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Nel finale della commedia Calogero si accorge dell’illusione e lo fa notare a Otto: rivendica

la sua autonomia e libertà ma tiene l’illusione per alimentare la sua vita. Di finali non ce

n’era uno solo, ma diversi, Eduardo ne aveva previsti 3:

Donna Marta è spregevole e Calogero mette fine allo spettacolo, scegliendo di

 rifugiarsi nell’illusione in maniera solitaria

Donna Marta viene riaccolta da Calogero in modo affettuoso, ma la donna non è

 felice, sembra aver dei ripensamenti e tutto si ferma bruscamente

(valido) Calogero apre le braccia per accogliere Donna Marta ma dopo la sua

 confessione, raccoglie la scatola e allontana la donna.

Questo finale, il terzo, è il più valido dei 3, sarà però modificato da Eduardo e messo nella

versione definitiva: Calogero è molto più maturo e lucido, coerente, non è più ingenuo né

ottimista, ma ora è un personaggio solitario, asciutto, dominato dalla ragione più che dal

cuore (= anti eroe). § 7

Diego Fabbri è negli anni ’50 il più grande drammaturgo italiano assieme a Eduardo de

Filippo: l’apice del successo è stato nel 1955 con “Processo a Gesù”, al Piccolo Teatro di

Milano, con la regia di Orazio Costa. L’opera successiva è improntata sul mondo del teatro

professionale con la tecnica del teatro nel teatro.

“Figli d’arte” racconta della riunione di una compagnia privata in un teatro di provincia: il

capocomico Osvaldo si avvale della collaborazione di un giovane regista, Carlo Mori, che

deve dirigere gli attori e impostare una commedia scritta per lui. Il I atto è la pièce cornice,

il radunarsi della compagnia, il II atto è la prova in piedi con la scenografia in allestimento,

in cui verso la metà gli attori si ribellano e vi è uno scontro fra regista e primo attore-

capocomico. Il III atto si svolge il giorno dopo il litigio, la compagnia ritorna e inizia a

provare, ma verso il finale c’è uno screzio fra attori e regista, risolto dalla madre di

Osvaldo, spettatrice interna. Fabbri tiene molto presente Pirandello, anzi, diventa una sua

influenza, ad esempio, attinge da lui la situazione di partenza, come l’episodio dell’attrice

che arriva in ritardo, sgridata dal capocomico. Osvaldo dovette piacere molto a Luchino

Visconti, che mise in scena la rappresentazione nel 1959 perché credeva negli stessi ideali,

il teatro di tradizione, il mestiere di far teatro, l’importanza del pubblico. Dal I atto inizia

subito una divisione fra attori di tradizione, poco colti e disordinati, ma devoti all’arte del

palcoscenico e al teatro, e il mondo teatrale contemporaneo, registi e attori di scuola. Il

regista Carlo è deciso e un po’ in disaccordo, un po’ arrabbiato con Osvaldo; Osvaldo ha

scelto la commedia, ha curato le modifiche, ha deciso la distribuzione, ha reso il regista un

nessuno, praticamente non necessario.

Carlo è il paladino della lotta a difesa della tradizione, come lo è anche Fabbri, credono

che il regista sia l’intelligenza del testo e mediatore e arbitro fra i divarii di interpretazione.

Nel II atto il divario si accentua: all’apertura si vede la scena della commedia interna, con

ambientazione dal barbiere, che il regista ha voluto. Il barbiere riceve un invito al ballo

dell’ambasciatrice, e qui il divario è forte: ambientazione realistica di Osvaldo? O spazio

vuoto destinato all’immaginazione dell’attore? Il livello di cornice invade quello interno,

nel momento in cui Osvaldo protesta che non si riconosce nel costume datogli dal regista.

Il regista così dice di essere stanco, di dover lottare e lascia il palcoscenico; l’attore rincorre

il regista, e riesce a riportarlo in scena recitando un discorso improvvisato di grande

effetto: l’attore rivendica l’equilibrio fra i ruoli, nessuno dei due deve rivendicare il ruolo da

demiurgo. Il demiurgo è assente, non c’è, perché sarebbe nel personaggio dell’autore. Nel

III atto c’è un punto importante: la preghiera in connessione con l’individuo, l’attore ora

vive la parte così da filtrarla attraverso la sua umanità ed è quel che succede in Matilde,

attrice dalla presenza seria e preparata, donna di grande esperienza. Matilde esprime la

sua, zittendo sia il regista, sia l’istrione, affermando che l’artista – l’attore in questo caso-

deve toccare il cuore degli spettatori sotto il profilo umano e insegna cosa vuol dire teatro:

mettersi al servizio degli spettatori. Matilde ha inviato un telegramma alla madre di

Osvaldo, convocandola a teatro perché lei è testimone delle volontà dell’autore sul finale

del testo. Grazie a Matilde, vi è il trionfo dell’attore di tradizione, quello vero, che sente il

personaggio, che si immedesima, che colpisce il pubblico, il teatro diventa così scuola di

vita per tutti, attori e pubblico, la pièce cornice è stata sconfitta da quella interna.

§ 8

Il “Sacrilegio massimo” del 1947-1952 di Stefano Pirandello (figlio di Luigi Pirandello), e il

“Dio Kurt” del 1968 di Moravia, sono testi derivati dall’irrompere della storia, i personaggi

sono vittime, recitano su un palcoscenico improvvisato di un lager, ambientazione

simbolica, proprio del grado di cattiveria e di disumanità che l’uomo può raggiungere.

“Sacrilegio massimo” è una denuncia contro gli orrori della 2° guerra mondiale, la violenza,

l’assurdità del comportamento degli uomini. È una tragedia in 3 atti in una anomala forma

drammatica: finita la guerra, una compagnia di attori si riunisce e decide di rappresentare

una tragedia interna; il testo è complicato, complesso, ci sono 3 livelli:

Pièce cornice = la compagnia di attori che si riunisce e si presenta al pubblico con

 lo spettacolo

Pièce interna = rievocazione della vicenda dei trecento ostaggi

 Pièece interna-interna = i trecento ostaggi mettono in scena una commedia di Levi

 “ I nostri bei vestiti”, recitata dagli stessi prigionieri per salvarsi la vita o almeno

ritardare l’esecuzione

I livelli sono intrecciati, non lineari, gli ostaggi alla fine vengono giustiziati, il tutto viene

ripreso dal monologo di Sara, una madre che ha appena perso un figlio. I personaggi sono

raggruppati con ruoli diversi nei livelli: nella pièce cornice, ci sono gli attori più il

capocomico; nel livello interno ci sono gli ostaggi guidati da Davide; nella pièce

intermedia i personaggi della commedia di Levi sono delle maschere divise in gruppi

sociali. Gli attori recitano dei personaggi che a loro volta recitano altri personaggi. Il

personaggio dominante, che svolge il ruolo di demiurgo è il capocomico Lijnski, che oltre

ad avere il ruolo di ponte e mediatore fra i livelli, ha anche il ruolo di diffondere le

responsabilità civili e sociali, di chi fa un mestiere nel teatro, dopo un evento terribile come

la guerra mondiale.

Davide è un personaggio ambiguo, come molti altri del resto, riflette sulla sua condizione

umana, è consapevole delle ferite che l’uomo ha provocato, ha dentro di sé un forte senso

di rivoluzione, assume un ruolo demiurgico interno, perché è drammaturgo della pièce

interna-interna. Usa il teatro come forma di ribellione, vuole esprimere la sua protesta e

testimoniare la memoria di chi ha perso. È portavoce dell’artista che vuole che sopravviva il

messaggio umano, di cui è detentore. Anche la scenografia è importante: gli spazi sono 2,

uno la cornice, e i luoghi della rievocazione, l’altro il teatro della messa in scena della

commedia di Levi. Nel 1952 Stefano Pirandello mostra il copione a Paolo Grassi, affinchè lo

proponga a Strehler per una eventuale messa in scena al Piccolo Teatro di Milano. Strehler

riconosce l’opera come una grande opera ma con un grande problema: la complessità

eccessiva del linguaggio e della stesura. Stefano accetta di lavorarci su, diminuirne la

lunghezza, rendere più chiaro e semplice il linguaggio, illuminare i tempi importanti. Nel

1953 viene rappresentata al Piccolo ma non ha successo e viene abbandonata.

Il “Dio Kurt” di Moravia affronta tematiche simili, l’azione si svolge nell’ambito delle

persecuzioni degli ebrei nei lager, viene usato il teatro nel teatro per dar vita a una

rappresentazione interna da parte dei detenuti. La trama è questa: in un campo di

concentramento della Polonia nel 1944, viene organizzato una specie di esperimento

culturale, per colpa del colonnello delle SS Kurt. Il pubblico interno è composto da ufficiali

e deportati, con lo scopo di proclamare gli obiettivi e la moralità del Terzo Reich. Nella

prima parte, chiamata da Moravia stesso, “prologo”, si possono vedere influenze

pirandelliane: Kurt, demiurgo, viene presentato come colui che comanda le vite dei

deportati, e si definisce infatti dio, demiurgo, regista, si crede e si sente superiore a tutti.

Nonostante Kurt segua la sua logica, c’è il rovescio della medaglia: Kurt diventa un

elemento di condanna del nazismo da parte dell’autore, perché Moravia ritiene orribili sia

il nazismo, sia l’alienazione capitalista. Kurt ricerca la sua verità, che può rendere vere le

sue teorie; contrapposto a lui c’è Saul, connotato da una grande prestanza fisica, è un

piccolo borghese, lavoratore, il contrario esatto di Kurt, ricco intellettuale, nazista. Kurt

sceglie la morte per salvarsi e la vince, Saul teme la morte, ma non la affronta, la subisce.

§ 9

nel 1973 viene rappresentata la prima parte di una trilogia che segnerà il secondo

Novecento: la trilogia degli Scarrozzanti, di Giovanni Testori: “Ambleto”, “Macbetto” e

“Edipus”.

Il tutto nasce dalla fondazione nel 1972 della Cooperativa Teatro Franco Parenti:

collaboratore è proprio Testori che ne diventa anche ideologo e scrive testi per questa.

L’idea iniziale è riscrivere in modo popolare l’Amleto di Shakespeare, inizialmente sembra

che ci sia in effetti una pièce esterna-cornice, e una interna ma andando nel profondo, i

livelli si fondono insieme, si mescolano così bene che non si riescono a riconoscere

singolarmente. Gli elementi fondamentali dell’ideologia di Testori sono l’importanza

dell’attore nello spettacolo e il culto della parola, ed è per questo che viene usato un

linguaggio particolare. Per i personaggi viene usato un mix diverso di registri

sapientemente mescolati, per es. italiano settentrionale con tratti dialettali, arricchimenti di

lingue straniere moderne e lingue classiche.

All’inizio dell&rs

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
16 pagine
1 download
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher rosy988 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del teatro contemporaneo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Cambiaghi Mariagabriella.