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Caesaris sono nominati dall’imperatore per un periodo non fisso e hanno il titolo di legati Augusti pro
praetore.
Augusto aveva tentato di rinnovare il sistema comiziale: voleva far tornare a funzionale le
assemblee popolari in campo legislativo ed elettorale. Questo non significa affatto che viene lasciata
loro piena libertà di scelta politica: il controllo imperiale si esplica con la commendatio (diritto di
raccomandare alle assemblee determinati candidati), con la suffragatio (raccomandazione non
vincolata) e con la nominatio (diritto di decidere sull’ammissibilità delle candidature). Nei confronti
del senato Augusto mostrò riguardo, lasciandogli competenze e funzioni, ma volle anche tenerlo
sotto controllo. Aggiornò per tre volte la lista dei senatori, non solo per ridurne il numero cresciuto in
un modo esagerato negli ultimi decenni della repubblica, ma anche per eliminare indegni e/o
pericolosi per il nuovo regime.
L’epoca augustea rappresentò una svolta anche per l’organizzazione dell’esercito, trasformato in
una milizia permanente di professionisti, per il quale si fissano la durata della ferma (venti anni), lo
stipendium (225 denari all’anno) e il premio di congedo (3000 denari).
Il problema della successione ne rivelava al contempo i punti deboli, la precarietà. Il semplice
affermarsi del principio dinastico non solo avrebbe contrastato con l’ideologia augustea di
restaurazione della res publica, ma avrebbe richiamato troppo fortemente i modelli monarchici
orientali. Augusto costruiva la propria successione da una parte cercando il successore nella
famiglia, attraverso i matrimoni della sua unica figlia Giulia e le adozioni; dall’altra, per garantire
l’aspetto repubblicano, faceva seguire ai designati la comune carriera magistratuale e li insigniva di
poteri quali imperium proconsulare e tribunicia potestas che egli reputava il fondamento del suo
dominio. Tiberio ha già l’imperium proconsulare e la tribunicia potestas, ma non è ancora principe:
ha bisogno di un’investitura formale che Tiberio inizialmente dice di voler rifiutare e che infine il
senato gli conferisce. Caligola era erede del patrimonio di Tiberio, insieme a Tiberio Gemello, altro
nipote del principe. Il testamento privato però veniva inteso come di incidenza pubblica. Dopo
Caligola, i pretoriani acclamano Claudio. La successione a Nerone svela uno degli arcana imperii:
gli imperatori non si creano più a Roma, ma sui campi di battaglia.
Con i Giulio-Claudii il governo di uno solo è sentito come necessario. Tiberio migliora ed amplia il
funzionamento degli scrinia, ma è Claudio che provvederà alla riorganizzazione e in molti casi alla
creazione di veri e propri uffici: ad epistulis, a libellis, a studiis, a cognitionibus, a patrimonio, a
rationibus. Alla loro guida troviamo spesso i potenti liberi dell’imperatore: Callisto, Polibio, Narcisso e
Pallante. Con Claudio si ha una spinta all’integrazione nell’impero delle popolazioni provinciali, sia
con generose concessioni di cittadinanza, sia accogliendo i maggiorenti provinciali. Nerone riprende
i temi augustei di un governo diviso equamente tra principe e senato. Dalla crisi del 68/69 una
nuova dinastia si afferma a Roma. Scompaiono le antiche famiglie repubblicane, mentre si assiste
ad una crescita lenta e continua dei cavalieri e soprattutto all’avanzata dei provinciali. Vespasiano
proviene da una famiglia di notabili municipale e comincia la carriera nell’ordine equestre. Tra gli atti
di Vespasiano più rilevanti dal punto di vista amministrativo va ricordata la connessione del ius Latii
alle comunità della Spagna, a noi nota da numerosi statuti cittadini giunti per via epigrafica. Al breve
regno di Tito, che Svetonio definisce la delizia del genere umano, segue quello del fratello
Domiziano, che le fonti ci presentano come un nuovo tiranno (lo chiamano Nerone calvo). Gli
Antonini (96-192 segnano l’apogeo dell’impero, Nerva riconciliò l’inconciliabile: il principato e la
libertà.
Dopo l’uccisione di Commodo i pretoriani impongono Pertinace e i senatori lo accettano. Il suo
regno durò solo 87 giorni ed egli cadde vittima degli stessi pretoriani che lo avevano acclamato. Si
apriva una terribile stagione per Roma con una vendita all’asta dell’impero e lo scoppio di una nuova
guerra civile, con più pretendenti contrapposti (Didio Giuliano, Pescennio Nigro, Clodio Albino), fino
al prevalere di Settimio Severo, acclamato nel 193 dalle truppe di Pannonia. Il periodo dei Severi è
caratterizzato da un forte incremento del potere dei soldati e dall’evidente crisi dell’apparato
repubblicano. Settimio Severe prese una serie di misure a favore dei soldati: aumento del soldo,
organizzazione dell’annona militare e concessione di numerosi vantaggi sociali ed economici. In
realtà l’immagine stereotipata dell’imperatore-soldato, ostile alle sottigliezze della politica non rende
giustizia a questo principe, che in molti campi continuò a muoversi nel solco della tradizione. La sua
stretta associazione con l’esercito fu conseguenza del modo in cui era arrivato al potere. Alla morte,
il potere passò nelle mani dei due figli: Gela (subito eliminato) e Caracalla. A quest’ultimo si deve la
constitutio Antoniniana, con cui nel 212 viene concessa la cittadinanza a tutti gli abitanti dell’impero.
Dopo la parentesi del regno di Macrino, la dinastia dei Severi continua con Elagabalo e poi con il
cugino Severo Alessandro, rappresentato come il prototipo del buon imperatore: le fonti ricordano la
remissione dell’aurum coronarium, l’atteggiamento di rispetto nei confronti del senato.
In apertura delle Institutiones Gaio fornisce un quadro delle fonti del diritto: accanto a quelle tutte già
operative in età repubblicana enumera i senatoconsulti e le constitutiones principum. Augusto aveva
fatto ricorso alle tradizionali fonti di produzione, stimolando l’attività legislativa degli organi
repubblicani: aveva presentato lui stesso progetti ai concilia plebis in virtù della tribunicia potestas;
aveva indotto i consoli in carica a proporre ai comizi leggi. Dopo Augusto l’attività legislativa
diminuisce. Le deliberazioni del senato acquistano valore legislativo, intervenendo in campi finora
riservati ai comizi. Il senatoconsulto diventa uno degli strumenti della politica legislativa imperiale:
dal 28 a.C. Augusto aveva assunto il titolo di princeps senatus ed esercitò un influsso intenso
sull’attività dell’assemblea senatoria. La vera novità del principato nell’ambito della produzione del
diritto è data dalle costituzioni imperiali. L’attività normativa del principe si esplicava in diverse
forme: i rescritti, che potevano assumere la forma di vera e propria epistola o di semplice
subscriptio; gli edicta, ispirati all’editto dei magistrati repubblicani.
2. Produzione letteraria e storiografica tra opposizione e consenso
L’età augustea vede grandi trasformazioni per quello che riguarda la storiografia, le difficoltà nel
rapporto col potere già dei triumviri e poi del principe si fanno sentire, e la libertà di scrivere cede
davanti alla capacità di proscrivere. Tutto questo non è privo di conseguenze, e la storiografia è
considerata in qualche modo la vittima dei tempi nuovi in vari passi tutti convergenti. La risposta al
nuovo stato di cose non fu univoca; la storiografia senatoria reagì in modo assai critico, consapevole
di avere da raccontare cose di scarso rilievo, laevia memorati, rispetto alle antiche gesta del glorioso
passato repubblicano
È stata enfatizzata la presenza di non senatori tra gli storici nell’ultimo secolo della repubblica;
questo vale anche per l’età augustea, in cui appunto è ancora presente una active historiography.
Una storiografia militante di rilievo è quella di Asinio Pollione console nel 40 a.C., di vasta cultura e
interessi. Dopo Azio fu uno dei critici di Augusto, e si legò in amicizia con Timagene. Una
descrizione del rapporto tra storici e potere al tempo di Augusto come di un’età in cui ancora si
godeva di una certa libertà si ricava da un capitolo degli Annali di Tacito in cui si riporta l’orazione in
propria difesa di Cremuzio Cordo, accusato per le sue Storie nel regno di Tiberio.
I segni della crisi della res publica si ritrovano nel proemio di Livio, dove vengono collegati ancora una
volta e nel modo più esplicito i costumi e la storia di Roma: da una parte, con i buoni costumi, c’è la
grande storia della città e dell’impero, dall’altra, con la disciplina morale allentata e infine annullata, le
guerre civili e infine una situazione in cui si è incapaci si sopportare sia i propri vizi che i loro rimedi.
Tito Livio è legato all’immagine tradizionale di Roma, e tuttavia la sua visione storiografica ha
profonda consonanza con il nuovo clima augusteo. È uno storico letterario, dedito agli studi, estraneo
alla politica attiva, assai considerato anche dai contemporanei. La sua monumentale glorificazione del
passato di Roma, l’intonazione moralistica ed esemplare si adattavano bene all’ideologia restauratrice
del principato. Livio dichiarava di aver consultato tutti gli storici più quotati, mettendo a confronto le
varie versioni dove queste fosse discordanti, distinguendo il vero dal verosimile, oggetto piuttosto di
fabulae.
L’opera storia di Dionigi di Alicarnasso è centrata sulla storia della Roma delle origini, la protostoria
dei rapporti tra Italia e Grecia, l’etnografia italica e laziale connessa alle origini di Roma. Egli
dichiarava che intende scegliere argomenti di alto livello contenutistico, che richiedono impegno
stilistico e rechino grande utilità ai lettori. La grandezza del compito che si prefigge è strettamente
legata a quella di Roma; anzi, fin dalle origini si manifesta l’alto ruolo di questa città di cui egli ritiene
di aver dimostrato la grecità originaria.
A Orazio e Virgilio si devono opere che esprimono un’adesione attiva al programma augusteo; Virgilio
celebra in uno straordinario poema epico di ispirazione nazionale la vicenda di Enea e la sofferta
fondazione della nuova Troia. Orazio diventa uno dei poeti ufficiali del nuovo regime. La lettura epica
vede Lucano, nipote di Seneca, scegliere all’apposto un tema di storia quasi contemporanea,
narrando la guerra civile tra Cesare e Pompeo; la Pharsalia o Bellum Civile si risolve in una
esaltazione dell’antica lealtà repubblicana, e in una condanna esplicita del regime imperiale. L’epica
conoscerà una certa fortuna in età Flavia. I soggetti sono mitologici, solo Silio Italico canterà le guerre
puniche, riprendendo il tema della missione civilizzatrice di Roma.