Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
VI. DALLA REVIVISCENZA DI STANISLAVSKIJ ALLA BIOMECCANICA
Il 1898 è l’anno di fondazione del teatro d’arte di Mosca.
Il teatro russo sembra nascere con Stanislavskij, eppure esiste anche un altro attore che inizia a riflettere seriamente
della
sulla sua arte: Sčepkin. Per quest’ultimo il bravo attore deve essere sensibile e si appella alla verità
rappresentazione. Non intende cmq negare l’intelligenza e la professionalità dell’attore che si limita alla finzione.
Entrambi affrontano il loro lavoro con dedizione, ma soltanto l’attore sensibile ha un’inclinazione per l’arte, poiché è
capace di annullare sé stesso per diventare il personaggio creato dall’autore.
UNA PSICOTCNICA PER L’ATTORE: Stanislavskij costituisce uno spartiacque fondamentale fra il teatro dell’800 e quello
il Teatro d’Arte di Mosca, la scena era ancora
del ‘900. Nel 1898, quando insieme a Nemirovič-Dančenko fondò
dominata dagli stereotipi recitativi del grande attore. Nel famigerato colloquio durato una notte intera, i due registi
affrontarono anche al questione delle condizioni materiali disagiate in cui versavano i teatri di Mosca. Gli attori avevano
per camerini dei bugigattoli ed erano costretti a provare imbacuccati nei cappotti in teatri freddi e bui. Stanislavskij era
un uomo con molte idee e senso pratico: nei camerini del Teatro d’Arte ci dovranno essere una poltrona e una piccola
biblioteca. Gli attori dovranno accantonare ogni pretesa di protagonismo, ma lavoreranno in condizioni dignitose. Il
principio di rotazione ei ruoli, che Stanislavskij riprende dalla compagnia del duca di Meiningen, garantisce una struttura
paritaria. Il regista-despota è l’unica figura in grado di contrastare il predominio del grande attore. Non a caso anche
Stanislavskij impiega dapprima dei dilettanti. Le critiche di Stanislavskij si appunteranno proprio sull’attore cabotin, che
ripropone logori cliché espressivi e formile di sicuro successo, che vive il proprio mestiere come una routine e non come
una continua creazione. Stanislavskij segnerà l’affermazione definitiva del regista, ma, allo stesso tempo, indicherà la
strada del suo superamento a vantaggio della creatività dell’attore. Il suo non fu mai un insegnamento dogmatico. Il
compito che egli attribuisce all’attore è molto impegnativo. Non si tratta di mostrare un’azione che sembri vera, ma di
ricercare la verità in ogni movimento sulla scena. L’attore deve imparare a credere nella realtà di ogni gesto che compie,
di ogni parola che pronuncia: soltanto così smetterà di recitare per dar vita al personaggio. È nota l’ammirazione di
Stanislavskij per Tommaso Salvini, di cui aveva avuto modo di vedere l’interpretazione di Otello a Mosca. Salvini è
descritto come un modello positivo proprio per la sua capacità di prepararsi alla parte mediante un’immedesimazione
graduale nel personaggio. segnò una svolta decisiva nel percorso artistico di Stanislavskij: è grazie ai
L’incontro con la drammaturgia di Čechov
drammi di Čechov che Stanislavkij passò dal realismo antiquario alla Meininger alla ricerca di una verità interiore.
Questa transizione comportò anche un’attenzione particolare alla recitazione, che da allora divenne la sua
preoccupazione principale. Acquisti i principi della ricostruzione esteriore, Stanislavkij cerca un superamento del
concetto stesso di rappresentazione. Le sue teorie sull’attore furono codificate in forma scritta molto tardi, dopo gli anni
di maturazione con gli attori del Teatro d’Arte, che costituivano una comunità fondata sulla discussione e la
partecipazione. Stanislavskij parte pur sempre dal corpo dell’attore, come dimostra la sua attenzione alle tecniche
preliminari all’immedesimazione, al rilassamento al cerchio d’attenzione, grazie al quale l’artista deve ritrovare la
concentrazione e la “solitudine in pubblico”, dimenticandosi di avere di fronte a sé gli spettatori. Anche l’attivazione
delle facoltà immaginative, così preziose per l’attore, avviene principalmente attraverso la fisicità. E l’attore deve
immaginarsi innanzitutto delle sensazioni, seppure legate a uno stato d’animo. L’immaginazione svolge una funzione
essenziale nell’arte creativa dell’attore, al quale è richiesta una capacità tutt’altro che ovvia di ricostruire la vita
psicologica ed emotiva del personaggio. Ciò avviene per analogia con la propria, mediante il “magico se”: se io mi
trovassi in tale situazione, cosa proverei?”. A questo punto ci sono tutte le condizioni per un’immedesimazione nel
personaggio che attivi le risorse interiori dell’attore. Ma il salto qualitativo avviene ricorrendo alla “memoria emotiva”, a
quel bagaglio di ricordi personali che hanno segnato la nostra vita psichica e che riaffiorano talvolta in modo spontaneo.
Con la teoria della “reviviscenza” di Stanislavskij viene definitivamente a cadere l’associazione romantica fra
immedesimazione e recitazione appassionata, priva di controllo.
Da una prospettiva completamente diversa partirà invece Brecht: per l’attore del teatro epico l’uomo non è un dato
immutabile, ma un oggetto di studio e giudizio, un fenomeno di cui analizzare i comportamenti piuttosto che
condividere i sentimenti.
Per evitare la ripetizione meccanica, l’attore di Stanislavskij seguirà la via dell’intuizione e dell’immaginazione, senza per
questo rinunciare al dominio delle proprie emozioni. La conoscenza del personaggio avviene attraverso la propria
individualità. Il training non si limita a esercizi per accrescere la prestanza e la duttilità fisica, ma comprende
un’educazione della sfera emozionale, o meglio del complesso rapporto fra intelletto e sentimenti, concezione del
personaggio e immaginazione.
I RITEATRALIZZATORI: MEJERCHOL’D E LA STILIZZAZIONE: Nei primi due decenni del ‘900 avviene una vera e propria
rivoluzione nel modo di concepire la rappresentazione. Venuto meno l’intento di riproduzione del reale, si ricercano i
segni essenziali, significativi, che possono esprimere il senso dell’esistenza e dell’uomo secondo una nuova prospettiva.
Il teatro non deve più rispecchiare la realtà, ma essere quint’essenza della vita. A livello estetico, ciò implica innanzitutto
una tendenza alla stilizzazione.
Nuova concezione teatrale sull’attore e la recitazione: muta il concetto stesso di rappresentazione. L’arte dell’attore
continua a essere fondata sull’uso del corpo come mezzo espressivo, ma con un intento completamente diverso: non si
procede più, come nel teatro dell’800 per assimilazione analogica e psicologica del personaggio, ma si esplorano altre
possibilità espressive, affidando per esempio ai movimenti traslativi il compito di creare lo spazio e l’ambientazione, o
usando il costume come segno scenografico. Il rapporto fra l’attore e gli altri elementi della creazione scenica diventa
fluido e osmotico, con un’intercambiabilità di ruoli e funzioni che sarebbe risultata improponibile all’interno di una
concezione tradizionalista di interpretazione del personaggio. Si ha la riscoperta della fisicità, ma di un corpo che per
l’attore stesso diventa materiale di lavoro, plasmabile e addestrabile. È vero che anche Stanislavskij poneva l’accento
sulla scomposizione del testo in frammenti, in compiti parziali per l’attore, che tuttavia facevano parte di un insieme
psicologico unitario e coerente. L’idea stessa di training si affermerà poi in direzione sostanzialmente diversa,
spostandosi sul versante della fisicità e relegando ai margini la psicologia e le tentacolari suggestioni della psicoanalisi.
La concezione di Mejercholìd dell’arte dell’attore costituisce un decisivo momento di svolta in questo percorso. Secondo
lui, una rappresentazione efficace si fonde necessariamente sul principio della stilizzazione, poiché deve far emergere i
tratti salienti del personaggio. Contrario alla riproduzione delle forme esteriori, propugna una scena convenzionale,
ovvero fondata sulla stilizzazione,sull’espressione sintetica del senso profondo dell’opera mediante simboli. È evidente
la lezione della pantomima, che si fonda su una scelta di elementi caratterizzanti piuttosto che su una mera imitazione
gestuale. Ma sono significativi anche i riferimenti alla convenzionalità del teatro giapponese e il recupero della vitalità
creativa della commedia dell’arte. La riteatralizzazione della scena passa attraverso l’inventiva e l’improvvisazione delle
maschere.
In linea con le suggestioni simboliste, Mejerchol’d auspica dapprima una distinzione fredda e scandita, che lasci
trapelare il mistero profondo dell’opera. Pur soddisfatto del risultato estetico complessivo di alcuni spettacoli realizzati
dal Teatro Studio, si lamenta del fatto che gli attori non riuscissero a liberarsi dalla recitazione realistica per una
gestualità convenzionale. La maggior parte degli interpreti erano allievi di Stanislavskij, mentre secondo Mejerchol’d
ogni scuola dovrebbe limitarsi a formare attori per il proprio teatro. Si tratta di un principio che sarà riproposto dai
registi successivi: l’insegnamento non deve essere una preparazione generale al mestiere, ma formare un nuovo tipo di
attore. Nel 1906 Majerchol’d scrive che la recitazione deve essere costruita per accenni, lasciando delle zone d’ombra
nella definizione del personaggio, affinché lo spettatore possa “completare con la fantasia quanto rimane inespresso”.
Una musicalità che Mejerchol’d ritiene essenziale all’arte dell’attore, il quale deve sviluppare una percezione ritmica di
gesti e parole.
DALLA PLASTICITÀ ALLA BIOMECCANICA: Mejechol’d giungerà ad affermare che l’attore deve basarsi sulla statuaria e
non sulla pittura. Aspetti innovativi:
1. La riscoperta dell’architettura, ovvero di uno spazio agibile che possa valorizzare i movimenti del corpo.
2. La rottura della tradizionale consonanza fra gesti e parole, che è un fondamento del teatro dell’800. Anche nella vita i
movimenti e l’espressività del corpo non traducono semplicemente parole, ma rivelano la natura del rapporto fra gli
interlocutori. I movimenti e i gesti non devono coincidere esattamente con la musica, ma seguire il proprio ritmo.
A partire dal 1913 Mejerchol’d inizio a lavorare a un nuovo metodo per la formazione dell’attore, che sfocerà poi nella
biomeccanica. In netta opposizione al teatro psicologico di Stanislavskij, Mejerchol’d vuole esprimere i sentimenti e le
emozioni dei personaggi attraverso la mobilità frenetica