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Cesare corre ai ripari: convince Crasso e Pompeo a incontrarsi con lui. Il convegno ha luogo a Lucca, nel marzo
del 56. Sono presenti, oltre ai triumviri, anche i più illustri loro sostenitori, circa 200 senatori.
Il nuovo accordo prevede:
Crasso e Pompeo saranno consoli nel 55;
si impegnano a prorogare per altri cinque anni il comando di Cesare in Gallia;
Crasso ottiene per il 54 il governo della Siria, con forze sufficienti a intraprendere una campagna
contro i Parti;
Pompeo ottiene le province iberiche, con la possibilità di rimanere a Roma e governarle mediante
legati.
L’accordo tra Pompeo e Crasso si rompe quasi subito: senza consultarsi con Crasso né con il Senato, Pompeo
incarica il fedele A. Gabinio, governatore della Siria, di intervenire in Egitto a favore di Tolomeo Aulete,
prevenendo Crasso che sarebbe stato in Siria l’anno successivo.
La mancanza di accordo tra i due permette che l’anno successivo siano eletti console Domizio Enobarbo e
pretore Catone.
La campagna partica di Crasso
Nel 54 Crasso compie una prima incursione in territorio partico; nel 53 penetra con tutto il suo esercito in
Mesopotamia ma viene sconfitto Carre. Durante la ritirata Crasso cade in un agguato e muore.
G. Cassio Longino, proquestore di Crasso, riesce a rientrare in Siria ed organizzare la difesa della provincia.
Il primo triumvirato
La situazione a Roma nel 54 è particolarmente difficile, con la città controllata dalle bande armate di Clodio e
Milone. Nel 54 non fu possibile procedere a regolari elezioni ed il 53 si apre con un interregnum. Solo nel luglio
del 53 sono eletti i consoli ma non è possibile procedere alle elezioni per il 52.
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Il 52 si apre con un nuovo interregnum. I candidati più forti sono due pompeiani, Q. Cecilio Metello Scipione
(suocero di Pompeo) e T. Annio Milone; alla pretura si presenta Clodio. Nel corso di uno scontro tra le bande di
Milone e di Clodio, quest’ultimo muore; il giorno dopo i suoi partigiani appiccano un incendio nella Curia, dove
avevano portato il corpo di Clodio, che si estende anche alla vicina Basilica Porcia. Il Senato, sia pure
malvolentieri, chiese l’intervento di Pompeo, eletto consul sine collega, nonostante fosse proconsole. Passa
quindi a eliminare le bande armate che terrorizzavano Roma mediante una serie di processi de vi. Lo stesso
Milone è condannato e si reca in esilio a Marsiglia. Un’accusa de vi colpisce anche Cecilio Metello Scipione,
assolto e poi eletto in estate console.
La conquista delle Gallie
55: spedizione in Britannia;
55: contro Usìpeti e Tèncteri;
54: spedizione in Britannia;
52:insurrezione generale dei Galli
La fine del primo triumvirato
Le illegalità compiute da Cesare nel 59 lo esponevano al rischio di un’accusa giudiziaria. Il pericolo era evitato
finché manteneva la carica di proconsole, di conseguenza aveva la necessità, terminato anche il secondo
quinquennio di proconsolato, di rivestire per la seconda volta il consolato (nel 48).
Un limite al suo progetto era la norma secondo cui un candidato dovesse presentare personalmente la
candidatura a Roma; poiché, tuttavia, un magistrato cum imperio non poteva entrare in città, Cesare avrebbe
dovuto deporre la carica ed entrare in città come privato cittadino, esponendosi però così al rischio di denunce.
Nel corso del 50 il problema venne lungamente dibattuto, con Pompeo che aveva fatto votare una serie di norme
contraddittorie, che da un lato concedevano a Cesare la possibilità di presentare la sua candidatura “in assenza”,
dall’altro abolivano questi privilegi.
Sul finire dell’anno un tribuno cesariano propose al Senato che Cesare e Pompeo deponessero
contemporaneamente i loro comandi; la proposta accolta dalla maggioranza dei senatori non ebbe seguito. Nel
gennaio del 49, gli stessi senatori ordinarono che Cesare congedasse il suo esercito. Cesare attraversò il
Rubicone e venne raggiunto da due tribuni della plebe, M. Antonio e Q. Cassio che avevano tentato di porre il
veto alla delibera del Senato.
I populares e l’oligarchia
Tra il 69 ed il 56 furono eletti 29 consoli (28 ordinari, 1 suffectus):
25 nobili (di cui 7 patrizi e tra i plebei, 4 della famiglia dei Metelli)
4 homines novi (tutti legati a Pompeo)
La registrazione dei nuovi cives non alterò il controllo esercitato dalla nobilitas sulla vita politica e la gestione
del potere.
Cambiano invece gli equilibri all’interno della nobilitas: il potere effettivo non dipende più dalle fortune elettorali
bensì dalla forza che si è in grado di mettere in campo.
In questo periodo vediamo utilizzato il termine popularis con valore tecnico nel lessico politico. I populares sono
coloro i quali “vogliono che ciò che dicono o fanno sia gradito al popolo”. Sono coloro che cercano il favore del
popolo e che utilizzano il popolo ai loro fini.
Ai populares si contrappongono gli optimates, secondo la definizione tradizionale “coloro i quali si comportavano
in modo che le proprie decisioni fossero approvate da ogni optimus”
Populares sono Pompeo, Crasso, Catilina, Cesare, Clodio, personaggi accomunati più che da un programma
politico, dal metodo con cui lo applicano.
Cicerone insiste sull’ipocrisia dei populares e sulla loro politica demagogica, tentando di distinguere tra falsi e veri
populares. Vero popularis considera sé stesso, identificando la causa del popolo con la difesa della repubblica.
Lo scontro tra Cesare e Pompeo
Passato il Rubicone, Cesare scese verso Roma con un’unica legione, ottenendo però lungo la strada il
passaggio sotto le sue insegne di numerosi reparti di pompeiani. Pompeo disponeva di due legioni, che avevano
però in passato servito con Cesare in Gallia e, di conseguenza, non le considerava sicure; preferì quindi
abbandonare la penisola e riparare in Epiro facendo appello alle clientele che si era costruito in Oriente negli anni
precedenti.
I CESARIANI: la “parte” di Cesare aveva una composizione più omogenea. Il nucleo era costituito da giovani a lui
entusiasticamente devoti. Tuttavia, non mancavano fra essi personaggi di sentimenti repubblicani (Decimo
Giunio Bruto, Tiberio Claudio Nerone) la cui presenza si spiega anche con la propaganda con cui Cesare
giustificava la sua azione: aveva preso le armi non solo per difendere la propria dignitas offesa, ma anche per
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difendere la dignitas dei tribuni e la libertà del popolo romano oppresso da una oligarchia; per il bene della res
publica era inoltre pronto ad affrontare qualsiasi pericolo.
I POMPEIANI: la “parte” di Pompeo aveva una composizione molto più eterogenea. I pompeiani in senso stretto
erano pochi; prevalevano gli ottimati che lo avevano seguito considerandolo il male minore; alcuni fra essi
francamente lo odiavano, come M. Giunio Bruto il cui padre era stato ucciso a sangue freddo nel 77 proprio da
Pompeo. Cicerone raggiunse Pompeo solo nell’estate del 49, più per dovere (Pompeo lo aveva fatto richiamare
dall’esilio) che per convinzione (Pompeo, non diversamente da Cesare, ambiva ad instaurare una tirannide).
Piuttosto che inseguire subito Pompeo in Epiro, Cesare preferì affrontare prima i suoi luogotenenti in Spagna che
costrinse ad arrendersi quasi senza combattere a Ilerda.
Nel gennaio del 48 sbarca in Epiro e assedia Pompeo a Dyrrachium. Poiché la flotta pompeiana controllava
saldamente il mare, presto venne a trovarsi a corto di viveri e dopo aver subito gravi perdite per le sortite degli
assediati, decise di spostarsi in Tessaglia. I due eserciti si scontrarono a Farsalo ove Cesare ebbe la meglio.
Pompeo si rifugiò in Egitto.
Dopo Farsalo, anche grazie alla sua clementia, alcuni dei più autorevoli repubblicani, come G. Cassio Longino,
M. Giunio Bruto e Cicerone, si arresero.
Pompeo fugge in Egitto sperando di trovare un aiuto nei figli di Tolomeo Aulete, Tolomeo XIII (ancora fanciullo) e
Cleopatra. I consiglieri di Tolomeo, sperando di fare cosa gradita a Cesare e di ottenerne l’appoggio contro
Cleopatra, uccidono Pompeo. Cesare, invece, giunto in Egitto si schiera dalla parte di Cleopatra; dopo aver
domato con difficoltà una violenta sommossa scoppiata ad Alessandria, Cesare sconfigge l’esercito di Tolomeo
che muore (gennaio 47).
Veni, vidi, vici.
Nel maggio del 47 Cesare si sposta dall’Egitto in Asia Minore per contrastare Farnace: costui, approfittando della
guerra civile, aveva cercato di recuperare il regno del padre. Dopo la battaglia di Farsalo aveva invaso prima il
Ponto, poi la Cappadocia e l’Armenia. Cesare lo affrontò a Zela, nel Ponto, sconfiggendolo e obbligandolo a
rientrare in Crimea; qui venne ucciso da un suo ufficiale.
La vittoria di Tapso
Tornato a Roma, riparte subito per l’Africa dove Cecilio Metello Scipione e Catone, aiutati dal re numida Giuba
avevano riorganizzato l’esercito pompeiano. Agli inizi del 46, a Tapso, furono sconfitti: Catone si suicidò a Utica,
Giuba a Zama, Metello Scipione cadde in uno scontro navale mentre cercava di riparare in Spagna. Il regno di
Numidia fu ridotto a provincia (Africa Nova).
Nuovamente a Roma, Cesare celebra 4 trionfi consecutivi per le vittorie sui Galli, su Tolomeo III, su Farnace, su
Giuba. Munda
Tra il 46 ed il 45 Cesare è costretto a intervenire nuovamente in Spagna, dove i figli di Pompeo, Gneo e Sesto,
avevano riorganizzato un esercito. Nel 45, a Munda, Gneo è sconfitto e poco dopo ucciso; Cesare torna a Roma
e celebra un nuovo trionfo. In Spagna citeriore, ancora in armi, rimane Sesto.
Cesare
Tra il 49 ed il 44 Cesare viene eletto per quattro volte console (nel 45 è per otto mesi consul sine collega) e per
cinque volte dittatore. La carica di magister equitum, più importante ora che in passato poiché Cesare fu per
lunghi periodi lontano dall’Italia, toccò ai suoi collaboratori più fidati: prima M. Antonio, poi M. Emilio Lepido.
I provvedimenti di Cesare
L’assenza di comunicazioni tra Italia e province orientali nel biennio 49-48 aveva determinato una crisi finanziaria
con difficoltà sia per lo stato che per i privati; per fare fronte ad essa:
ripristino dei dazi sulle merci importate in Italia (aboliti nel 60 a.C.)
riduzione dei beneficiari delle distribuzioni gratuite di grano (da 320.000 a 150.000)
impone la restituzione dei debiti; le proprietà dei debitori sono valutate secondo i prezzi
vigenti prima della guerra civile e non in base a quelli odierni, crollati per la crisi di liquidità.
Il problema dei debiti viene ripreso mentre Cesare è in Oriente dal pretore M. Celio Rufo che proclama le tabulae
novae, ovvero la cancellazione generale dei debiti. Il provvedimento fu bloccato dal console P. Servilio Vatia;
Celio fuggì da Roma e fu raggiunto da T. Annio Milone, rientrato dal suo esilio massaliota. I