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Editto del 12 febbraio 363: sono vietati i funerali durante il giorno (secondo la dottrina neoplatonica è condannata

la vista dei cadaveri durante il giorno perché contaminante).

Politica a favore delle città dell’impero

Restituisce alle città le proprietà fondiarie indebitamente occucpate: la misura ha lo scopo di fornire alle città

risorse finanziarie aggiuntive “per rendere possibile una ripresa di tutte le città”.

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Elimina la spesa dell’aurum coronarium (ovvero l’invio annuale ormai tradizionale di corone dorate

all’imperatore); l’aurum coronarium è reso rigidamente volontario.

Introduce regole severe nell’utilizzo del cursus publicus (il servizio dei corrieri imperiali) il cui mantenimento era

assicurato dalle città).

Impone agli esattori della tesoreria imperiale di lasciare la carica per un anno, dopo cinque di servizio, per dare

modo ad eventuali accuse nei loro confronti di avere seguito.

Amplia il numero dei componenti dei consigli cittadini permettendo che vi potesse accedere chiunque fosse

qualificato a farlo

Elimina l’esonero dal servizio come decurioni per i cristiani.

Gioviano (363-364)

Nel 363 organizza una spedizione contro l’impero persiano. Dopo una prima serie di successi è costretto a

ritirarsi; ferito gravemente durante uno scontro, muore senza nominare eredi.

I vertici militari e civili al seguito di Giuliano dapprima si accordano sul nome di Saluzio Secondo, praefectus

Orientis, quindi, di fronte al rifiuto di quest’ultimo, trovano un accordo sul nome di Gioviano, cristiano,

comandante dei protectores domestici. Costui, desideroso di rientrare con l’esercito per farsi riconoscere dal

resto dell’impero, conclude una pace svantaggiosa con Sapore II, cedendo le cinque satrapie al di là del Tigri

annesse da Galerio e cedendo le due colonie di Nisibi e Singara. Riconosciuto anche dal resto delle truppe

imperiali, Gioviano muore dopo soli otto mesi di regno nel febbraio del 364.

Valentiniano I (364-375) e Valente (364-378)

Anche questa volta la scelta del successore viene decisa dalle più alte cariche civili e militari dell’impero: dopo

lunghe discussioni ed un nuovo rifiuto di Saluzio Secondo, la scelta cade su un ufficiale pannonico, Valentiniano,

di umili natali ma asceso fino al rango di comes rei militaris, con una profonda esperienza di soldato e

amministratore. Nel ritratto che ne offre Ammiano Marcellino traspare la sua ostilità nei confronti dell’aristocrazia

senatoria e dell’intellettualità pagana. Come suo collega nomina il fratello Valente, da poco asceso al rango di

protector.

Tra le prime misure promulgate dai nuovi augusti vi sono: a) il nuovo ordinamento tributario; b) il principio della

ereditarietà delle condiciones professionali; c) l’epurazione dei quadri della burocrazia. Nell’agosto del 364 i due

Augusti si separarono, ripartendosi l’impero: l’Oriente tocca a Valente, l’Occidente a Valentiniano; esercito,

funzionari e risorse dello stato sono equamente divise tra le due parti.

Valentiniano, in Occidente, risiede tra il 365 ed il 375 nelle Gallie, a Treviri, da cui si allontana per una serie di

campagne contro gli Alamanni lungo l’alto corso del Reno.

Nel 367 intraprese una serie di campagne contro Pitti e Scoti in Britannia, felicemente condotte a termine dal

comes rei militaris Teodosio, padre del futuro imperatore.

Lo stesso Teodosio, promosso magister equitum, fu poi inviato in Africa per sedare la rivolta capeggiata dal

mauro Firmo (372-375).

Nel 374, mentre l’imperatore era impegnato contro gli Alamanni, Quadi e Sarmati attaccarono e devastarono il

confine danubiano, bloccati da Teodosio, il futuro imperatore, allora dux Mesiae. L’imperatore, immediatamente

accorso, condusse una serie di spedizioni punitive ma durante le trattative con una delegazione di Quadi, fu

stroncato, nel novembre del 375, da un colpo apoplettico.

Valente, in Oriente, deve invece fronteggiare una serie di congiure alimentate da nostalgici della dinastia

costantiniana e intellettuali e amici di Giuliano. Viene anche acclamato un nuovo augusto, Procopio, rapidamente

eliminato. La rivolta di Procopio è utilizzata da Atanarico, re dei Tervingi (Visigoti), in virtù dell’attaccamento

ereditario che i Goti avevano sempre mostrato verso la casa di Costantino, per invadere la Tracia. Tra il 366 ed il

369 l’imperatore combatte a nord del Danubio costringendo Atanarico ad accettare la pace, a rinunciare al tributo

annuale fino ad allora versatogli e a limitare il commercio tra Romani e Goti a due sole città sul Danubio. Tornato

ad Antiochia nel 370, l’anno successivo si formò un nuovo complotto contro l’imperatore, organizzato da ambienti

pagani. La cospirazione, scoperta nell’inverno del 371/2, e utilizzata per punire, oltre ai diretti responsabili, anche

altri esponenti dell’intellettualità pagana del tutto estranei al fatto. In seguito a tali avvenimenti fu promulgato il

divieto assoluto dei sacrifici di animali.

Sia Valentiniano che Valente si avvalsero della collaborazione dei medesimi ministri, per lo più uomini nuovi di

origine provinciale. Unica eccezione sembra essere stata rappresentata da Petronio Probo, prefetto del pretorio

di Illirico, Italia, e Africa appartenente ad un ramo della potente famiglia degli Anicii. I rapporti tra l’aristocrazia più

tradizionalista e gli imperatori furono infatti sempre basati su una reciproca e malcelata diffidenza; soprattutto a

Roma furono caratterizzati da una lunga serie di processi che videro i senatori accusati di veneficio, magia,

adulterio, etc…, mentre alla prefettura della città i nobili furono sostituiti da funzionari di origine provinciale e

talora anche barbara.

Altro motivo di frizione fu costituito dal favore dimostrato da Valentiniano verso i militari, anche se di origine

barbarica. Proprio per favorire le alte cariche militari nel 372 furono stabilite nuove regole per regolare la

precedenza in Senato e nel Concistoro. I magistri equitum et peditum furono posti sullo stesso gradino dei

prefetti del pretorio e dei prefetti urbani con precedenza a seconda dell’anzianità di nomina. Costoro ricevettero di

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regola il titolo di clarissimi et illustres. Porre sullo stesso piano cariche militari e civili e nel contempo creare due

nuovi ranghi – illustres e spectabiles – superiori ai clarissimi, costituì una duplice offesa all’ordine senatorio.

Si coglie, da parte di Valentiniano, una costante preoccupazione nei confronti dei ceti più umili, tradita, ad

esempio, dal ruolo attribuito alla figura del defensor civitatis, officium già attestato in oriente nei primi decenni del

IV sec. e che probabilmente nel 368 Valentiniano volle estendere a tutto l’impero. Compito dei defensores,

nominati dal prefetto del pretorio tra gli honorati, era quello di assicurare la giustizia per questioni di poco conto

(debiti, restituzione di schiavi fuggitivi, reclami per eccessi nell’esazione di tasse), rimandando le questioni più

importanti ai governatori. L’istituzione, come tradisce una costituzione del 370, tendeva a sostituire al patronato

dei potentiores quello dell’imperatore, nel tentativo di limitare la fuga dei contadini dal consortium del loro villaggio

per porsi sotto la protezione di potentiores che, come già affermava una costituzione di Costanzo del 360,

offrivano loro rifugio e giungevano, nell’offrir loro aiuto, ad ostacolare la riscossione dei redditi imperiali.

Di fronte all’abbandono delle terre, lo stato reagiva in due modi, o ribadendo, come in oriente, il tradizionale

legame del contadino libero al consortium del suo villaggio, responsabile collettivamente del gettito fiscale oppure

trasformando i coloni, pur liberi rispetto ai loro padroni, in servi glebae; in tal senso un passo importante è

costituito da una costituzione del 371 che stabilisce che i coloni non possano abbandonare la loro condizione e la

loro nascita. Se il colonato è in linea con le esigenze dello stato, il patronato, che ad esso è strettamente

congiunto è ad esse contrario, poiché proteggendo i contadini riduce le tradizionali funzioni amministrative delle

città ed il territorio da esse controllato.

La politica amministrativa dei due augusti appare contraddittoria: confiscano nuovamente le terre e i tributi delle

città (vectigalia e introiti dei fundi rei publicae) che incamerati dal fisco imperiale probabilmente sotto Costantino

erano poi stati restituiti alle città da Giuliano, sia pure adottando una misura compromissoria poiché un terzo di

queste entrate, amministrate dalla corona, dovevano dovuti essere ceduti alle città.

La sfiducia degli augusti nelle capacità amministrative delle curie cittadine emerge in un altro provvedimento, con

il quale decidono che non solo gli exactores (incaricati del controllo e della riscossione dei debiti fiscali) ma anche

i susceptores (collettori delle imposte e direttori dei magazzini in cui queste erano raccolte) non debbano essere

scelti tra i curiali bensì tra ex funzionari scelti dall’officium provinciale, in piena antitesi con l’indirizzo giulianeo

(che aveva permesso la nomina degli exactores tra i curiali); la misura tendeva probabilmente ad evitare che i

membri delle curie commettessero estorsioni.

Si assiste, però, all’introduzione, prima in Oriente e poi in Occidente, di una certa taxatio, sorta di calmiere per

limitare gli abusi dei militari nei prezzi di aderazione. Ciò permette che la politica fiscale dei due fratelli sia lodata

dai contemporanei e in particolare da Ammiano. Soprattutto Valente riesce a ridurre della metà l’indictio, dopo

averla mantenuta inalterata nei primi tre anni di regno, a dispetto del suo aumento continuo nei precedenti

quaranta anni. Contraddittoria, invece, la politica seguita nella prefettura illiriciana, dove si abolisce la capitatio, il

cui peso ricadeva principalmente sui contadini, ma si esige una iugatio addizionale per non ridurre i gettiti fiscali,

conducendo alla rovina molti proprietari fondiari.

In ambito religioso, i due augusti promulgarono un editto di tolleranza generale. Le terre dei templi furono

nuovamente confiscate ma fu permessa la libertà di culto pagano e si permisero deroghe alla legge contro i

sacrifici notturni per permettere la celebrazione dei riti misterici. In Occidente, fedele al credo niceno, furono

tollerate la maggior parte delle eresie fatta eccezione per i manichei e per i donatisti, inizialmente tollerati, ma

successivamente perseguiti quando molti di loro divennero seguaci di Firmo; l’imperatore non volle partecipare

alle dispute teologiche ma avvertì una sentita preoccupazione per la vita morale del clero. In Oriente, invece,

Valente, di credo ariano, perseguì senza successo i seguaci del credo niceno ottenendo come risultato, al

contrario, un progresso delle fede ortodossa..

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Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/03 Storia romana

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