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PROTESTE E RIFORME SOCIALI

3. Le lotte operaie contribuirono a innescare un dibattito sulla regolamentazione del

mondo degli affari che investì l'intera società.

Alcuni americani middle-class ritenevano che quello esistente fosse il migliore dei

mondi possibili e ne celebravano le dinamiche e gli effetti, anche quelli sgradevoli,

considerati inevitabili filosofia del Darwinismo Sociale: concepita in Gran

Bretagna da Spencer, applicavano alla storia sociale le leggi che Charles Darwin

aveva applicato alla storia naturale; nella società come in natura, il progresso è

frutto della competizione tra gli individui e della sopravvivenza dei più adatti (coloro

che, ottenendo successo e ricchezza, facevano progredire l'intera umanità). Ogni

interferenza del governo in questo processo era controproducente. Si trattava di

una giustificazione delle politiche di laissez-faire e di libero mercato e dei

businessmen più aggressivi.

Gli esponenti dei ceti medi professionali e dei ceti proprietari e mercantili si

sentivano schiacciati tra questa classe di nuovi ricchi e il proletariato da essi creato

e si rifugiarono nelle nuove aree residenziali suburbane, ai margini esterni della

città, assediati da conflitti e rivolte sociali, ai loro occhi indistinguibili dalla

criminalità comune.

Il fatto che i nuovi proletari fossero stranieri e che il big business fosse favorevole

al loro arrivo, non fece che aumentare la paura. Si diffusero sentimenti xenofobi,

alimentati dalle teorie di storici e scienziati che iniziarono a sostenere che la

tradizione dell'autogoverno repubblicano fosse una virtù specifica dei popoli

anglosassoni, appartenenti a una razza “ariana” superiore. Gli altri popoli che

iniziavano a giungere in America erano invece ignoranti e incapaci di

autogovernarsi e dovevano essere tenuti fuori dai confini della Repubblica. Nel

1894 nacque a Boston la Immigration Restriction League.

Altri esponenti middle-class ebbero reazioni meno estreme e si convinsero che

invece di respingere i nuovi immigrati era necessario educarli alla lingua e e alla

cultura del paese, americanizzandoli. Il timore principale era che formassero delle

colonie etniche separate rispetto al resto della società, contribuendo ad aumentare

il livello di criminalità e analfabetizzazione. La vera soluzione fu individuata nel

rafforzamento della scuola pubblica di massa (frequenza obbligatoria,

insegnamento in inglese per tutti). Negli anni '90 la preoccupazione per il conflitto

di classe crebbe, e alcuni esponenti middle class si convinsero della necessità di

riforme ancora più ampie. Nacquero i “social settlements”, insediamenti volontari di

lavoro sociale che sorsero nelle aree metropolitane di maggior degrado, frequentati

da avvocati, giornalisti, intellettuali movimenti per migliorare le condizioni di

lavoro, abitative, i servizi sociali.

Alla fine dell' Ottocento una nuova sociologia si scagliò contro i principi del

darwinismo sociale e del laissez-faire, sostenendo il controllo umano sulle forze

naturali e sociali.

Le proposte di riforma ebbero successo inizialmente presso i governi dei singoli

stati. Questi, al contrario del governo federale, erano favorevoli a una politica di

intervento: dall'istruzione al controllo delle corporations e delle condizioni di lavoro

fin fabbrica, fino agli aiuti a favore degli agricoltori. Dopo il 1890 in una trentina di

stati furono adottate leggi che prevedevano la riorganizzazione del sistema

scolastico (es. frequenza obbligatoria fino a 14 anni, aumento del numero degli

insegnanti). Numerose comunità immigrate si opposero però a provvedimenti come

l'insegnamento obbligatorio in lingua inglese, considerandolo un modo per

cancellare le loro tradizioni nazionali. In alcuni casi nacquero istituzioni private,

generalmente di ispirazione religiosa.

Negli stati industrializzati del Nord venne posta allo stesso modo dai gruppi

riformatori (operai e middle-class) la questione della legislazione sociale e sul

lavoro. Quasi ovunque furono adottate leggi che garantivano il riposo domenicale,

vietavano il lavoro infantile, stabilivano norme sulla sicurezza, regolavano la

lunghezza della giornata di lavoro, proibivano la discriminazione contro gli iscritti ai

sindacati. Queste leggi avevano però limiti evidenti: erano disorganiche e facili da

aggirare ed erano spesso annullate dei tribunali statali o dalla Corte Suprema

federale per incostituzionalità.

Gli Stati cercarono inoltre di limitare il potere delle corporations: trusts e monopoli

vennero vietati per legge, le società ferroviarie (godevano di un monopolio

naturale) vennero sottoposte alla regolamentazione da parte di commissioni statali.

Ma su questa questione gli Stati erano in difficoltà e la spinta riformatrice, caso

unico in questo periodo, arrivò a coinvolgere anche la politica federale: Il

Congresso approvò l' Interstate Commerce Act (1887), che proibiva alle compagnie

ferroviarie di imporre tariffe eccessive o ingiuste, e lo Sherman Antitrust Act

(1890), che rendeva illegale ogni forma di accordo al fine di limitare la

concorrenza, prevedendo multe e condanne per i trasgressori.

Nel frattempo gli agricoltori del Sud e dell'Ovest, malgrado i progressi, avevano

subito una serie di cattivi raccolti ed erano stati colpiti da una caduta internazionale

dei prezzi agricoli che ridusse drasticamente i loro redditi. Le loro reazioni furono

durissime e si giunse a una vera e propria rivolta agraria; si organizzarono e

formarono movimenti cooperativi per chiedere che i governi federali intervenissero

a loro favore e poi, insoddisfatti dei risultati, si rivolsero direttamente al governo

federale.

Nel 1892, in Nebraska, dall'unione delle “farmers' alliances” (associazioni di

agricoltori) e degli operai dell'industria, nacque il People's Party (partito populista),

il cui programma riassumeva 20 anni di proteste. Si affermava che i poteri del

governo dovessero essere estesi per combattere l'oppressione e che i partiti

esistenti fossero corrotti e lontani dagli interessi popolari. Si chiedeva la

nazionalizzazione delle ferrovie e delle linee telegrafiche, una politica monetaria

basata sulla libera coniazione dell'argento e sull'aumento della quantità di denaro in

circolazione e l'istituzione di un'imposta progressiva sul reddito.

4. LA DEMOCRAZIA DEI PARTITI ALLA PROVA

Il sistema bipartitico si dimostrò solido. Negli ultimi 30 anni dell'Ottocento

Repubblicani e Democratici si confrontarono in competizioni accanite e dall'esito

incerto. I Repubblicani prevalsero a livello presidenziale con Ulysses Grant,

Rutherford Hayes, James Garfield, Chester Arthur e Benjamin Harrison. L'unico

presidente democratico fu Grover Cleveland. Nessuno di questi presidenti godette

però di maggioranze parlamentari favorevoli né alla Camera né al Senato. difficile

attività di governo, fasi di paralisi, necessità di compromessi, autorità dei presidenti

nuovamente limitata (il potere esercitato da Lincoln fu considerata una parentesi

dovuta a esigenze belliche). Il Congresso riprese il sopravvento governo dei

partiti.

REPUBBLICANI = Solide maggioranze al Nord. Il tentativo di insediarsi tra gli ex

schiavi al Sud era fallito con il fallimento della politica di Ricostruzione. Gli

esponenti più in vista di questo periodo erano tutti ex ufficiali dell'esercito vincitore

(Grant, Hayes, Garfield); questi cercarono di mantenere sempre viva la memoria

della “crociata per la riunificazione”. Erano gli eredi del partito federalista

(tradizione hamiltoniana), erano a favore di un forte governo federale e di una

rapida crescita industriale, stimolata da alti dazi doganali, e di una società

nazionale omogenea, creata grazie a programmi di assimilazione degli immigrati.

Erano i veri rappresentanti del big business, raccolsero consensi dal mondo degli

affari e dai ceti medi settentrionali.

DEMOFRATICI = Grande maggioranza negli stati del Sud, ma raccolsero consensi

anche in alcuni stati del Nord, dove però erano spesso accusati si essere il partito

della ribellione e del tradimento. Erano eredi della tradizione jeffersoniana.

Predicavano la riduzione dei dazi, una politica monetaria inflazionistica,

l'antimonopolismo, il governo minimo e decentrato, l'importanza dell'autogoverno

locale. Furono gli ispiratori della legge antitrust. Nel Sud esprimevano gli interessi

dei bianchi, nel Nord e nell'Ovest dei piccoli produttori, agricoltori e consumatori e

della classe operaia cattolica e di recente immigrazione, di cui difesero le diversità e

i costumi contro gli interventi americanizzatori.

I cittadini partecipavano con entusiasmo alla vita politica. Entrambi i partiti

perfezionarono le loro tecniche di propaganda e mobilitazione. I finanziamenti

erano assicurati tramite lo spoils system (gestione clientelare degli impieghi

pubblici, distribuiti agli attivisti di partito), le generose donazioni dei businessmen e

delle corporations, i contributi di militanti ed elettori. Le organizzazioni di partito

assunsero il nome di “machines”: erano vere e proprie macchine di potere,

strutture gerarchiche con il solo scopo di vincere le elezioni e mettere le mani sui

fondi pubblici per arricchire i capi corrotti. Queste macchine funzionavano perché

godevano dell'appoggio delle masse urbane più emarginate: nei quartieri popolari i

boss locali erano membri della comunità , aiutavano i bisognosi a trovare casa o

lavoro, parlavano le lingue degli immigrati, fornivano occasioni di svago e

socializzazione e in cambio chiedevano fedeltà al partito. Questo meccanismo,

utilizzato da entrambi i partiti, finì al centro di numerosi scandali negli anni '70. Per

la maggior parte degli americani, questi scandali non modificarono la convinzione

che il governo dei partiti fosse il trionfo della democrazia. Varie critiche

cominciarono però a sollevarsi da una parte dai dirigenti delle formazioni operaie e

agricole (credevano nel governo dei partiti ma ritenevano che quelli al governo

fossero portatori degli interessi di ristrette minoranze) e dall'altra da gruppi di

intellettuali e politici conservatori (l'intero sistema partitico era degenerato). Il

giornalista Mark Twain nel romanzo “The Gilded Age” (1873) fece una satira feroce

di questo sistema, al punto che oggi l'intera epoca viene descritta come “L'Età

Dorata”, cioè superficiale e corrotta. Alcuni storici più recenti tuttavia reputano tale

concezione esagerata: la corruzione non era così diffusa e fu la denuncia stessa

della corruzione ad acquistare visibilità. I critici più accaniti di questo sistema erano

infatti uomini appartene

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Publisher
A.A. 2013-2014
44 pagine
25 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/05 Storia e istituzioni delle americhe

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher valeriasav di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia degli Stati Uniti d'America e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Fiorentino Daniele.