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ENRICO ROCCA
Giornalista che si suicidò nel ’44. Ebbe punti in comune con Satta e Damiano.:
-‐ disprezzo per il duce e la sua guerra di dipendenza dalla Germania
-‐ diffidenza verso gli antifascisti
-‐ disdegno per la forma mentis servile e trasformista dei suoi connazionali
-‐ rimpianto per l’Italia risorgimentale
La strategia seguita da tutti questi autori: dissociarsi dal proprio passato,
attribuendo il fallimento del presente a un destino oscuro e implacabile e innervare
il tutto con ampie dosi di un moralismo apocalittico.
Benedetto Croce e la seconda guerra mondiale
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Durante la guerra civile nelle pagine di Croce aleggia il fosco presagio della
fine dell’Europa.
Nei lunghi e penosi anni di guerra, Croce si alzava ogni mattina sfiduciatoo dalla
vita, ma una volta entrato nel suo studio il sentir fiammeggiare il pensiero gli
restituiva qualche lietezza del vivere.
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Durante il fascismo “Critica” grazie all’intoccabile prestigio del suo direttore
riuscì a difende un’idea e una storia d’Italia dissociate d quelle imposte dal Regime.
Polemica contro uso politico del passato messo in opera dal regime e giudizio
ammirato sulle “Lettere dal carcere” ma Gramsci non mitizzato.
Infatti con la guerra fredda Croce avrà toni durissimi contro il comunismo.
L’intera cultura marxista trascurava tutta la filosofia che si è fatta nei secoli e alla
quale la sua si legava. La storiografia comunista negava l’idea stessa genuina della
vita sostituendole quella dualistica e manichea della lotta bene Vs male, mettendo
capo al trionfo finale dell’uguaglianza che farebbe sparire la disuguaglianza e
abolirebbe così la storia.
Ciò che Croce criticava era la considerazione della storia: la storia non più
realizzata dall’uomo nel ritmo spontaneo della sua esistenza, ma manipolata e
imposta dall’alto per creare un uomo nuovo, simbolo di una storia anche essa
nuova.
Perdita totale di senso storico.
Mentre Croce poi uscirà dal suo sconforto (prenderà parte alla Costituente), c’è chi
rimase per sempre distaccato:
PREZZOLINI: a Papini nel ’40 scrisse “se si vince si diventa una provincia tedesca,
se si perde una russa”. L’8 settembre accolse l’armistizio con malinconia e
umiliazione. “Mi pento- scrisse a Soffici- di aver voluto nel ’14 la guerra che fu fatta
contro la volontà del popolo. Quella fu l’origine di tutti i mali. Di lì il fascismo, la
sconfitta e il controfascismo e chi sa cos’altro riserba l’avvenire”.
Il successo del comunismo non lo spaventava troppo: “se riuscisse a vincere in
Italia, farebbe come il socialismo il fascismo, sarebbe marcio entro una
generazione. Il suo difetto non sarà di essere comunismo, ma di essere italiano.”
PAPINI
Alla fine degli anni ’30, intellettuale inquadrato nel regime, partecipò
all’Accademia d’Italia, aderendo a quel moderatismo pantofolaio che in gioventù
aveva sempre sbeffeggiato.
Pian piano la guerra ai suoi occhi assunse lineamenti sempre più apocalittici. Si
ritirò in solitudine e negò ogni sua firma alla rivista del neo fascismo fiorentino
“Italia e civiltà” e rifiutò di succedere a Gentile nella presidenza dell’Accademia
d’Italia.
Nel 1° anniversario della Liberazione, vergava un ritratto impietoso dell’Italia
liberata:
“un paese sconfitto, occupato da stranieri, disprezzato, odiato e spogliato d atutti i
popoli, dove la gente invece di perdonarsi ed unirsi non fa che denunciare e
accusare, condannare e uccidere.”
SOFFICI
Dall’inizio aveva offerto il suo appoggio alla guerra di Mussolini. Il crollo di tante
illusioni lo porterà a ripiegarsi su se stesso.
Ciononostante
Dopo l’8 settembre aderì alla RSI e per questo fu internato nei campi di
concentramento per i fascisti non pentiti.
Per lui, mussoliniano della prima ora, la patria resterà per sempre quella fascista
nonostante le aporie che confermerà.
Per Soffici il fallimento dell’Italia era di tutti gli italiani: se tutti erano colpevoli,
nessuno lo era. Questa fu la scusa dei neofascisti per giustificare il passato littorio.
GIOACCHINO VOLPE
Storico ufficiale del regime che non rinnegherà le sue idee.
Il distacco dal conflitto era stato graduale. Dopo 8 settembre non aderì alla RSI
perché fu impossibile per un monarchico comem lui identificarsi in uno staterello
socialisteggiante, animato da rigurgiti di violenza squadrista.
La difficile scelta della generazione 1925
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La generazione degli anni difficili volume laterziano che nel 1962 raccolse e
integrò una lunga inchiesta apparsa a puntate sulla rivista milanese “Paradosso”
Raccoglie interventi di quasi 30 intellettuali nati tra ’20 e ’25: Abbate, Bozo,
Calvino, Compagna, Del Buono, Ottieri, Sciascia, Treccani…
Per la prima volta la generazione dei ventenni della seconda guerra mondiale
usciva alla scoperta per discutere le proprie vicende biografiche.
Libro fondamentale per comprendere lo stato d’animo di una generazione confusa
è: “Tiro al piccione” scritto da un ex repubblichino RIMANELLI. (trama: un
giovane molisano, salito dopo 8 settembre su un camion di tedeschi in fuga e infine
costretto ad arruolarsi nella RSI. Il suo incontro con la guerra è del tutto casuale. È
l’incontro di chi giovanissimo e senza alcun bagaglio ideologico è costretto da un
bando o una retata d arruolarsi in un esercito considerato straniero.)
Antieroico sin dal titolo, il romanzo svela una guerra atroce, combattuta da
ufficiali di venti anni e soldati di 15.
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SOAVI: “Un banco di nebbia” uscito nel 1955 parla dell’immatura adesione alla
RSI ma Soavi a differenza di Rimanelli che viene da famiglia contadina, era
borghese, fascista più per necessità che convenienza. . ciò che emerge dal libro è lo
spaventoso deserto di valori in cui è immerso il protagonista.
HUGO PRATT: fumettista che si arruolò nel Battaglione Lupo della XMas e che
poi nei giorni della Liberazione si accodò alle truppe alleate. “io? Io non sto con
nessuno, sto per i cazzi miei” = suo motto.
Un anarchismo che plasmerà anche il suo Corto Maltese, marinaio romantico alla
Conrad, capitano senza battello e vagabondo solitario.
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CATTANEO che poi fu biografo di Gadda e Verga, era tra quegli studenti con
qualche nozione letteraria e di nessuna convinzione politica. Arruolato nella RSI
ne fuggì grazie a una licenza per malattia.
GIORGIO CHIESURA “pacifista”
Magistrato veneziano pubblicò un breve saggio introduttivo alla nuova edizione di
un suo vecchio diario di guerra, dove esplicitò che tutto ciò che aveva scritto “tratta
di guerra o ne è ispirato o ne prende le mosse”.
“Sicilia 1943”: era un giovane sottotenente dell’esercito italiano, giunto in Sicilia
appena in tempo per assistere alla fallimentare difesa contro lo sbarco alleato.
Tornato a Venezia si consegna ai tedeschi e trascorre 19 mesi nei campi di
prigionia poiché il suo era un servire senza averne i presupposti, un agire
inventando altri pretesti, un subire ricercando altre ragioni.
Nella nuova nota introduttiva del 1993 Chiesura mette in chiaro che l’uomo
comune è costretto a uccidere altri uomini. È questo l’essenza morale di ogni
guerra e fu per questo che Chiesura preferì la prigionia piuttosto che proseguire il
conflitto dalla parte giusta.
Il dopoguerra –scrittori popolari-
L’esperienza di Chiesura fa riflettere su una dimensione rimossa della seconda
guerra mondiale: la prigionia dei 700 mila internati militari italiani catturati dopo
l’8 settembre e deportati in Germania e Polonia.
Oltre 600mila si rifiutarono di giurare fedeltà alla RSI.
Come mai questa diserzione di massa?
Presa di coscienza antifascista.
Tra il ’45 e ’80 furono pubblicati più di 100 diari, ma l’unico a riscuotere un gran
successo fu quello di: à
GIOVANNINO GUARESCHI (Uscito nel 1949) il libro più popolare di
Guareschi fu: “Mondo piccolo” = raccolta di brevi racconti con personaggi fissi
(sindaco Peppone comunista e Don Camillo l’arciprete).
I libri di Gureschi = valori tipici del mondo piccolo nel tragitto dal regime alla
democrazia cristiana. Masse di uomini che erano passati dal fascismo al
postfascismo senza conoscere la resistenza-
Ormai lo sappiamo. Nel ’43-’45 il dilemma della scelta –coi partigiani o con i
fascisti- coinvolse solo uno spicchio minoritario della popolazione, mentre
nell’animo dei più prevalse l’attesa della fine della guerra.
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VI ERA DUNQUE UN’AMPIA ZONA GRIGIA CHE INCLUDEVA ALP AL
PROPRIO INTERNO UNA VARIETà DI POSIZIONI:
-‐ RESISTENZA CIVILE = CHI NON IMBRACCIò LE ARMI MA SI
PRODIGò NELL’ASSISTENZA AI COMBATTENTI
-‐ IL COLLABORAZONISMO PASSIVO Fu Larga PARTE DELLA
BUROCRAZIA CHE Seguì LA RSI
-‐ IL DOPPIO GIOCO DI CHI OSCILLAVA TRA UNO SCHIERAMENTEO
L’ALTRO (FUNZIONARI FASCISTI CHE AIUTAVANO QUALCHE
PARTIGIANO/ CERTI INDUSTRIALI CHE PUR FACENDO AFFARI
CON I TEDESCHI, FINANZIAVANO IL CLN)
-‐ COLORO CHE, ESTRANEI AGLI SCHIERAMENTI DI GUERRA,
AGIVANO PER SOPRAVVIVERE.
GIUSEPPE BERTO
Studente di lettere, partì volontario per l’Etiopia. 1940 inquadrato nelle camicie
nere, dopo la disfatta del suo battaglione fu fatto prigioniero e internato. Durante
prigionia trovò giorni da riempire e compose “Cielo è rosso” “Le opere di dio”.
Senza retorica difese la buona fede dei colonizzatori italiani.
Alla radice delle sue disgrazie: non eccessivo patriottismo ma la smodata
ambizione di voler partecipare di persona agli avvenimenti cosiddetti storici.
Poi cambia rotta: divenne militante del disimpegno.
Negli anni 60 divenne opinionista di area moderata del Resto del Carlino. Per lui la
Resistenza italiana era stata un movimento minoritario essenzialmente negativo,
nel senso che mirava alla sconfitta del fascismo, ma non aveva alcun programma di
base per il futuro.
CURZIO MALAPARTE
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Best seller: La pelle volumetto fatto per piacere agli italiani della zona grigia, a
quanti dopo il crollo mussoliniano non cedevano alle lusinghe del mito CLN.
La II G.M = epilogo della decadenza europea, inaudito concentrato di violenza
ingiusta prescindere dagli schieramenti. Nausea verso la crudeltà