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1.L’ATTIVITA’ DEL TERZO MINISTERO GIOLITTI
Il nuovo governo ebbe agli inizi, mesi di intenso lavoro parlamentare, ma nel complesso, svolse
attività di ordinaria amministrazione. Giolitti ereditò il programma di Sonnino, ma ne attuò soltanto i
contenuti meno radicali, senza pretendere di sostituirlo con un proprio programma di riforme. Il
provvedimento più importante del nuovo governo fu la conversione della rendita, operazione
iniziata da Luzzatti al tempo del 2 governo Giolitti, e continuata durante il governo Sonnino.
Giolitti approfittò del successo e delle reazioni positive che aveva suscitato la conversione della
rendita per risolvere altre 3 questioni spinose rimaste aperte, cioè il riscatto delle Meridionali, la
liquidazione delle ferrovie e l’inchiesta sulla marina. Per la prima volta, dopo aver ottenuto un rinvio
della scadenza per il riscatto, Giolitti riuscì a concludere l’accordo con le Meridionali e la
liquidazione dell’Adriatica. La legge in proposito fu approvata dalla Camera il 7 luglio.
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Contemporaneamente fu definito il regolamento per le Ferrovie dello Stato, che riprendeva le
disposizioni della legge proposta da Fortis sul divieto di sciopero.
Secondo il metodo della politica meridionalistica giolittiana, furono adottati vari provvedimenti di
carattere locale. Nel luglio furono approvate le leggi speciali per la Sicilia e la Sardegna, fu istituito
il consorzio zolfifero siciliano, fu definitivamente approvata e promulgata la legge speciale per la
Calabria. Inoltre, Giolitti promosse una inchiesta parlamentare per accertare quali erano le
condizioni di vita e di lavoro degli operai minerari della Sardegna e incaricò un’altra commissione
di indagare sulle condizioni dei contadini nelle province meridionali. L’inchiesta però non fu seguita
da provvedimenti a favore dei contadini, come erano previsti nel programma meridionalistico di
Sonninio.
Dopo aver superato anche lo scoglio dell’inchiesta sulla marina, discussa dalla Camera e del
Senato e conclusa con una rinnovata dichiarazione di fiducia nel ministero della marina,
nonostante fossero venute alla luce, negli anni precedenti il 1903, collusioni fra queste e la Terni, il
governo Giolitti procedette in un clima di bonaccia con una Camera che sembrava aver perso
qualsiasi spirito di combattività.
Con una siffatta Camera, Giolitti poté continuare nella prassi liberale avviata con la svolta degli
inizi del secolo, ma notevolmente moderata rispetto alle sue promesse iniziali. La politica
riformista, che trovò il suo valido appoggio nel gradualismo delle forze sindacali organizzate nella
Confederazione del Lavoro, diventò, in un certo modo, un elemento completamente necessario del
sistema giolittano, anche se i socialisti riformisti non accettarono mai di essere coinvolti nel
governo. Giolitti riuscì ad ottenere l’appoggop dei gruppi dirigenti moderati e riformisti del
movimento dei lavoratori con la realizzazione di una legislazione sociale per il miglioramento delle
condizioni di vita del proletariato. Giolitti favorì, con provvedimenti particolari, l’attività delle
cooperative, dando ad esse una privilegiata protezione nell’assegnazione e nell’esecuzione di
opere pubbliche. La politica giolittiana cercava di condizionare, per questa via, l’evoluzione del
movimento operaio e soprattutto contadino verso forme di organizzazione e di azione tipicamente
riformiste e con obiettivi economici, ma senza riuscire a conquistare un vero consenso da parte
delle masse popolari, che le organizzazioni riformiste rappresentavano in modo regionale e
corporativo: tutto ciò contribuì ad impedire l’integrazione delle masse popolari nel sistema,
attraverso il compromesso fra riformismo governativo e riformismo socialista, tornato alla guida del
partito nel 1908.
2.IL SUCCESSO DEL RIFORMISMO NEL PARTITO SOCIALISTA
I progressi del movimento economico rivendicativo e l’egemonia riformista nella Confederazione
Generale del Lavoro coincisero con il lungo travagliato dibattito nel partito socialista che portò nel
1908 alla vittoria dei riformisti. La direzione rivoluzionaria, dopo il fallimento dello sciopero generale
del 1904 era già entrata in crisi. Ferri distanziò i sindacalisti rivoluzionari riaccostandosi ai
riformisti, facendosi ora propugnatore di un riformismo delle grandi riforme e preparandosi a
mutare alleato per conservare l’egemonia nella direzione del partito.
Per i sindacalisti rivoluzionari, il fallimento dello sciopero generale del 1904 era stato una dura
sconfitta ed aveva rivelato la debolezza della loro strategia priva di un preciso obiettivo politico e,
cosa ancora più importante, senza effettivo e largo seguito nelle organizzazioni sindacali.
Gli anni che vanno dallo sciopero generale al congresso di Roma del 1906 e al congresso di
Firenze del 1908 videre la progressiva emarginazione dei sindacalisti rivoluzionari dal partito
socialisto. Ma ciò che meglio caratterizzò la vita del movimento socialista in quegli anni, fino alla
guerra di Libia e al congresso di Reggio Emilia del 1912, fu una sostanziale egemonia del
movimento ecconomico rivendicativo sul partito politico che, per mezzo della direzione riformista,
sembrò perdere una reale ed efficace presenza autonoma nel parlamento e nel paese, per
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trovarsi a svolgere una funzione subalterna sia verso il sistema giolittiano sia verso il movimento
sindacale.
La ragione dell’egemonia riformista e dei limiti oggettivi della sua politica, sia per la vita del
movimento dei lavoratori che per lo sviluppo del partito, non vanno individuate soltanto nelle
responsabilità individuali e in gruppo dirigente né in laceranti dissidi ideologici che, in verità,
coinvolgevano in modo soltanto superficiale la massa degli aderenti. Il movimento socialista,
nell’età giolittiana, fu travagliato da forti contrasti interni. I suoi aderenti erano operai, lavoratori
della terra, disoccupati, ma anche piccoli proprietari, artigiani, commercianti, impiegati,
professionisti che condizionavano a livello di scelte politich, il comportamento del partito.
Geograficamente il partito socialista era soprattutto localizzato nelle regioni settentrionali e centrali.
La mancanza di una politica nazionale fu una delle principali cause della debolezza manifestata
dal socialismo riformista verso il giolittismo.
La direzione dal congresso di Bologna venne rimessa in discussione nel congresso nazionale
socialista che si tenne a Roma dal 7 al 10 ottobre 1906. Ferri si presentò nella nuova veste di
sostenitore del riformismo delle grandi riforme, dissociandosi dai sindacalisti rivoluzionari.
Il problema più importante discusso al congresso di Roma fu quello riguardante la funzione del
partito socialista, le sue prospettive di azione, il suo ruolo nell’ambito del movimento proletario.
Labriola e Leone denunciarono, non senza vigore, il carattere socialmente composito del partito
socialista, e la sua politica non rivoluzionaria. Labriola rifiutava qualsiasi possibilità di conciliazione
fra movimento proletario e società capitalistica, anche se questa si presentava nella forma
seducente della democrazia riformista borghese.
Contro ogni tendenza Turati prese una decisa posizione, accusando i sindacalisti rivoluzionari di
essere i portatori di una tendenza anarchico-repubblicana, che si era inserita come una parassita
nel tronco socialista.
Le ragioni del successo riformista, oltre che al fallimento del sindacalismo rivoluzionario, furono
strettamente legate allo sviluppo e alla espansione dell’organizzazione economica che, con la
creazione della CGdL, aveva raggiunto una posizione di grande influenza nell’ambito del
movimento proletario. Il progresso economico conseguito dai lavoratori attraverso le organizzazioni
di mestiere costituiva un’esperienza suggestiva per i riformisti.
I rapporti che si instaurarono fra il riformismo sindacale e il riformismo politico non furono sempre
cordiali e i loro comportamenti pratici non furono sempre ispirati da una comune strategia. Tuttavia
nell’ottobre 1907 in un convegno tenuto a Firenze dal 7 al 9, il partito e la confederazione giunsero
ad un accordo per definire i rispettivi compiti. La soluzione fu un compromesso. Essa stabiliva la
necessità di due compiti differenti affidati a due organi distinti: la lotta politica e rivendicazioni
economiche, come forme di lotta del proletariato, non dovevano confondersi né escludersi o
subordinarsi a vicende. I sindacati potevano godere di una maggiore autonomia di azione nello
stabilire alleanze anche con altri partiti di sinistra. Si faceva comunque distinzione fra scioperi
economici, la cui direzione spettava alla CGdL, e manifestazioni politiche lasciate al controllo del
partito. Per gli scioperi politici, l’accordo stabiliva che era necessaria una decisione concordata fra
partito e confederazione.
Questo accordo segnava la sconfitta e l’isolamento dei sindacalisti rivoluzionari. Già nel luglio 1907
essi avevano deciso di abbandonare il partito socialista, per dare vita ad una organizzazione
autonoma di classe, basata sul sindacato di mestiere. A Milano, nell’ottobre 1907, gli industriali
avevano risposto con la serrata alla proclamazione di uno sciopero generale da parte della locale
Camera del Lavoro. Tuttavia, in questa circostanza, la CGdL rifiutò di proclamare uno sciopero
generale di solidarietà. Questo fu l’ultimo grande episodio di lotta da parte dei sindacalisti
rivoluzionari. Nonostante ciò, nell’aprile, i sindacalisti rivoluzionari proclamarono uno sciopero
generale dei braccianti contro gli agrari organizzati nell’Associazione Agraria. Per la prima volta, da
parte degli agrari furono organizzati vere e proprie squadre armate per proteggere la proprietà e
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reagire contro gli scioperanti. La lotta si concluse con la sconfitta dei sindacalisti, in seguito al duro
intervento del governo che fece occupare dalla forza pubblica la Camera del Lavoro.
Il riformismo revisionista di Bonomi portava il compromesso socialista con il liberalismo
democratico alle sue estreme e logiche conseguenze: abbandonato il rivoluzionarismo e
considerato superato il marxismo, non vi era altra via per il socialismo che quella di integrarsi nel
sistema borghese per accelerare il processo di democratizzazione avviato da Giolitti. Bonomi
chiedeva esplicitamente la liquidazione del partito, non era affatto disponibile. Per Turati il
riformismo restava un metodo per realizzare il socialismo, non uno strumento per il suo
abbandono.
Il compromesso fra policia riformista e sistema giolittiano venne condannato, con passione ed
intransigenza, da Gaetano Salvemini nel X congresso nazionale socialista del 1908. La denuncia
di Salvemini nasceva dal suo meridionalismo e, in nome dei contadini meridionali, egli chiedeva la
solidarietà dei socialisti e della parte più