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VOCAZIONE CONGIUNTIVA O SOLIDALE
La vocazione congiuntiva o solidale si verifica sia nella successione legittima che in quella testamentaria.
Nella successione testamentaria, si ha vocazione congiuntiva o solidale quando il testatore chiama più soggetti allo
stesso grado. Più precisamente si ha quando il testatore chiama all’eredità più soggetti senza determinazioni di parte o
in parti uguali (ad es: il testatore nomina eredi Tizio, Caio e Sempronio senza determinazioni di parti, oppure per un
terzo ciascuno).
Vi deve essere inoltre “coniuctio re et verbis”, cioè la chiamata deve riguardare la stessa eredità (“coniuctio re”, unione
nella cosa) e deve essere fatta con lo stesso testamento (“coniuctio verbis”, con le stesse parole). Perciò se per
avventura più soggetti sono istituiti eredi della stessa eredità ma con testamenti diversi, che però si riferiscano alla
stessa eredità, non vi sarà vocazione congiuntiva o solidale.
Nella successione legittima si ha vocazione congiuntiva o solidale quando la legge chiama all’eredità più soggetti come
gruppo (ad es: morto il padre, la legge chiama all’eredità i figli come gruppo). Effetto della vocazione congiuntiva o
solidale è il prodursi del diritto di accrescimento che consiste in: se uno dei soggetti chiamati congiuntivamente o
solidalmente non può accettare perché indegno, premorto o assente, o non vuole accettare la sua quota, essa si
devolverà automaticamente agli altri chiamati congiuntivamente o solidalmente. Ciò avviene perché il testatore o la legge
volevano attribuire tutto ai soggetti, ed è solo con il concorso effettivo dei chiamati che il tutto si fraziona in parti, con la
conseguenza che, venendo meno uno dei chiamati, la sua parte ricade nel tutto.
Se sorge un conflitto tra diritto di rappresentazione e diritto di accrescimento, prevale il primo. Tale conflitto si verifica
quando uno dei chiamati congiuntamente o solidalmente è figlio, fratello o sorella del “decuius” e allora ci si chiede cosa
succede se costui non può o non vuole accettare? La sua quota si accresce agli altri chiamati congiuntamente o
solidalmente, o si devolve per rappresentazione ai suoi figli?
La legge dice che prevale il diritto di rappresentazione, e quindi se il chiamato congiuntamente e solidalmente non può o
non vuole accettare l’eredità, la sua quota non si accresce ma si devolve ai suoi figli. Ciò perché la rappresentazione,
come già visto, è istituto a tutela della famiglia, e quindi ha una funzione sociale.
Può esservi accrescimento anche nel legato, quando uno stesso bene è attribuito a più persone, salvo diritto di
rappresentazione.
LA “PETITIO EREDITATIS” (AZIONE DI PETIZIONE DELL’EREDITÀ)
La “petitio ereditatis” è l’azione posta a tutela della qualità di erede e mira al riconoscimento di tale qualità oltre che alla
condanna alla restituzione di beni ereditari posseduti da un terzo. Questa azione può essere esperita dall’erede, e quindi
dal soggetto che abbia accettato l’eredità. Tuttavia, se questa azione è esperita dal chiamato che non ha ancora
accettato, essa costituisce ipotesi di accettazione tacita dell’eredità, poiché lascia senza dubbio argomentare la volontà
di accettare l’eredità e perché il soggetto non potrebbe esperirla, se non nella sua qualità di erede. L’azione,
come si è detto, si esperisce contro chi possiede beni ereditari e mira da un lato, ad ottenere il riconoscimento della
qualità di erede, e dall’altro alla condanna alla restituzione dei beni posseduti illegittimamente, quindi una sentenza di
condanna.
Il possessore dei beni ereditari può essere di due tipi:
• “Possessor pro erede”, è colui che possiede assumendo di essere egli l’erede. È chiamato dalla dottrina erede
apparente e può essere in buona o in mala fede;
• “Possessor pro possessore”, è colui che possiede beni ereditari senza titolo alcuno. Egli perciò sa senz’altro di
non essere l’erede, e quindi è sicuramente in mala fede.
La “ petitio ereditatis” è simile alla “ rei vindicatio ”, infatti, come questa mira ad ottenere la restituzione di beni posseduti
da un terzo. Tra le due azioni però vi sono due differenze:
• La “ rei vindicatio ” si esperisce per “ singulas res ”, cioè per quante cose sono oggetto di proprietà, mentre la “
petitio ereditatis ”, si esperisce per “l’ universum ius defuncti ”, cioè per quanti beni sono nel patrimonio del
defunto;
• Mentre la prova nella “ rei vindicatio ” è “ probatio diabolica ”, la prova nella “ petitio ereditatis ” è molto più
agevole: se si tratta di successione legittima, basterà esibire l’atto di stato civile con cui si dimostra di essere il
o parente più vicino;
se si tratta di successione testamentaria, basterà esibire il testamento che istituisce erede l’azione in
o petizione.
L’azione di petizione all’eredità, come la revindica, è imprescrittibile, salvo gli effetti dell’usucapione ormai verificatisi in
capo al possessore. Perciò, se l’erede lascia decorrere il tempo per usucapire e poi si fa avanti con la “petitio ereditatis”,
il Giudice non può fare altro che riconoscergli il suo “ius eredis” ma, non potrà condannare la controparte alla restituzione
del bene perché ormai tale bene è stato acquistato a titolo originario per usucapione. L’azione si esperisce dinanzi al
tribunale del luogo dell’ultimo domicilio del“decuius” e mira ad ottenere, oltre il riconoscimento della qualità di erede,
anche una sentenza di condanna alla restituzione dei beni. Inoltre, il possessore, se in mala fede non solo dovrà
restituire i beni ma, sarà tenuto al risarcimento del danno, ed inoltre dovrà restituire i frutti esistenti e quelli “percepti” e
“percipiendi” dal giorno dell’inizio del possesso. Invece, se il possessore è in buona fede, egli dovrà restituire i beni ed
inoltre i frutti “percepti” e “percipiendi” dal giorno della domanda giudiziale.
Al possessore in mala fede è tenuto a risarcire il danno e gli si applica anche una regola tipica del debitore in mora, per
la quale, se il bene ereditario perisce per caso fortuito o forza maggiore, egli non è liberato dall’obbligo dell’integrale
risarcimento del danno, a meno che non riesca a provare che la cosa sarebbe ugualmente perita nelle mani dell’erede.
L’azione può anche essere esperita nei confronti dei terzi aventi causa, dal possessore; in tal caso i terzi saranno
condannati a restituire il bene o il loro valore. Saranno salvaguardati solo i terzi in buona fede che abbiano acquistato
dall’erede apparente a titolo oneroso; ciò anzitutto, perché tali terzi sono in buona fede, poi perché essi hanno acquistato
da chi appariva essere il legittimo proprietario del bene e poi perché “certant de damno vitando”, cioè lottano per evitare
un danno avendo acquistato a titolo oneroso. Infine, per esperire azione fruttuosa nei confronti dei terzi è necessario che
la domanda giudiziale sia trascritta anteriormente al titolo di acquisto altrimenti l’azione non avrà effetto nei confronti dei
terzi.
L’ACTIO INTERROGATORIA
Sappiamo che il diritto di accettare l’eredità si prescrive in dieci anni. Tale termine decorre per tutti i chiamati. Ne
consegue che durante questo tempo i chiamati in subordine o in grado ulteriore, possono avere concretamente interesse
a sapere se i primi chiamati hanno intenzione di accettare o meno l’eredità.
Perciò, tutti gli interessati possono esperire azione e chiedere al Giudice che fissi un termine breve entro il quale il primo
chiamato dovrà decidere se accettare o rinunziare all’eredità. Decorso inutilmente il termine breve, il primo chiamato
perde il diritto di accettare l’eredità. Si è da alcuni sostenuto che, se il chiamato nulla dice, da ciò dovrebbe dedursi una
sua rinunzia tacita. A ciò si replica che nel nostro diritto non esiste
La rinunzia tacita all’eredità, in quanto la rinunzia all’eredità è un atto solenne che va posto in essere necessariamente
nelle forme stabilite dal legislatore.
LA SUCCESSIONE LEGITTIMA
La successione legittima è quella che si apre per volontà di legge a favore dei parenti del “decuius” fino al 6° grado
incluso, mancando o rinunziando tali parenti, in favore dello Stato quale erede necessario. Le categorie dei successibili
“ex lege” sono:
• Il coniuge;
• I discendenti legittimi, i legittimati adottivi, naturali riconosciuti e giudizialmente dichiarati;
• Gli ascendenti;
• I collaterali;
• Gli altri parenti;
• Lo Stato.
Per quanto riguarda il coniuge superstite la disciplina successoria del coniuge ha subito una profonda rivoluzione. Nel
Codice del 1942 era previsto che il coniuge superstite non fosse titolare di una quota ereditaria, ma in usufrutto. Ne
conseguiva che non subentrando il coniuge superstite nella stessa posizione giuridica del defunto, egli era considerato
un legatario “ex lege”. La situazione è mutata a seguito della riforma del diritto di famiglia del 1975 che ha previsto una
migliore tutela il coniuge debole (donna). Oggi infatti, il coniuge superstite ha diritto ad una quota del patrimonio
ereditario in piena proprietà, ed egli quindi è erede e subentra nella stessa condizione giuridica del “decuius”. In
particolare al coniuge spetterà la metà del patrimonio, se concorre con un solo figlio, un terzo del patrimonio, se
concorre con due o più figli, due terzi del patrimonio, se concorre con ascendenti o fratelli o sorelle del “decuius” . In
mancanza di tali coeredi viene devoluto al coniuge l’intero patrimonio. Il coniuge separato conserva gli stessi diritti del
coniuge non separato, a meno che la separazione non sia stata a lui addebitata, in tal caso, gli spetterà un assegno
vitalizio pari all’assegno alimentare precedentemente goduto. Il coniuge divorziato perde qualsiasi diritto successorio,
tuttavia il legislatore, quando ha disciplinato l’istituto del divorzio, ha previsto che spetti al coniuge divorziato che versi in
stato di bisogno, un assegno periodico a carico dell’eredità, sempre che egli già fruisse di un assegno divorzile.
L’assegno periodico v