
proposizione come copula (Socrate è mortale; la porta è marrone) e come
segno di uguaglianza (L’autore di Re Lear è Shakespeare) o espressione di
esistenza (Dio c’è) in altre. Così nascono per Wittgenstein le confusioni
filosofiche, che potrebbero evitarsi utilizzando un linguaggio segnico, nel
quale si evidenzino con segni differenti i diversi impieghi logico sintattici della
parola “è”. Wittgenstein sosteneva che la filosofia fosse ingannata dal
linguaggio. Il potere che il linguaggio ha di rendere tutto uguale può indurci a
trascurare differenze e distinzioni di grande importanza. Le forme primitive
del nostro linguaggio: sostantivo, aggettivo e verbo, mostrano l’immagine
semplice entro cui il linguaggio cerca di costringere ogni cosa. “Sedia, tempo,
significato, pensiero”, dal punto di vista grammaticale sono tutti sostantivi che
ci inducono a cercare qualcosa (un oggetto, un processo, uno stato) che vi
corrisponda. Al riguardo non cambia nulla nelle opere successive al
Tractatus, “i giochi linguistici quotidiani sono resi tutti uguali dagli stessi abiti
con cui li riveste il nostro linguaggio”. Per essere vera una proposizione deve
anzitutto poter essere vera, e solo ciò concerne la logica. Scoprire quali
proposizioni siano vere o false è compito delle scienze. La logica invece si
interroga sul senso della proposizione, su cosa significhi poter essere vera o
falsa. Ogni proposizione è essenzialmente vera o falsa, questo è denominato
senso di una proposizione. Ciò ci fa comprendere una proposizione anche se
non sappiamo se sia vera o falsa (fuori nevica). Conosciamo ciò che accade
quando una proposizione è vera, ma non necessariamente se è vera o no. La
proposizione può essere vera o falsa solo in quanto immagine della realtà.
(23-28) Il Tractatus inizia con il mondo, non con il linguaggio: “il mondo è tutto
ciò che accade” e solo nelle proposizioni 2.1 e 3.1 si intravede il concetto di
immagine. Per Wittgenstein dare l’essenza della proposizione e l’essenza del
mondo sono i due lati dello stesso compito. “Dare l’essenza della
proposizione è dare l’essenza di ogni descrizione, dunque l’essenza del
mondo”. Il mondo è tutto ciò che accade significa che il mondo non è la
totalità delle cose, ma dei fatti, come il linguaggio non è la totalità dei nomi,
ma della proposizioni. La distinzione tra fatto e cosa è di gran rilievo per
Wittgenstein, ma la grammatica superficiale del nostro linguaggio ci induce a
trascurarla. Per esempio, noi parliamo di qualcosa, ma diciamo anche che
qualcosa avviene. Ciò può spingerci a confondere un nome, una parola o il
significato di una parola (rosso) con la proposizione nella quale occorre
(Questo è rosso). Ciò che è il mondo è dato da una descrizione, non da una
lista di oggetti. Quello che accade è un frammento di ciò che è possibile che
accada. Alla logica interessa solo ciò che è possibile che accada. Una
macchia può non essere rossa, ma deve pur avere un colore. Il fatto che la
macchia non sia rossa è accidentale, casuale. Ma che la macchia abbia un
colore non è accidentale, ciò che è logico deve essere possibile. Nella logica
possiamo scoprire nuovi fatti (oggetto morbido), ma non nuove possibilità
(oggetti senza consistenza). L’insistenza sul carattere accidentale (casuale)
di tutto ciò che accade è uno degli aspetti più caratteristici del Tractatus. La
scienza ha a che fare con ciò che è accidentale. Non c’è un nesso logico per
cui se accade una cosa debba per forza seguire qualcos’altro. Noi facciamo
previsioni legate alle nostre esperienze passate, ma non sappiamo se ciò
accadrà davvero. Mossi da timore e speranza 2 tra i maggiori nemici
dell’uomo (così scrisse Goethe nel Faust), tentiamo di guidare gli eventi del
mondo perchè accada ciò che desideriamo e non ciò che temiamo. Ma
questo non basta a scalfire l’accidentalità di tutto ciò che accade. Le ultime
considerazioni del Tractatus risalgono al 1916. Wittgenstein si chiedeva quali
fossero i segni di una vita buona e giusta. Egli crede di trovare una risposta in
Dostoevskij: la vita buona e giusta è la vita felice, vissuta da chi è in armonia
con il mondo, da chi non ha bisogno di un fine fuori della vita. Poi sostiene
che felice (buona e giusta) è la vita che può rinunciare ai piaceri del mondo,
perché questi sono grazie del fato e quella che lo è nonostante le miserie del
mondo. Non è felice la vita che rinuncia ai piaceri del mondo, ma quella che
può rinunciarvi. Nella logica nulla è accidentale (2.012). Secondo la prop. 2,
un fatto è il sussistere di uno o più stati di cose, nessi di oggetti, interconnessi
tra loro come le maglie di una catena. Ogni oggetto ha delle possibili
combinazioni. Gli oggetti non sono indipendenti in modo assoluto. Una
macchia può essere indipendente dal fatto di essere rossa, ma non dal dover
possedere un colore.
(29-36) Se il mondo non avesse una sostanza, se non vi fossero oggetti
semplici, le nostre proposizioni non avrebbero senso e quindi non vi
sarebbero proposizioni. Per il Tractatus il significato di un nome è l’oggetto
per il quale quel nome sta. Wittgenstein rifiuta in maniera netta la concezione
di Frege secondo cui una proposizione come “Ulisse sbarcò a Itaca”, una
proposizione in cui compare un nome (Ulisse) che non designa qualcosa di
realmente esistente non sarebbe né vera né falsa, pur avendo senso. Per
Wittgenstein tali proposizioni non hanno senso. Quindi o ammette che molte
delle nostre non sono proposizioni, ma ne hanno solo l’apparenza o dimostra
che le proposizioni né vere né false di Frege sono, come tutte le proposizioni
vere-false. “A Farsalo Cesare sconfisse Pompeo”. La proposizione ha senso.
Ma se Cesare non fosse mai esistito, la proposizione non avrebbe senso,
perché il nome sarebbe privato del suo significato. Una proposizione non può
dipendere dalla veridicità di molte altre (Cesare è esistito, Pompeo è esistito,
ecc), perchè non potremmo progettare un’immagine del mondo (vera o falsa)
e saremmo costretti a trattare la logica come qualche sorta di scienza.
Affinché le proposizioni abbiano un senso e poiché esse hanno un senso,
occorre ammettere che i nomi che in essa compaiono si riferiscono a oggetti
semplici, ciò che possiamo designare senza essere costretti a temere che
forse non esistano. Il Tractatus non ci spiega cosa sono e quali sono gli
oggetti semplici. Nelle opere successive, Quaderni e Ricerche Filosofiche
Wittgenstein considera la questione degli oggetti semplici come
esclusivamente logica. La proposizione è un’immagine della realtà e per
avere un senso è vera-falsa: può concordare o discordare con la realtà solo
essendo un’immagine di uno stato di cose. Un’immagine è una connessione
di elementi, che si trovano in una determinata relazione l’uno con l’altro. E’ un
fatto, che deve avere in comune con la realtà, correttamente o falsamente, la
forma logica. L’immagine deve quindi avere in comune qualcosa con il
raffigurato. E’ escluso che possa essere vera a priori in quanto rappresenta
l’oggetto dal di fuori, proprio per questo correttamente o falsamente. Per
sapere se un’immagine è vera va confrontata con la realtà. L’immagine non
può raffigurare la propria forma di raffigurazione, perché dovrebbe, per
assurdo, guardarsi dal di fuori. L’immagine logica dei fatti è il pensiero. Il
pensiero contiene la possibilità della situazione che esso pensa. Ciò che è
pensabile è anche possibile. La proposizione può rappresentare la realtà
tutta, ma non può rappresentare ciò che deve avere in comune con la realtà
per poterla rappresentare, la forma logica.
(37-42) La proposizione elementare è la più semplice. Nell’analisi delle
proposizioni dobbiamo pervenire alle proposizioni elementari. Si sa a priori
che le proposizioni elementari ci sono, non quali sono. Nessuna altra
proposizione elementare può essere in contraddizione con essa. Le
proposizioni che si contraddicono possiamo scomporle in altre proposizioni,
quindi solo quelle complesse possono contraddirsi. L’indipendenza logica
delle proposizioni elementari fu una delle prime tesi del Tractatus che
Wittgenstein mise in discussione nelle opere successive. Proposizione
complessa: “Paolo è infreddolito e Giorgio è impaurito”. Le due proposizioni
semplici sono unite da “e”, denominato connettivo logico o costante logica.
Quando si ha a che fare con proposizioni complesse la grammatica
superficiale può occultare la forma reale del linguaggio (“Alberto legge il
giornale in treno” è la congiunzione di “Alberto è in treno e Alberto legge il
giornale”). Nel Tractatus Wittgenstein affronta travestimenti più complicati.
Comunque per Wittgenstein la proposizione è una funzione di verità delle
proposizioni elementari. La proposizione complessa dell’esempio è formata
da 2 elementari e possiamo avere differenti casi; una vera e l’altra falsa,
entrambe vere, ecc. La possibilità di verità e di falsità (il senso) di una
proposizione complessa dipende dalle possibilità di verità (dal senso) delle
proposizioni elementari che la compongono. Le costanti logiche ci mostrano
in quale modo le possibilità di verità delle proposizioni elementari
condizionano le possibilità di verità delle proposizioni complesse. Quando
connesse da “e, solo se entrambe le proposizioni semplici sono vere la sarà
anche quella complessa. Quando connesse da “o” basta che una delle due
sia vera. A differenza di Russell, le costanti logiche non impersonano nella
proposizione alcun oggetto logico. Ciò per il rifiuto di