Sunti di teoria dei linguaggi, prof Pietro Perconti libro consigliato Luigi Perissinotto, Wittgenstein una guida
Anteprima
ESTRATTO DOCUMENTO
volontario nell’esercito austriaco, prima come soldato semplice e poi come
ufficiale e nel 18 fu fatto prigioniero a Cassino, dove rimase per 1 anno. Sua
intenzione era quella di scoprire chi fosse in verità trovandosi faccia a faccia
con la morte. Dai Quaderni 1914-1916 emerse progressivamente il Tractatus.
Il testo è un insieme di 7 proposizioni (Satze), precedute da una breve ed
intensa prefazione, datata Vienna 1918. La proposizione 7 “su ciò, di cui non
si può parlare, si deve tacere” conclude l’opera, ribadendo il tema introdotto
dalla prefazione. Ognuna delle 6 proposizioni è seguita da una serie di
proposizioni più o meno lunghe, ordinate e numerate. La 1.1 è un commento
alla 1, la 4.12 è il secondo commento alla 4.1, la 4.127 è il settimo commento
alla 4.12, ecc. Tutto ciò, secondo Wittgenstein, per consentire a chi legge di
cogliere all’istante l’importanza logica e il rilievo delle singole proposizioni. In
realtà tali concetti non sono chiarissimi e ciò ha portato ad un dibattito con
diversi studiosi discordanti sulla rilevanza data dalla numerazione a certe
proposizioni piuttosto che ad altre. L’autore stesso però avverte che senza
tale numerazione il libro sarebbe un incomprensibile pasticcio. Egli vedeva
nell’estrema concisione uno dei pregi essenziali dell’opera, al cui interno
afferma di aver posto il suo pensiero concreto.
(7-16) Il Tractatus è un’opera di filosofia, che secondo Wittgenstein, non è
una dottrina che può essere racchiusa in un manuale, ma un’attività il cui
risultato è il chiarificarsi di proposizioni che con la filosofia nulla hanno a che
fare. Il lettore a cui Wittgenstein avrebbe voluto affidare l’opera era qualcuno
che sapesse ricavarne un grande piacere trovandovi espressi con esattezza i
propri pensieri. Il libro va letto come un’opera di filosofia, non di scienza. Solo
chi comprende le proposizioni le riconoscerà insensate, cioè riconosce che
non sono proposizioni, ma deve ascendere tramite esse e poi superarle per
vedere rettamente il mondo. Il lettore che non è in grado di usare le
proposizioni come una scala che poi viene gettata e si ferma su di esse
cercando un sapere filosofico sul mondo, farebbe del Tractatus quello che
non è, un manuale. Il testo non deve essere altresì guardato con un libro
arduo e difficile, a causa del carattere astratto e remoto dei suoi problemi.
Uno dei suoi obiettivi è di mostrare come i problemi filosofici si fondano sul
fraintendimento della logica del nostro linguaggio, che è quanto di più
concreto e semplice possa esistere. Secondo Wittgenstein, tale semplicità
della logica rende difficile il lavoro del filosofo o del logico. Lo scopo del libro
è quello di delimitare il pensabile (dicibile) dall’impensabile (indicibile). Per
Wittgenstein il compito che spetta alla filosofia non è porre domande o
elaborare ipotesi, inseguire risposte o cercare spiegazioni al modo della
scienza, ma delimitare il dominio del dicibile, il campo dove domande, ipotesi,
risposte e scoperte scientifiche si scontrano e si confrontano. Nel Tractatus, il
limite che la filosofia è chiamata a tracciare nel linguaggio è una linea che
non ammette sfumature. Su questo, Wittgenstein è pienamente d’accordo
con Frege: un’area non chiaramente delimitata non può chiamarsi area. Così
come niente (storia, libero arbitrio, decreti divini) potrà spostare, erodere o
cancellare il confine tra senso e nonsenso. Wittgenstein ritiene di essere
riuscito a mostrare che le proposizioni e le domande che si sono scritte su
cose filosofiche sono, per la maggior parte, non false, ma insensate; che la
filosofia è piena di confusioni e nonsensi, fondati sulla mancata
comprensione della logica e del linguaggio; che alle domande dei filosofi non
possiamo rispondere, perché non sono affatto domande, per cui possiamo
solo constatarne l’insensatezza. Per Wittgenstein non ha senso distinguere
tra problemi inessenziali o accidentali (il tempo resterà buono?) e problemi
profondi e fondamentali (il leibniziano perché c’è qualcosa piuttosto che
niente?). Tutti i problemi e tutte le domande si trovano sullo stesso piano e
sono tutti ugualmente indifferenti per ciò che è profondo ed essenziale.
Wittgenstein affermava che se una domanda può porsi allora può avere una
risposta, anche se per giungerci dovesse essere richiesto grande impegno e
ingegno. Se non c’è risposta non c’è la domanda. Formulare domande dove
non si possono formulare, perché non esiste risposta, è non senso.
Wittgenstein ancora afferma: “Tutto il mio compito consiste nello spiegare
l’essenza della proposizione”. Su ciò rifletteva in quegli anni con Frege e
Russell. Tale compito poteva dare risposta alle seguenti questioni: cosa
distingue le proposizioni della logica dalle proposizioni non logiche (“Piove o
non piove” rispetto a “Piove”)? Quale posizione occupano le proposizioni
della logica nei confronti delle altre? Qual è il contenuto delle proposizioni
della logica, ammesso che lo abbiano (e siano proposizioni)? cosa significa
per una proposizione “aver senso”? Cosa significa comprendere una
proposizione, vera o falsa che sia? ”Essenza della proposizione” ed “essenza
del mondo” sono due differenti questioni o la stessa? Le proposizioni scritte
da un filosofo che genere di proposizioni sono? Esistono, accanto alle
proposizioni della scienza, le proposizioni della filosofia? Wittgenstein matura
nel tempo la convinzione che il compito di spiegare l’essenza della
proposizione, riconoscere e tracciare il confine tra senso e nonsenso, fosse
strettamente legato all’etica. Crede che tacendo di quanto si parla a vanvera,
egli sia riuscito a mettere tutto a posto.
(17-22) Si è a lungo pensato che nel Tractatus, Wittgenstein fosse interessato
ad un linguaggio ideale o logicamente perfetto, in grado di prevenire ogni
nonsenso, le cui proposizioni avrebbero sempre un senso perfettamente
determinato ed i cui nomi un significato definito, unico e univoco. Ma egli
rifiuta l’opposizione di Russell tra linguaggio ideale e linguaggio comune
perché quest’ultimo non può essere un riflesso del linguaggio ideale. Ciò che
a Wittgenstein interessa è l’essenza del linguaggio: ciò che un linguaggio ha
in comune con un altro, ciò per cui un linguaggio è un linguaggio. Nel
linguaggio comune la logica non appare immediatamente sulla superficie, in
quanto il linguaggio traveste il pensiero e dall’abito (linguaggio) è talvolta
difficile capire la forma del corpo (pensiero). Quello che viene richiesto a una
notazione (a un simbolismo, a una ideografia) è di mitigare l’effetto
travestimento. La notazione va quindi considerata appropriata tanto più
esatta è la corrispondenza tra forma del corpo (grammatica profonda) e
forma dell’abito (grammatica superficiale, forma logica apparente).
L’ideografia diviene un potente aiuto per la filosofia, rendendo trasparente la
logica del linguaggio ed evitando i nonsensi di cui “la filosofia è piena”, che
nascono da una mancata comprensione della logica del linguaggio. Per
Wittgenstein sia il simbolismo di Russell (principia Mathematica) che
l’ideografia di Frege erano manchevoli sotto diversi aspetti. Per questo indica
nel Tractatus che la proposizione è nella sua essenza una funzione di verità
delle proposizioni elementari. Nel Tractatus Wittgenstein elenca e illustra
alcuni casi in cui la veste segnica del linguaggio comune non si conforma alla
grammatica logica. Un esempio è la parola “è” che può apparire in una
proposizione come copula (Socrate è mortale; la porta è marrone) e come
segno di uguaglianza (L’autore di Re Lear è Shakespeare) o espressione di
esistenza (Dio c’è) in altre. Così nascono per Wittgenstein le confusioni
filosofiche, che potrebbero evitarsi utilizzando un linguaggio segnico, nel
quale si evidenzino con segni differenti i diversi impieghi logico sintattici della
parola “è”. Wittgenstein sosteneva che la filosofia fosse ingannata dal
linguaggio. Il potere che il linguaggio ha di rendere tutto uguale può indurci a
trascurare differenze e distinzioni di grande importanza. Le forme primitive
del nostro linguaggio: sostantivo, aggettivo e verbo, mostrano l’immagine
semplice entro cui il linguaggio cerca di costringere ogni cosa. “Sedia, tempo,
significato, pensiero”, dal punto di vista grammaticale sono tutti sostantivi che
ci inducono a cercare qualcosa (un oggetto, un processo, uno stato) che vi
corrisponda. Al riguardo non cambia nulla nelle opere successive al
Tractatus, “i giochi linguistici quotidiani sono resi tutti uguali dagli stessi abiti
con cui li riveste il nostro linguaggio”. Per essere vera una proposizione deve
anzitutto poter essere vera, e solo ciò concerne la logica. Scoprire quali
proposizioni siano vere o false è compito delle scienze. La logica invece si
interroga sul senso della proposizione, su cosa significhi poter essere vera o
falsa. Ogni proposizione è essenzialmente vera o falsa, questo è denominato
senso di una proposizione. Ciò ci fa comprendere una proposizione anche se
non sappiamo se sia vera o falsa (fuori nevica). Conosciamo ciò che accade
quando una proposizione è vera, ma non necessariamente se è vera o no. La
proposizione può essere vera o falsa solo in quanto immagine della realtà.
(23-28) Il Tractatus inizia con il mondo, non con il linguaggio: “il mondo è tutto
ciò che accade” e solo nelle proposizioni 2.1 e 3.1 si intravede il concetto di
immagine. Per Wittgenstein dare l’essenza della proposizione e l’essenza del
mondo sono i due lati dello stesso compito. “Dare l’essenza della
proposizione è dare l’essenza di ogni descrizione, dunque l’essenza del
mondo”. Il mondo è tutto ciò che accade significa che il mondo non è la
totalità delle cose, ma dei fatti, come il linguaggio non è la totalità dei nomi,
ma della proposizioni. La distinzione tra fatto e cosa è di gran rilievo per
Wittgenstein, ma la grammatica superficiale del nostro linguaggio ci induce a
trascurarla. Per esempio, noi parliamo di qualcosa, ma diciamo anche che
qualcosa avviene. Ciò può spingerci a confondere un nome, una parola o il
significato di una parola (rosso) con la proposizione nella quale occorre
(Questo è rosso). Ciò che è il mondo è dato da una descrizione, non da una
lista di oggetti. Quello che accade è un frammento di ciò che è possibile che
accada. Alla logica interessa solo ciò che è possibile che accada. Una
macchia può non essere rossa, ma deve pur avere un colore. Il fatto che la
macchia non sia rossa è accidentale, casuale. Ma che la macchia abbia un
colore non è accidentale, ciò che è logico deve essere possibile. Nella logica
possiamo scoprire nuovi fatti (oggetto morbido), ma non nuove possibilità
(oggetti senza consistenza). L’insistenza sul carattere accidentale (casuale)
di tutto ciò che accade è uno degli aspetti più caratteristici del Tractatus. La
scienza ha a che fare con ciò che è accidentale. Non c’è un nesso logico per
cui se accade una cosa debba per forza seguire qualcos’altro. Noi facciamo
previsioni legate alle nostre esperienze passate, ma non sappiamo se ciò
accadrà davvero. Mossi da timore e speranza 2 tra i maggiori nemici
dell’uomo (così scrisse Goethe nel Faust), tentiamo di guidare gli eventi del
mondo perchè accada ciò che desideriamo e non ciò che temiamo. Ma
questo non basta a scalfire l’accidentalità di tutto ciò che accade. Le ultime
considerazioni del Tractatus risalgono al 1916. Wittgenstein si chiedeva quali
fossero i segni di una vita buona e giusta. Egli crede di trovare una risposta in
Dostoevskij: la vita buona e giusta è la vita felice, vissuta da chi è in armonia
con il mondo, da chi non ha bisogno di un fine fuori della vita. Poi sostiene
che felice (buona e giusta) è la vita che può rinunciare ai piaceri del mondo,
perché questi sono grazie del fato e quella che lo è nonostante le miserie del
mondo. Non è felice la vita che rinuncia ai piaceri del mondo, ma quella che
può rinunciarvi. Nella logica nulla è accidentale (2.012). Secondo la prop. 2,
un fatto è il sussistere di uno o più stati di cose, nessi di oggetti, interconnessi
tra loro come le maglie di una catena. Ogni oggetto ha delle possibili
combinazioni. Gli oggetti non sono indipendenti in modo assoluto. Una
macchia può essere indipendente dal fatto di essere rossa, ma non dal dover
possedere un colore.
(29-36) Se il mondo non avesse una sostanza, se non vi fossero oggetti
semplici, le nostre proposizioni non avrebbero senso e quindi non vi
sarebbero proposizioni. Per il Tractatus il significato di un nome è l’oggetto
per il quale quel nome sta. Wittgenstein rifiuta in maniera netta la concezione
di Frege secondo cui una proposizione come “Ulisse sbarcò a Itaca”, una
proposizione in cui compare un nome (Ulisse) che non designa qualcosa di
realmente esistente non sarebbe né vera né falsa, pur avendo senso. Per
Wittgenstein tali proposizioni non hanno senso. Quindi o ammette che molte
delle nostre non sono proposizioni, ma ne hanno solo l’apparenza o dimostra
che le proposizioni né vere né false di Frege sono, come tutte le proposizioni
vere-false. “A Farsalo Cesare sconfisse Pompeo”. La proposizione ha senso.
Ma se Cesare non fosse mai esistito, la proposizione non avrebbe senso,
perché il nome sarebbe privato del suo significato. Una proposizione non può
dipendere dalla veridicità di molte altre (Cesare è esistito, Pompeo è esistito,
ecc), perchè non potremmo progettare un’immagine del mondo (vera o falsa)
e saremmo costretti a trattare la logica come qualche sorta di scienza.
Affinché le proposizioni abbiano un senso e poiché esse hanno un senso,
occorre ammettere che i nomi che in essa compaiono si riferiscono a oggetti
semplici, ciò che possiamo designare senza essere costretti a temere che
forse non esistano. Il Tractatus non ci spiega cosa sono e quali sono gli
oggetti semplici. Nelle opere successive, Quaderni e Ricerche Filosofiche
Wittgenstein considera la questione degli oggetti semplici come
esclusivamente logica. La proposizione è un’immagine della realtà e per
avere un senso è vera-falsa: può concordare o discordare con la realtà solo
essendo un’immagine di uno stato di cose. Un’immagine è una connessione
di elementi, che si trovano in una determinata relazione l’uno con l’altro. E’ un
fatto, che deve avere in comune con la realtà, correttamente o falsamente, la
forma logica. L’immagine deve quindi avere in comune qualcosa con il
raffigurato. E’ escluso che possa essere vera a priori in quanto rappresenta
l’oggetto dal di fuori, proprio per questo correttamente o falsamente. Per
sapere se un’immagine è vera va confrontata con la realtà. L’immagine non
può raffigurare la propria forma di raffigurazione, perché dovrebbe, per
assurdo, guardarsi dal di fuori. L’immagine logica dei fatti è il pensiero. Il
pensiero contiene la possibilità della situazione che esso pensa. Ciò che è
pensabile è anche possibile. La proposizione può rappresentare la realtà
tutta, ma non può rappresentare ciò che deve avere in comune con la realtà
per poterla rappresentare, la forma logica.
(37-42) La proposizione elementare è la più semplice. Nell’analisi delle
proposizioni dobbiamo pervenire alle proposizioni elementari. Si sa a priori
che le proposizioni elementari ci sono, non quali sono. Nessuna altra
proposizione elementare può essere in contraddizione con essa. Le
proposizioni che si contraddicono possiamo scomporle in altre proposizioni,
quindi solo quelle complesse possono contraddirsi. L’indipendenza logica
delle proposizioni elementari fu una delle prime tesi del Tractatus che
Wittgenstein mise in discussione nelle opere successive. Proposizione
complessa: “Paolo è infreddolito e Giorgio è impaurito”. Le due proposizioni
semplici sono unite da “e”, denominato connettivo logico o costante logica.
Quando si ha a che fare con proposizioni complesse la grammatica
superficiale può occultare la forma reale del linguaggio (“Alberto legge il
giornale in treno” è la congiunzione di “Alberto è in treno e Alberto legge il
giornale”). Nel Tractatus Wittgenstein affronta travestimenti più complicati.
Comunque per Wittgenstein la proposizione è una funzione di verità delle
proposizioni elementari. La proposizione complessa dell’esempio è formata
da 2 elementari e possiamo avere differenti casi; una vera e l’altra falsa,
entrambe vere, ecc. La possibilità di verità e di falsità (il senso) di una
proposizione complessa dipende dalle possibilità di verità (dal senso) delle
proposizioni elementari che la compongono. Le costanti logiche ci mostrano
in quale modo le possibilità di verità delle proposizioni elementari
condizionano le possibilità di verità delle proposizioni complesse. Quando
connesse da “e, solo se entrambe le proposizioni semplici sono vere la sarà
anche quella complessa. Quando connesse da “o” basta che una delle due
sia vera. A differenza di Russell, le costanti logiche non impersonano nella
proposizione alcun oggetto logico. Ciò per il rifiuto di assimilare la logica ad
una scienza. Nel Tractatus, Wittgenstein suggerisce di adottare una
notazione diversa dalle solite costanti logiche (“e”; “o”; “se… allora”; “se e
solo se”) che dovrebbe far vedere che la proposizione è l’espressione delle
sue condizioni di verità. Al posto di “p o q” possiamo scrivere (VVVF)(p, q). La
proposizione è falsa solo se le 2 proposizioni semplici che la costituiscono
sono false e vera negli altri 3 casi.
(43-49) Ad ogni connettivo logico corrisponde una sequenza, ad esempio a
“se e solo se” corrisponde VFFV, a “se…allora” corrisponde VVFV. Per n
proposizioni elementari ci sono 2 elevato a n condizioni di verità. Sono
sempre presenti 2 casi estremi: vera o falsa per tutte le possibilità di verità.
Nel 1° caso abbiamo una tautologia, nel 2° una contraddizione. Le nozioni di
tautologia e contraddizione sono poste in primo piano nel Tractatus.
Entrambe non sono immagini della realtà in quanto la tautologia ammette
tutte le possibili situazioni e la contraddizione non ne ammette nessuna.
“Piove o non piove” è sempre vera. “Piove e non piove” è sempre falsa. A
questo punto tautologia e contraddizione sono prive di senso. Per il Tractatus
non vi sono proposizioni vere a priori, ma vanno sempre confrontate con la
realtà. Nel caso delle proposizioni logiche basta guardare il simbolo per
riconoscere se è vera o falsa, perché non dice nulla su come le cose stanno.
Le proposizioni della logica sono prive di senso, ma non insensate, anche
perché tautologia e contraddizione sono casi limite. Wittgenstein conclude
che la logica non è una dottrina, le sue proposizioni non dicono nulla e non vi
è nulla per esse da dire. La logica è un’immagine speculare del mondo. Le
sue proposizioni mostrano le proprietà formali del linguaggio (del mondo). La
questione cardinale della filosofia era, secondo Wittgenstein, la distinzione tra
cosa poteva essere espresso (detto, ritratto) da una proposizione e cosa
poteva essere solo mostrato. La forma logica non può essere espressa
tramite linguaggio. Quello che non può essere detto, ma solo mostrato
produce proposizioni insensate. Wittgenstein riconosce la presenza
dell’ineffabile, dell’inesprimibile, del “mistico”, ispirandosi a due autori a lui
cari, Agostino e Kierkegaard. Per Wittgenstein il mistico si riferisce a tutta
quella sfera di valori che noi non possiamo affrontare superficialmente nel
linguaggio: i valori religiosi, quelli estetici, il senso della vita.
2. GIOCARE, DESCRIVERE, AGIRE: dopo il Tractatus logico-
philosophicus
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Teoria dei linguaggi, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Pietro Perconti: Wittgenstein. Una Guida - L. Perissinotto. Nella prima parte viene trattato il "primo" Wittgenstein, coincidente col periodo della sua prima opera, il Tractatus. Nella seconda invece ci si sofferma sull'opera postuma, le Ricerche Filosofiche.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher inzaghino di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Teoria dei linguaggi e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Messina - Unime o del prof Perconti Pietro.
Acquista con carta o conto PayPal
Scarica il file tutte le volte che vuoi
Paga con un conto PayPal per usufruire della garanzia Soddisfatto o rimborsato