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DUE SECOLI DI BENESSERE
Da Augusto in poi il sistema mantenne la sua buona struttura, fondata sulla divisione del potere (su base
compromissoria) tra classi senatoria ed equestre; i liberti erano impiegati nelle mansioni burocratiche più
basse. Tale capolavoro politico non diede segni di cedimento né sul piano istituzionale né su quello sociale.
Offriva, a chi partiva da una bassa condizione sociale ma possedeva delle qualità, di accedere a cariche
importanti e di elevarsi nel giro di una generazione (concetto del “farsi da sé”). Non si lavorava più solo per
provvedere all’autosussistenza quotidiana, ma anche per accumulare risorse da reinvestire in attività
economico-produttive. Vi sono numerose testimonianze epigrafiche di persone di bassa condizione che, in
poche decine d’anni, riuscirono a compiere un brillante percorso d’ascesa sociale (ex: iscrizione del
mietitore di Maktar, in Tunisia).
Si trattava di una società tumultuosa, che aveva come principali valori di riferimento il successo e
l’affermazione di sé (ex: personaggio di Trimalcione); non era importante l’origine di un uomo, ma fin dove
esso era riuscito ad arrivare. Esisteva comunque anche il rischio di insuccesso, che portava
all’emarginazione dei più sfortunati; era una società profondamente individualista e priva di pietà per i
perdenti.
Come modello però ebbe successo, perché consentì ad un gran numero di persone di raggiungere elevati
livelli di benessere, mai visti in nessun altro impero precedente. Questo perché i Romani seppero sostituire
alla differenza tra popoli una differenza sociale; tale strategia fu applicata fin dalle prime espansioni in
Oriente mediante le alleanze con le aristocrazie locali, che avrebbero avuto ottime possibilità di crescita se
fossero entrate nel gioco politico romano. A loro veniva offerta la garanzia che Roma non avrebbe quasi
toccato i loro patrimoni e che l’esazione fiscale sarebbe stata molto modesta (a parte un iniziale
risarcimento di guerra); avrebbero inoltre avuto l’opportunità di essere lentamente immessi
nell’organigramma politico, partendo dall’ordine equestre per arrivare poi alla classe senatoria.
Già all’epoca di Tiberio si era posto il problema dell’aprire le porte del Senato ai provinciali: il Senato vi si
opponeva fermamente appellandosi alle antiche tradizioni, ma le sue vere motivazioni erano di natura
economica. I senatori temevano infatti di perdere i propri privilegi ed erano anche intimoriti dai redditi ben
superiori ai loro che i provinciali ricavavano dai propri territori, nonostante la classe sociale di provenienza
(cioè quella dei grandi proprietari terrieri) fosse la stessa. Il problema fu risolto da Claudio nel 50 d.C., che
fece entrare in Senato alcuni esponenti della Gallia Comata. Nel II sec. d.C. la prevalenza dei provinciali in
Senato sugli italici divenne netta (almeno ¾). Nel corso degli anni dunque perse di importanza la distinzione
etnica in favore di quella fra classi, cioè dirigenti e governati (anche se, grazie alla forte mobilità sociale, i
governati potevano diventare membri delle élites dirigenti).
La cittadinanza romana fu estesa gradualmente: dava l’occasione di arricchirsi e di salire i gradini della scala
sociale dato che, grazie ad essa, non c’erano più ostacoli dal punto di vista giuridico nel passare dall’ordo
dei curiali cittadini, all’ordine equestre e poi a quello senatorio (sempre che si fosse in grado di accumulare
il capitale sufficiente). Anche le guerre non erano più combattute per ragioni nazionalistiche o di pensiero
volte a salvaguardare l’integrità etnica e l’indipendenza, bensì per acquisire più in fretta la cittadinanza
romana.
Il processo di romanizzazione si fece più veloce quando si cominciarono a stabilire contatti diretti con le
città dei territori conquistati. Se non c’erano città ne venivano fondate ex-novo, dotandole di costituzioni
modellate su quelle romane e intrattenendoci rapporti diretti. L’Impero romano quindi non era mai stato
uno Stato unitario e accentratore, bensì un insieme dei contatti stabiliti con le varie città. La struttura delle
province era utile prevalentemente per funzioni amministrative, fiscali e giurisdizionali, ma non interferiva
nel rapporto diretto delle città autonome (si autogovernavano con le proprie istituzioni e autorità) con
Roma. Roma stava all’Impero come ogni città stava al territorio della provincia in cui era situata.
Come diceva Elio Aristide, “l’Impero romano è un impero di città”.
LA DINASTIA SEVERIANA
In seguito alla congiura del 31 dicembre 192 in cui morì Commodo, era già noto che gli sarebbe succeduto il
prefetto urbano Pertinace. Di origine ligure o albese, aveva 68 anni ed era una delle personalità più
rispettate del Senato. Secondo alcune voci non fu nemmeno coinvolto nella congiura, ma probabilmente
non era vero.
La personalità di Pertinace richiama quella di Galba e Nerva, figure “di garanzia” che il Senato eleggeva
quando si liberava di un tiranno. Questi imperatori anziani, rispettabili, nobili, filosenatori e privi di figli
davano il tempo di preparare una successione interna al Senato.
Pertinace però, per via del proprio senso di dovere verso lo Stato (il fiscus imperiale era in pessime
condizioni), si rifiutò di accontentare le coorti pretorie con un donativo; venne perciò ucciso dalla guardia
personale dell’imperatore il 28 marzo 193.
Il trono divenne oggetto d’asta tra il prefetto urbano Flavio Sulpiciano ed il ricco senatore milanese Didio
Giuliano (p. 380 LdF); il Senato pareva solo uno spettatore intimorito ed indignato.
Le truppe provinciali acclamarono i propri comandanti: Settimio Severo (che era già stato elevato dalle
truppe di Pannonia appena dodici giorni dopo la morte di Pertinace) e Pescennio Nigro (governatore della
Siria). Giuliano fu ucciso per ordine di Severo, che era sceso in Italia ai primi di giugno per vendicare
Pertinace; fu poi proclamato Augusto dal Senato.
L’Impero si trovò così diviso fra due imperatori, il governatore della Siria Pescennio (italico) ed il legato di
Pannonia Severo (africano). Pescennio non era sostenitore dell’Oriente così come Severo non lo era
dell’Occidente solo per via dei territori in cui erano stanziati; ad avere forti legami con l’ambito siriano era
invece proprio Severo, che aveva sposato Giulia Domna (appartenente ad una delle più importanti famiglie
sacerdotali di Emesa, in Siria). Grazie all’influenza decisiva di Giulia e delle altre donne severiane (Giulia
Mesa, Giulia Soemia e Giulia Mamea), la loro dinastia si affermò decisamente come famiglia di stampo
orientale.
Severo fu il primo imperatore africano della storia; conosceva il latino, ma lo parlava con un forte accento
punico. Era del tutto estraneo alle gerarchie costituite dallo Stato romano, nonché indifferente al Senato ed
al primato di Roma e dell’Italia sul resto dell’Impero.
All’inizio, quando il suo potere non era ancora saldo, si mostrò rispettoso del Senato e gli fece anche
emanare un senatus consultum (che in seguito disattese clamorosamente) che gli proibiva di mettere a
morte senatori senza il consenso dell’assemblea.
Per limitare il potere della guardia pretoriana ne congedò tutti i membri a forza e li sostituì con soldati delle
legioni danubiane a lui fedeli (fu la fine della peculiarità italica della guarda pretoriana). Inoltre, per
bilanciarne le forze, pose anche un’intera legione di nuova creazione alle porte di Roma (ponendo così
termine pure alla smilitarizzazione dell’Italia).
Anche se il tempo che Severo trascorse a Roma fu molto breve si autoadottò nella famiglia degli Antonini
(insieme al neodivinizzato Pertinace), fornendosi così di antenati illustri.
Nel giugno 193 partì per l’Oriente per risolvere il contenzioso con Pescennio. Si diedero battaglia nella
pianura di Isso e Nigro fuggì per raggiungere il re dei Persiani, ma venne ucciso prima di varcare l’Eufrate.
Dopo questa vittoria Severo si vendicò di tutti coloro che avevano appoggiato Pescennio; Antiochia fu
punita venendo declassata al grado di villaggio, subendo la chiusura della zecca e venendo posta alle
dipendenze di una città vicina. Anche Bisanzio ebbe una sorte simile.
Prese inoltre provvedimenti nei regni minori autonomi d’Oriente, che vennero ridotti a provincia romana,
cui accompagnò una riorganizzazione amministrativa. La Siria venne smembrata in altre due province, Siria
Cele e Siria Fenicia, perché era stata fucina di usurpatori.
La creazione di nuove province (oltre alle due Sirie anche Adiabene e l’Osroene) mostrava una volontà
bellica nei confronti dei Parto; vennero anche aumentati gli effettivi sull’Eufrate con scopi d’attacco. I Parti
furono così definitivamente messi in ginocchio, senza più la forza di ribellarsi.
Nel 193 però aveva preso le armi contro l’imperatore anche il legato di Britannia Clodio Albino, battuto nel
197; i suoi sostenitori furono perseguitati mediante le liste di proscrizione, disattendendo così ovviamente
il senatus consultum precedente.
La fonte “Historia Augusta” fu tardiva ed il suo autore era sicuramente un senatore aristocratico, perciò i
giudizi che elargiva nei confronti degli imperatori erano positivi o negativi a seconda dei rapporti che questi
avevano intrattenuto col Senato. Nei confronti di Severo si espresse molto negativamente (p. 382 LdF).
Grazie ai beni confiscati ai proscritti Severo divenne molto ricco, tanto che questa ricchezza dovette essere
gestita da un ufficio dedicato. Era divenuta infatti res privata, separata dal fiscus pubblico e gestita da
funzionari autonomi.
In senso di spregio verso il Senato fece inoltre divinizzare Commodo.
Alla fine del 197 i romani riuscirono a prendere Ctesifonte sull’Eufrate, capitale dell’impero partico. Il re di
Armenia fece atto di sottomissione ai romani e pagò un tributo.
Nel 198 Severo associò alla porpora il figlio maggiore Caracalla e innalzò al cesarato il minore Geta. Poi
visitò tutte le province orientali e una volta tornato a Roma rifiutò il trionfo, ma fece erigere un Arco in
proprio onore.
Nel 203 intraprese un viaggio in Africa con tutta la famiglia imperiale, durante il quale soggiornò a lungo
nella propria città natale Leptis Magna. Di questa visita restano numerose testimonianze epigrafiche;
concesse alla città lo ius italicum (esentandola così dalla tassazione prevista per le province) e vi avviò un
nuovo processo urbanistico.
Fin dall’inizio Severo fece grande affidamento sull’eserci