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LA POLITICA
Il Servizio informativo diretto da Gaetano Napolitano dopo la firma della convenzione fra la RAI e il Ministero delle
Poste,non ha alcuna possibilità di controllare il nuovo medium. La censura sulla parte artistica e teatrale è esercitata
dalla Direzione generale dello spettacolo.
La televisione rivoluziona gli usi e i consumi della società e della politica, perché mette in scena una realtà che fino allora
non era stata né visibile né udibile: cambiano i rapporti fra vita privata e vita pubblica e si trasformano sensibilmente le
condizioni del gioco politico. Si realizza uno spazio pubblico allargato che porta anche chi non sa leggere o scrivere a
partecipare alla costruzione dell’identità sociale e politica di un paese.
Il popolo italiano in piena ricostruzione economica vuole essere informato e divertito, mentre il governo considera la
televisione come il mezzo principale per educare la nazione.
Eppure dovranno passare sei anni, dal 1954 al 1960, perché il governo, non il Parlamento, decida formalmente di
assicurarne e disciplinare l’uso della radiotelevisione durante le campagne elettorali.
Partiti e i loro segretari diventano quindi immediatamente i protagonisti della campagna radiotelevisiva.
Le trasmissioni politiche tendono più a rafforzare che a mutare drasticamente le opinioni de pubblico e hanno una
funzione positiva nel far scaturire il dibattito fra posizioni diverse.
Un anno dopo il successo Tribuna elettorale si trasforma in Tribuna politica. La classe politica italiana dovrà rispondere
non solo ad argomenti inerenti alla questione nazionale, ma a temi di carattere internazionale: l’opinione pubblica si fa
più attenta e si sprovincializza.
Lo spettacolo televisivo allarga gli orizzonti di ognuno verso i problemi sociali dell’epoca, porta informazioni su ambienti e
modi di vita diversi, scardina valori tradizionali e profondamente radicati, travolgendo con la forza dell’immagine la
volontà degli uomini dell’apparato radiotelevisivo.
LINGUAGGIO
Fino alla metà degli anni 70 il voto rimane sostanzialmente suddiviso fra le due maggiori culture ideologiche-politiche,
quella cattolica e quella comunista, dotate entrambe di propri circuiti di comunicazione interpersonale decentrati e
ramificati sul territorio nazionale. L’obbiettivo principale è quello di rafforzare le convinzioni del proprio elettorato,
sviluppare i circuiti interni, assicurarsi la collaborazione e il voto di determinati gruppi sociali.
La televisione rigidamente controllata dall’esecutivo con le Tribune elettorali degli anni 60 comincia ad aprirsi ai primi
spazi di democrazia mass-mediatica, in presenza di un voto che è ancora fortemente suddiviso attorno alle principali
scelte ideologiche. Non si spiegano altrimenti gli scontri televisivi e il linguaggio utilizzato con i giornalisti dai vari
esponenti politici.
La politica, che arriva nelle case degli italiani, attraverso la televisione, non deve turbare la serenità delle famiglie, ma
raccogliere intorno al focolare dei tempi moderni.
Gli argomenti sono sempre definiti e imposti dal dibattito politico interno ai partiti e al Parlamento, mentre le grandi
questioni ideologiche e di alleanza sono al centro di questo dibattito; allo spettatore viene richiesto esplicitamente di
schierarsi a favore a favore di uno dei due blocchi.
Il linguaggio politico rimane quello delle piazze, indubbiamente più coinciso, meno appassionato e più interlocutori,
condizionato dai moderatori televisivi.
È il leader a definire l’immagine del partito e non viceversa. Il linguaggio deve essere sintetico, chiaro, anche se ripetitivo
e per ciò comprensibile a tutti.
Si riconosce il ruolo trainante della televisione per la propaganda, ma nello stesso tempo si affida ancora ad altre forme
parallele e tradizionali come manifesti, volantini, giornali parlati, periodici di partito, comizi, il dialogo fra partito e opinione
pubblica.
Il partito della militanza e della partecipazione diretta, dopo vent’anni di televisione va scomparendo, anche se
lentamente.
SPETTACOLO E INCHIESTE
La ricezione collettiva segna la nascita della televisione italiana e ne condizionerà lo sviluppo nei primi tempi. Agli esordi
le forme dello spettacolo televisivo sono mutuate dal più consolidato medium radiofonico. Il trinomio educare, informare
e intrattenere in linea con le tendenze modernizzatrici di una parte del partito democratico cristiano, resterà per lungo
tempo lo strumento di un progetto culturale legato alla tradizione storica del cattolicesimo italiano. Nasce così il primo
giornale televisivo di informazione su scala nazionale; nascono le prime grandi inchieste su una realtà per altri versi
ancora del tutto sconosciuta. La televisione degli anni 50 è una televisione strettamente codificata per generi suddivisi
fra informazione, cultura, spettacolo.
Cultura umanistica e intento pedagogico sono i pilastri su cui si basa la neonata televisione. L’obbiettivo principale è
diffondere questa cultura in starti di popolazione non ancora toccati da processi di scolarizzazione. Ma la vera
affermazione popolare del nuovo medium si avrà con un genere importato dagli USA: il telequiz. L’altra novità
drammatica televisiva è costituita dal romanzo sceneggiato che connoterà il palinsesto per tutti gli anni 50 e 60.
La televisione monocanale tenta un opera di riunificazione.
Il 4 novembre viene inaugurato un secondo canale.
Gli italiani chiedono alla tv di divertirli, informarli, ma soprattutto di partecipare alla cerimonia del video, di partecipare
al”dibattito”.
Alla televisione si chiede di essere autentica e immediata. Il pubblico vuole che nulla sia preparato in anticipo e lo
sviluppo della tecnologia gli viene incontro.
Tra il 1960-62 importanti trasformazioni, come la registrazione videomagnetica, che permette di registrare e di montare
l’immagine elettronica, e il lancio dei primi satelliti di telecomunicazione, fanno nascere nel telespettatore il desiderio di
rompere con il vecchio mondo, di accelerare i tempi della vita, di potersi lasciar dietro tutto quello che non si vede. I
partiti non possono che prendere atto del cambiamento e prepararsi di conseguenza all’evoluzione dei nuovi modelli di
comunicare e a far i conti con un mezzo di comunicazione freddo, che meglio di altri favorisce una partecipazione a
domicilio e senza sforzo.
Il programma-inchiesta: l’inchiesta non è solo un genere di successo nella stampa quotidiana e periodica, ma dilaga
all’interno della stessa televisione di Stato, come ricerca di un’attualità. Il giornale televisivo ha la possibilità di mostrare
in diretta lo svolgersi dei conflitti, di raccogliere le testimonianze dal vivo, di penetrare in luoghi e situazioni in cui la
maggior parte dei telespettatori non è sicuramente mai stata. Tutto questo sconvolge l’ordine e le norme che regolano il
servizio pubblico.
Il grande fenomeno migratorio in questi anni assume aspetti curiosi, ma non meno rappresentativi, e giustamente la
televisione li mostra al pubblico.
LE PREMESSE DELLA RIFORMA
La radio, con l’avvento della tv, perde importanza e non la riacquista che molti anni dopo, con la riforma della
radiotelevisione del 1975 e la concorrenza spietata delle radio private.
Un notevole contributo alla crescita dell’universo della radiofonia viene anche dal mondo industriale: inventato nel 1948,
il transitor è applicato su larga scala agli apparecchi radiofonici proprio nel corso degli anni 60. Grazie ad esso e alla
successi invenzione dell’autoradio, la radio diventa portatile.
Nel 1966 viene attuata una riforma dei programmi: la radio tenta di offrire un palinsesto più dinamico e si struttura con
appuntamenti stabili nel quale l’ascoltatore possa ritrovare i suoi generi preferiti. Il rapporto che si stabilisce con il
pubblico è basato sulla quotidianità del contatto, sulla ripetitività: si parla di relazione comunicativa. Si velocizza
l’informazione e si dà grande spazio alla musica. Inoltre grazie all’uso del telefono le distanze tra emittente e destinatario
si accorciano, portando alla luce la bi direzionalità del flusso comunicativo. Da questo momento in poi gli ascoltatori
occuperanno un ruolo di sempre maggiore centralità nello scenario della radiofonia. È il pubblico il vero protagonista di
questa sorta di rivoluzione mediale.
Aumento dell’audience.
Anche la composizione del pubblico di trasforma: mentre, negli anni 50, le classi medie o medio-alte rappresentano
l’asse portante del processo di espansione, a partire dagli anni 60, gli standard scolastico-culturali si abbassano.
Si passa progressivamente da una televisione di tipo pedagogico-educativo, sotto la guida protettiva dello Stato, a
un’industria del divertimento, che però non ha ancora i mezzi per soddisfare pienamente il suo pubblico. La politiche del
1969-74 è caratterizzata dal prevalere dell’intrattenimento, da una netta separazione di generi (fiction, informazione),
dalla concorrenza fra il primo e il secondo canale e fra i tre canali radio, da un’accentuata professionalità e
dall’incremento costante della pubblicità.
La televisione culturale e pedagogica, nel decennio 60-70, viene investita da un’intensiva politicizzazione. La progressiva
disgregazione del vecchio modello televisivo è dovuta a un acuirsi della forbice esistente fra il sistemo politico, quindi fra
la gestione politica della televisione pubblica, da un lato, e i fermenti, le tensioni, le forti contraddizioni vissute dalla
società civile; i movimenti studenteschi e le lotte operaie investono la stessa struttura interna; processo che investirà
tutta Europa.
La televisione privata fino ad ora rifiutata in gran parte dei paesi europei sarà auspicata e desiderata.
Non è quindi il messaggio o il suo contenuto che devono adeguarsi, ma è l’organizzazione di un gioco a cui gli
spettatori collaborano ormai da protagonisti. L’indice d’ascolto diviene l’elemento principe per valutare il
successo o meno di una trasmissione. La tirannia dell’audience nasce prima dell’arrivo della pubblicità. Verso la
fine degli anni 60 lo sviluppo crescente del nuovo medium fa sì che si guardi al grande pubblico nel suo nuovo
ruolo di consumatore.
3: LA MODERNITA’
LA RIFORMA
La legge di riforma della RAI_Radiotelevisione italiana viene approvata il 14 aprile 1975. La legge si muove in un’ottica di
garanzia, che consente a tutti i soggetti politici e sociali di essere in qualche modo rappresentanti all’interno dell’ente.
La RAI è una società per azioni a totale partecipazione pubblica di “interesse nazionale” e in virtù della riforma modifica
la propria struttura azionaria in favore dell’IRI. I tre organi