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I. IL TEATRO DEGLI ATTORI
LE ECCEZIONI E LA REGOLA: La storia del teatro, intesa come storia degli attori e della recitazione, è ancora
complessivamente ai suoi inizi. Resta ancora molto da indagare, anche se in alcune circostanze non mancano i
documenti, come nel caso dell’Ottocento. Tuttavia non sono sempre facili da reperire e si tratta soprattutto di
documenti indiretti. Tutto ciò favorisce la persistenza di alcuni fraintendimenti e di qualche equivoco:
1. Uno dei più duraturi riguarda la figura dell’attore ottocentesco. Questi, infatti, non sarebbe altro che un ostaggio
dei gusti del pubblico; un ostacolo per qualsiasi progetto artistico in teatro,. Si tratta di un equivoco duro a morire,
risalente sostanzialmente (almeno in Italia) alle riflessioni elaborate fra fine 800 e inizio 900 da alcuni critici, fra cui
Edoardo Boutet e Silvio d’Amico. In realtà il teatro dell’800 italiano è molto più ricco di quanto non sembri a un
primo sguardo.
Gustavo Modena è probabilmente è probabilmente il nostro più grande attore dell’800: intellettuale a tutto tondo,
uomo politico oltre che di teatro, primo realizzatore sulle scene italiane del “realismo grottesco”, dotato di
straordinarie risorse espressive, prefiguratore di una forma di protoregia d’attore, infaticabile sperimentatore e
creatore, maestro d’attori e riformatore del teatro.
GLI ATTORI E IL TEATRO: L’attore è all’origine del teatro, sia dal punti di vista fenomenologico sia dal punto di vista di
un’analisi strutturale del linguaggio della scena,
1. Dal punto di vista fenomenologico: il teatro, sin dalla nascita nell’antichità classica, si caratterizza come arte della
scena e cioè come arte dell’attore: il teatro si realizza (e teatralmente si esaurisce) sulla scena. Solo un errore di
prospettiva può indurre a considerare ciò che sopravvive al consumarsi ogni sera dell’arte teatrale (e cioè il testo
drammatico) come il motore primo della rappresentazione.
2. Anche dal punto di vista dell’analisi linguistica l’attore si colloca all’origine del teatro. Arte della scena, il teatro si
compone di elementi (scenografia, testo, musica,..) che riflettono strutturalmente la presenza dell’attore e ne
riverberano ciascuno a proprio modo l’arte. Ognuno di questi elementi può godere di una propria autonomia, ma ciò
non toglie che la loro presenza sia logicamente subordinata alle ragioni profonde dell’arte della scena, e cioè alle
ragioni della presenza dell’attore. Non p un caso che molto spesso nella storia del teatro chi scrive coincida con chi
recita, in particolar modo prima del XIX secolo, quando inizia a sedimentarsi una sempre più netta divisione dei
compiti e del lavoro anche in campo artistico.
La specificità del linguaggio teatrale ci pone di fronte all’evidenza che, da Echilo a Shakespeare, non ci troviamo di
fronte a scrittori che recitano, ma ad attori che scrivono, e cioè ad autori-artefici di un’arte innanzitutto scenica, e poi
anche autori di un’opera letteraria.
MODENA AUTORE E SCRITTORE: Gustavo Modena si colloca nella nuova temperie segnata dal lento formarsi
dell’industria culturale. La sua attività di capocomico-traduttore-adattatore lo situa in una posizione intermedia tra
quegli attori che scrivono i copioni che recitano e gli attori che si limitano a utilizzare i testi scritti da altri. Egli riscrive
i testi che recita (adattandoli, traducendoli). La riscrittura è una modalità congeniale all’attore, che riscrive
innanzitutto col il proprio corpo attraverso la propria presenza scenica, ma che rivela anche una sensibilità
tipicamente moderna per la riscrittura come revisione critica del già scritto, a partire dalla consapevolezza del
carattere compiutamente metalinguistico che l’arte, dopo Hegel, assume.
La vera scrittura in scena di Modena consiste per esempio nella riscrittura di Saul, o di Oreste (il cui protagonista
viene calibrato dall’attore in chiave anti-eroica), o di “Zelinda e Lindoro” , e quando Modena si rivolge a Manzoni
chiedendo il permesso di recitare Adelchi, tagliando e adattando il testo, Manzoni risponde mostrando piena
Non dubito che chi ha il raro
consapevolezza del modo autoriale di porsi di Modena dei confronti della sua tragedia:
dono di far sentire tutta la bellezza dei versi eccellenti, non possa anche abbellire, per un momento, i mediocri. la
riscrittura come scrittore d’autore. La critica designa “attore-poeta” quell’attore che era artefice di un suo teatro.
Eppure Gustavo Modena è stato uno straordinario scrittore, ma non di testi teatrali. I suoi pamphlet e le sue lettere
lo dimostrano. Giovanni Prati, in un articolo del 1845 in cui paragona significativamente l’importanza di Gustavo
Modena per le arti con quella di Alessandro Manzoni, osserva come Modena non fosse diventato uno scrittore,
nonostante ne avesse le qualità, per quel suo bisogno di confrontarsi direttamente con il proprio pubblico che lo
renderà innanzitutto “artista drammatico” nonostante tutto fu scrittore. Anche in questo pienamente
ma
moderno, Modena privilegia il “non-finito”, che lo allontana dalla scrittura “conclusa” dell’opera letteraria,
avvicinandolo piuttosto allo scritto epistolare o all’intervento pamphlettistico. La scrittura e le immagini di Modena
rimandano alla recitazione e ai tratti stilistici tipici del suo teatro.
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LA RIFLESSIONE ARTISTICA: Dalla pagina modeniana è anche possibile desumere una traccia della riflessione
artistica. Nel “Viaggio per Francia di un povero diavolo” )del 1836, scritto durante gli anni dell’esilio) si leggono
pagine di impressionante lucidità sulla degenerazione dell’arte. Modena si scaglia contro il classicismo, un “idea
sciancata” che porta “alla mania di raccogliere in sale e gallerie tutte le opere d’arte come le merci in una scanzia”. È
un’idea con un’affinità precisa con le cose del teatro, dove proprio la nascita in questi anni di una certa protoregia
pone il rischio della “conservazione”. Modena invece cercherà sempre di realizzare un teatro in grado di portare
l’attore alla reazione di un “personaggio vivente” non ripetitivo, reinventato sera dopo sera. Modena prende di mira
anche il titanismo romantico di cui vede i limiti ideologici e artistici.
UN TEATRO EDUCATORE: Modena si colloca allo stesso tempo dentro e fuori il teatro. Nel suo caso sono le stesse
circostanze anagrafiche a evidenziarlo. Pur essendo figlio d’arte arriva alle scene relativamente tardi, per i tempi, a
21 anni. Tutta la sua carriera è poi costellata di interruzioni e di ritorni: le prime dovute principalmente alla intensa
attività politica, soprattutto fra il 1831 e il 1848. Trentenne, abbandona forzatamente le scene addirittura per nove
anni. Nell’ultimo decennio della vita Modena è poi al confino nel Regno di Sardegna, sempre per motivi politici, dove
recita con compagnie mediocri per vivere.
Il suo primo biografo, Luigi Bonazzi, insiste sul fatto che la “riforma” di Modena elaborata sin dagli anni Trenta, debba
essere letta anche come il frutto delle riflessioni e degli intendimenti di un attore che ritorna al teatro dopo anni di
assenza dalle scene, trascorsi tra l’atro fuori Italia. Un attore, cioè, che vende meglio degli altri e più in profondità
perché ha potuto osservare le cose a distanza e con il distacco critico necessario.
Per Modena il teatro trova la propria ragione d’essere nel valore “educativo” di cui può farsi portatore. Pensa al
teatro come a una “scuola per il popolo”, come a qualcosa che possa favorire una crescita critica dello spettatore. Il
problema per Modena è che finché il teatro sarà nelle condizioni attuali, cioè un “teatro bottega”/un “teatro
commercio” piegato alle leggi del “dio-soldo”, nessun autentico rinnovamento sarà possibile. Perché la
degenerazione dei comici è la conseguenza e non la causa della degenerazione dell’arte. Modena è ben consapevole
delle condizioni “tristissime morali e materiali” in cui versano i comici, ed è altrettanto consapevole dello svilimento
profondo dell’arte (e dunque dell’arte educatrice) che tali condizioni determinano. Egli dedica pagine argute e
pungenti alla descrizione dell’ignoranza di molti attori teatrali e dell’inconsapevolezza da parte di quegli attori della
propria ignoranza. Ma il problema, secondo Modena, non va individuato solo nelle condizioni in cui versano gli attori,
quanto piuttosto nel mercato in cui sono inseriti e che li costringe a quelle condizioni. La soluzione non può che
essere radicale, per usare le stesse parole di Modena: “Per correggerlo bisogna bruciarlo. Bruciar le tavole, bruciarne
il morale, bruciarne l’idea”. La vera grande “riforma” non può che coincidere con la restituzione al teatro delle sue
autentiche prerogative d’arte e critiche. Tanto sottraendolo alla speculazione economica che rende la
rappresentazione una semplice merce fra le merci; quanto restituendo ai suoi veri padroni, gli attori, che devono
però essere messi nelle condizioni migliori per coltivare la propria arte.
II. TEATRO, “SPETTACOLI”, PUBBLICO: LA SCENA DEL PRIMO OTTOCENTO, L’ARTE DEL GRANDE ATTORE
IL “TEATRO INDUSTRIA”: Con l’inizio dell’800 la scena teatrale muta in profondità la propria organizzazione e i propri
assetti. Il teatro, come più in generale lo spettacolo e l’intrattenimento, diventano progressivamente, all’interno del
nascente mercato borghese, una merce fra le altre e, come tutte le merci, soggetta alla legge della domanda e
dell’offerta. In generale, si osserva in questi anni il primo manifestarsi di un rapporto ormai sempre più stretto fra
cultura e mercato, antesignano di ciò che qualche decennio più tardi inizierà a precisarsi nelle forme dell’industria
culturale. Il progressivo adattamento della cultura e dell’arte a una nuova logica di tipo “industriale” non è
naturalmente un fenomeno solo italiano. Secondo una logica tipicamente industriale, la quantità irrompe con forza
nel mondo della cultura e dell’arte. Spesso a discapito della qualità, come Modena vede subito benissimo “ La
concorrenza aumenta la quantità dei prodotti industriali, ma ne deteriora la qualità, e nella qualità sta l’arte.” Il
giudizio negativo di Modena sul “teatro-industria” è dettato dalla convinzione profonda che arte e mercato si
collochino agli antipodi, che l’una sia la negazione dell’altro. Modena è infatti