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Riassunto esame Storia del Teatro, prof. Pietrini, libro consigliato Gli Attori e l'Arte della Recitazione, Lewis Pag. 1
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SHAKESPEARE ATTORE E CRITICO

Secondo Lewis, Shakespeare è un attore mediocre, ma un critico d’eccezione. Infatti egli ci dice che contro il suo modo

di recitare ci sono molti indizi: il semplice fatto che non ci venga detto nulla delle sue qualità implica che non ci fosse

Spettro

nulla di eccezionale di cui parlare. Tutto ciò che la tradizione ci tramanda di Shakespeare-attore è che recitò lo in

Every Man in His Humour.

Amleto e il Vecchio Knowell in

Come molti drammaturghi dell’epoca antica, adottava socco e coturno come mezzi per guadagnare; ed è probabile che,

come sempre gli attori, avesse un’opinione favorevole delle proprie interpretazioni.

Ma a dispetto del suo grande genio e della sua flessibilità mentale che poteva fargli concepire grandi varietà di caratteri,

impersonare

è molto probabile che mancasse della flessibilità mimetica dell’organismo che sola avrebbe potuto fargli

ciò che concepiva. Infatti, le facoltà di concezione e di presentazione sono distinte. Un poeta raramente è un buon

lettore dei propri versi. E anche Shakespeare, probabilmente, sapeva come dovessero essere impersonati Amleto, Otello

e Riccardo, ma se fosse stato chiamato a impersonarli si sarebbe trovato carente per voce, volto e temperamento.

Secondo Lewis, la sua mancanza di successo implica che la sua voce era intrattabile, o limitata nella gamma: e senza una

voce congeniale, nessuna declamazione può essere efficace.

Che Shakespeare, come critico, avesse dominato i princìpi dell’arte della recitazione è evidente dal breve ammonimento

Amleto.

agli attori in Qui si occupa di 3 errori degli attori, riguardanti la gestione della voce, del corpo e l’espressione.

1) Prima insiste sulla necessità di un’elocuzione flessibile. Non dà regole per la gestione della voce e dell’accento, ma

proibisce l’errore comune di “declamare enfaticamente” e richiede di pronunciare bene le parole.

2)Poi ammonisce gli attori che declamano le frasi ed enfatizzano i gesti, perché questo porta all’esagerazione e alla

mancanza di fedeltà. Inoltre, nel tentare l’Ideale passano all’Artificiale. Eccetto i grandissimi, tutti gli attori sono

ridondanti nel gesticolare; non solo esagerano i movimenti significativi, ma sono incapaci di reprimere quelli non

significativi. Shakespeare deve aver visto ciò, quindi ordina agli attori di “adattare l’azione alla parola con questa

speciale osservanza, per non oltrepassare la modestia della natura; perché ogni cosa esagerata si allontana dallo scopo

di recitare, il cui fine era ed è reggere lo specchio della natura”. Se gli attori studieranno buoni modelli impareranno che

i gesti, per essere efficaci, devono essere significativi,e per essere significativi devono essere rari.

3) Infine Shakespeare esprime consigli sull’espressione. Mette in guardia l’attore soprattutto contro l’eccessiva

veemenza e la freddezza. Bisogna padroneggiare l’arte e, nel turbine della passione, occorre essere moderati. Se l’attore

fosse davvero preso dalla passione, la sua voce sarebbe un grido e i suoi gesti furiosi e disordinati. Deve, perciò,

scegliere dalla varietà delle espressioni della passione quelle che possono essere armoniosamente subordinate ad un

tutto complessivo. Deve essere allo stesso tempo appassionato e moderato tremante di emozione, ma con la mente

vigile che dirige ogni intonazione,espressione del volto e gesto. Anche Cibber afferma che questa via di mezzo è il tocco

da maestro a cui si giunge con estrema difficoltà. Alcuni critici, infastiditi dalla declamazione troppo ampollosa, si

lamentano con chi declama di essere “troppo focoso”. Come dice Lessing, un attore non può avere troppo fuoco, ma

può facilmente avere troppo poco senso. La veemenza senza l’emozione reale è declamazione enfatica; la veemenza

con l’emozione reale ma senza arte è turbolenza. Essere esagerati è la facile risorsa degli attori senza capacità. Ma

Shakespeare aggiunge che “non bisogna neppure essere troppo monotoni”, ma bisogna far sì che la discrezione aiuti

l’attore a campire quando ha toccato il tono e l’espressione giusti, che prima devono essergli suggeriti da ciò che sente.

È perché pochi attori sono sufficientemente riflessivi che la buona recitazione è così rara. Lo studio che gli attori

perlopiù riservano è all’imitazione di altri, piuttosto che all’introspezione dei propri mezzi, risulta fatale all’eccellenza.

In che misura l’attore prova le emozioni che esprime? Quando sentiamo che Macready e Liston vanno su tutte le furie

dietro le quinte allo scopo di salire sulla scena sufficientemente eccitati da dare una rappresentazione fedele delle

agitazioni dell’ira, deduciamo che questi artisti riconoscevano la verità del pensiero popolare secondo cui l’attore sente

davvero quello che esprime. Ma questa deduzione sembra contraddetta dall’esperienza. Non solo è notorio che l’attore

finge, ma è indiscutibile che la mera presenza dell’emozione genuina sarebbe di tale disturbo all’equilibrio intellettuale

da frustrare l’espressione artistica. L’illusione del teatro:la rappresentazione della passione nella sua espressione reale

piuttosto che simbolica sarebbe completamente opposta a tutti i fini dell’arte e a tutti i segreti dell’effetto. Il poeta può

descriverci tutti i movimenti del volto e delle membra provocati da una passione, mentre il pittore, lo scultore o l’attore

devono farci capire i processi interni attraverso simboli esterni, che devono avere anche una certa grazia e proporzione

per influenzarci esteticamente.

Tutta l’arte è simbolica: c’è un allontanamento dalla realtà in tutti gli accessori scenici. La situazione, il personaggio, il

linguaggio sono tutti in disaccordo con l’esperienza quotidiana. Il lettore vede subito che le emozioni rappresentate

dall’attore non lo agitano come lo agiterebbero nella realtà; finge, e noi sappiamo che finge. Sta rappresentando una

finzione che deve commuoverci in quanto finzione, e non straziare la nostra partecipazione come la strazierebbe

l’angoscia di un nostro simile che soffre alla nostra presenza. Le lacrime che versiamo sgorgano da una fonte di

partecipazione empatica, ma il loro dolore è piacevole. Ma qui sorge la contraddizione: se davvero sente, non può

recitare; ma non può recitare se non sente. Sebbene sia possibile per un attore possedere sensibilità senza talento

dell’espressione ( e perciò essere un attore monotono essendo un uomo appassionato), gli è assolutamente impossibile

esprimere ciò che non ha mai provato, essere un attore appassionato con una natura fredda. La contraddizione dunque

è: fino a che punto sente realmente le passioni che esprime? È una questione di gradi. Il poeta non può scrivere con gli

occhi colmi di lacrime, mentre i nervi gli tremano per il collasso mentale, e i suoi pensieri precipitosi sono troppo agitati

per disporsi in canali precisi. È dalla memoria di sentimenti passati che trae la bella immagina che ci diletta. È spettatore

del suo stesso tumulto; e pur essendone commosso, può comunque dominarlo in modo tale da scegliere solo quegli

elementi che si addicono al suo intento. Noi siamo tutti spettatori di noi stessi; ma è peculiarità della natura artistica

osservare e trarre materiali per l’arte anche dalla passione più disturbante. Talma disse di aver sofferto gravi perdite e

grandi dolori, ma dopo il primo momento si è scoperto studiare e cogliere la natura nell’atto. È solo familiarizzandosi

con la natura delle varie emozioni che si possono interpretare propriamente. Ma oltre a sé stessi, bisogna osservare

anche gli altri. Infine l’attore dovrà sceglier quelle sequenze del sentimento e le loro modalità di manifestazione che le

sue qualità fisiche gli permettono di produrre efficacemente. Macready e Loston si preparavano dietro le quinte all’ira

perché avevano temperamenti non istantaneamente eccitabili alla mera immaginazione di una scena. Attori come Kean,

Rachel o Lemaitre, invece, non trovavano difficoltà nelle più rapide transizioni: potevano in un momento conversare

tranquillamente e il momento dopo esplodere. Dunque, per rispondere alla domanda iniziale: ”fino a che punto un

attore sente?”, potremmo dire che egli si trova in uno stato di eccitazione emozionale sufficientemente forte da fornirgli

gli elementi dell’espressione, ma non abbastanza forte da turbare la sua coscienza col fatto che sta solo immaginando;

sufficientemente forte da dare alla sua voce il tono necessario e l’aspetto necessario ai suoi lineamenti, ma non

abbastanza forte da impedirgli di modularli. La passione deve essere ideale, non personale.

Talvolta i critici obiettano la “meccanicità” di alcune recitazioni, che vorrebbero più “ispirate”. Ma quella che viene

chiamata “ispirazione” è incompetenza: l’attore sta cercando un’espressione che avrebbe dovuto aver trovato

studiando la parte. Così come un cantante che ogni sera varia la sua aria, significa che non sa come cantare. Lewis

paragona, per spiegare meglio questo concetto, l’attore a un cantante: infatti, gli attori imparano le loro parti come i

cantanti imparano le canzoni. Ogni dettaglio è intenzionale o premeditato.

4) Oltre a queste indicazioni, Shakespeare dice ai suoi attori di evitare il lazzo. Questa è una colpa che il pubblico può

correggere, se vuole. Generalmente gli uditori sono così disposti ad essere stimolati al riso da non considerare i mezzi

impiegati. Il lazzo perciò è, è sempre stato, e sempre sarà popolare.

SULLA RECITAZIONE NATURALE

Da un giudizio sulla recitazione di Garrik reso da Fielding attraverso la critica di Partridge , ricaviamo che la recitazione

di Garrik fosse ciò che si chiama “naturale”; ma non la presentazione naturale di un Amleto. Il melanconico scettico

principe alla presenza dello spettro del padre deve aver sentito un timore reverenziale tremulo e solenne, ma non può

aver sentito il terrore volgare di una natura volgare; ma Partridge dice: “Se quel piccolo uomo sulla scena non è

spaventato, non ho mai visto nessuno spaventato in vita mia”: il comportamenti di un Partridge spaventato non può mai

essere stato simile al comportamento di Amleto. Simili sono le considerazione di Cibber su Betterson nella parte di

Amleto quando veder il fantasma del padre: l’attore alla prima apparizione dello spirito è stato preso da una passione

estremamente violenta davanti allo spettro che non lo aveva provocato.

È ovvio che

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Enze di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del teatro e dello spettacolo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Pietrini Sandra.