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Shakespeare evita donne e ragazzi come parti).
Gli attori di Shakespeare non erano solo uomini, ma anche anglosassoni: ciò non gli impediva però di creare
finzioni etniche o razziali (ad esempio mettersi fuliggine in viso per diventare Otello). Per creare le identità
allora l’attore doveva aggiungere qualcosa di artificiale (costumi e accessori in primis: l’attore si preparava
nell’area dietro il palco, la “tiring-house”/casa dell’abbigliamento). Vestito in diversi modi, un attore poteva
recitare più ruoli (l’identità del personaggio era costruita sartorialmente). I costumi dovevano essere ben
fatti (ad esempio per rappresentare re, conti, duchi, ecc) e costavano moltissimo (non c’erano infatti
fabbriche di tessuti sintetici), più del costo di un nuovo testo (potevano essere comprati, donati, affittati o
presi in pegno). È l’abito che rende subito riconoscibile l’identità sociale (status, genere, ricchezza), ma non
l’epoca storica (l’accuratezza archeologica contava meno: Amleto è ambientato secoli prima, però veste
abiti dell’epoca elisabettiana). Sono gli attori e i costumi a far tutto, anche a rendere l’ambientazione (non
c’erano sfondi). Gli attori stessi erano lo scenario, che riusciva anche a muovere emozioni. Anzi, lo stesso
tragediografo era chiamato “ingegnere degli affetti”). Ogni attore riceveva solo il testo delle proprie battute
da imparare a memoria, non una copia di tutto il play. Ogni giorno veniva recitato un play diverso. Quando
si faceva il revival di un’opera passata (e anche Shakespeare lo fa), il testo veniva spesso cambiato, anche
dopo la morte dell’autore. Shakespeare condivideva il trono di grande autore tra ‘500 e ‘600 con Marlowe,
Kyol, Greene, Jonson, Middleton e Fletcher (dominò in sostanza tra 1593 e 1601: Enrico IV, Riccardo III,
Amleto, Romeo e Giulietta).
Durante la rivoluzione inglese i teatri furono chiusi. Gli attori che osarono sfidare il Parlamento lo fecero per
potare in scena Fletcher, non Shakespeare (segno che i tempi erano cambiati). Tuttavia il rapporto tra
Shakespeare e il palcoscenico finisce con piccoli gruppi itineranti di attori che si guadagnavano da vivere
recitando spezzoni tratti da alcune delle opere più celebri di Shakespeare.
2. JEAN MARDSEN – Migliorare Shakespeare: dalla Restaurazione a Garrick
Con la Restaurazione di re Carlo II i teatri a Londra riaprono (1660). Molto era cambiato, ma Shakespeare
ancora veniva recitato (anche se spesso in forme che Shakespeare stesso non avrebbe riconosciuto: alcune
tragedie culminano nell’happy ending, altre diventano ancor più cupe, alcuni personaggi o scene eliminato
o aggiunti). Il teatro era fortemente influenzato dalla politica teatrale e dal favore popolare. Due erano le
compagnie autorizzate a fondare teatri a Londra: “The King’s company” e “The Duke’s company”, a cui
vennero distribuiti anche i testi (in modo omogeneo. I Duke come piatto forte presero solo l’Amleto, perciò
dovettero stravolgere molti pezzi dal repertorio shakespeariano per renderli moderni e attrattivi).
Shakespeare era comunque sempre guardato con riverenza. Ma nelle sue opere venivano riscontrati anche
alcuni difetti (in primis la lingua barbara, tendente al basso humour e ai giochi di parole: i personaggi di
Shakespeare erano naturali, le loro parole no). come rivelava Dryden, la lingua inglese venne rifinita nei
decenni successivi alla morte di Shakespeare, perciò molti autori si sentivano liberi di lavorare sull’impasto
linguistico shakespeariano (eliminando ad esempio il linguaggio figurativo). Altro problema riscontrato era
l’assenza di arte in Shakespeare, intesa come non rispetto delle regole meccaniche (cioè le unità
aristoteliche di tempo, spazio e azione), scusata dal fatto che si pensava che Shakespeare non avesse
studiato; inoltre talvolta mancava la”giustizia poetica” (i buoni premiati e i cattivi puniti), come in Re Lea (la
buona Cordelia muore senza necessità): il dramma poteva essere accusato di immoralità.
Come nuovi elementi vengono introdotti macchinari per le scene mobili ed effetti speciali (entrate/uscite in
volo, onde del mare, nuvole). Dal 1660 inoltre a teatro recitano anche le donne ( le donne recitavano già da
tempo nel continente e furono viste dai governanti inglesi in esilio). Sulla scorta di tutti questi fattori il testo
di Shakespeare è spesso soggetto a riscritture. Importante fu Sir William Davenant (della Duke’s company),
che voleva aumentare le possibilità spettacolari del dramma inglese (ad esempio nel suo Macbeth ci sono
molte scene di streghe che volano e cantano; nella Tempesta ci sono effetti visivi come tempeste, docce di
fuoco e spiriti che appaiono e scompaiono. Inoltre nei drammi si cerca di aumentare il pathos. Si pensi a
Thomas Otway che riprese in mano la scena della tomba di Romeo e Giulietta e invece di far morire Romeo
prima che lei si risvegliasse, lo fa morire dopo, dando loro il tempo di dirsi addio: questo aggiustamento
ebbe un successo clamoroso (come in Garrik). Anche l’elemento politico è di primo piano: in questi anni ci
furono molte tensioni (si pensi alla successione di Carlo II, senza discendenti legittimi, con il fratello
cattolico Giacomo) e gli autori trovano in Shakespeare un fertile repertorio di temi sul gioco di potere, la
guerra civile, la lotta tra fazioni (e i conseguenti disastri). Curioso in questo periodo l’adattamento di Re
Lear (1681) di Nahum Tate, dal lieto fine. A inizio anni ’80, complice il clima politico, le due compagnie
teatrali si uniscono (a causa della crisi del teatro). Solo nel 1695 Thomas Betterton fondò un’altra
compagnia, che rispolvera molti testi di Shakespeare. Nel ‘700 ciò viene fatto anche da Colley Cibber,
famoso per un suo adattamento del Riccardo III (elimina alcuni personaggi- la regina Margaret, Clarence-
inserisce materiali da altri plays). Ci furono critiche ad operazioni di questo tipo (ad esempio da parte di
Joseph Addison, o Samuel Richardson), soprattutto da parte di chi vedeva in Shakespeare l’orgoglio poetico
nazionale (la risposta inglese a Omero). Nel ‘700 Shakespeare tiene ancora banco e si fa a gara a riprodurlo
il più fedelmente possibile (anche se in realtà si tratta sempre di adattamenti). In tale direzione si muove
David Garrick, altro autore e manager teatrale che si è dedicato alle opere di Shakespeare come
restauratore (ma anche, e soprattutto, come adattatore). E per questo fu salutato come “salvatore”
dell’eredità letteraria inglese. Fece circa 12 adattamenti shakespeariani (“Il racconto d’inverno”, “La
bisbetica domata”), che talvolta riprendevano vecchi adattamenti passati di moda in cui si cercava di
inserire più Shakespeare (non inserisce più, però, il “fool” –come becchino in Amleto- troppo buffone per
appartenere a un testo serio). In questo periodo, poi, del testo di Shakespeare, si mette in risalto
l’elemento sentimentale, emozionale (nel ‘700), cosa che riusciva bene anche a Garrick. Ciò fa acquistare ai
drammi di Shakespeare una dimensione domestica, più che imperiale (si pensi al Re Lear di Garrcick,
portato alla pazzia dall’ingratitudine dei figli). La cosa è stata criticata (come è stato criticato il pubblico di
allora, che non pretendeva qualcosa di più), ma se ci pensiamo bene anche noi oggi abbiamo reso
Shakespeare oggetto di film, musicale opera.
3. JANE MOODY – SHAKESPEARE ROMANTICO
Recitare Shakespeare in epoca romantica fu un affare politico: ci si chiese, infatti, se Shakespeare nelle sue
opere fosse monarchico-aristocratico oppure radicale. Il dibattito fu acceso e produsse sorprendenti
interpretazioni dei personaggi shakespeariani (ad esempio da parte di Edmund Kean o William Hazlitt nel
suo saggio su “Coriolano”). Tra 1793 e 1815 l’Inghilterra era in guerra con Napoleone e c’erano molte
proteste radicali. Il teatro poteva influenzare molto l’opinione pubblica, e perciò si scelse di adattare
Shakespeare (rimuovendo certe battute e certi temi) per non scaldare troppo gli animi. In epoca romantica
si accese poi una battaglia su chi avesse il diritto di recitare Shakespeare (solo i 3 teatri più importanti erano
autorizzati: Drury Lane, Covent Garden e Haymarket teatri di Londra): i teatri minori si divertivano ad
aggirare i divieti (nel 1809 ad esempio venne proposto il Macbeth in forma di mimo, aggirando il divieto di
presentare dialoghi drammatici!). in forme molto fantasiose (con canzonature volte a mettere in ridicolo in
forma di battuta il divieto come in “Otello, the Moor of Fleet Street” di Charles Westmacott - o con forme
tipiche del melodramma). Altro terreno di scontro fu tra teatro e carta stampata, tra personaggi materiali e
fantasia immaginativa della letteratura (che vuole salvare Shakespeare dal livellamento di un teatro che
cerca facile consenso con 4 effetti speciali).
In epoca romantica si fondono da una parte la critica e dall’altra la performance. Ciò che interessava era
l’interpretazione del personaggio (in termini di “naturalezza” contrapposta ad “artificiosità”). Attori come
John Philip Kemble e Sarah Siddons scrissero pagine illuminanti sull’interpretazione loro dei personaggi
shakespeariani (dunque forte simbiosi tra critica e performance): i due erano fratelli (ebbero grande
successo con l’Enrico VIII: lei era nella parte della regina Caterina d’Aragona e colpì per il modo in cui
rappresentò la sua malattia finale, tormentata dal continuo bisogno di cambiare posizione) e hanno salvato
Shakespeare dal rischio di essere abbandonato o “scimmiottato” col melodramma, recitandolo con dignità,
magnificenza, pacatezza quasi “statuaria”, “gravitas” e compostezza. La cura dei particolari era fortissima
(addirittura Kemble adottò la pronuncia inglese di Shakespeare!). tutti questi elementi rendevano lo
Shakespeare di Kemble un’ottima vetrina per la classe governante (ad esempio la “Tempesta” giustifica il
diritto di autorità legittima di Prospero, oppure “Coriolano” è una parabola sul diritto dei patrizi a
comandare). L’epoca era politicamente tesa e certi riferimenti politici nel testo (l’ingiustizia sociale, ecc,
presenti in Shakespeare) vengono omessi. Shakespeare indaga, in “Coriolano” la natura del potere politico,
su cui pone pesanti quesiti; Kemble invece ne fa un play che glorifica la leadership autoritaria dei patrizi (e
che diventa propaganda – anche se non ufficiale- dei conservatori). Kemble adombrava poi le sue
produzioni in un’aura gotica di mistero e faceva ampio uso del lavoro dei sarti per costumi di pregio.
Il periodo romantico fu anche un’epoca di censura lingui