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PARTE PRIMA - LA GUERRA
Il rifugio della torre d'avorio dei letterati era particolarmente odiato da Mussolini, sosteneva che "fuori dalla storia l'uomo è nulla", con il regime si adopera per distruggere il concetto crociano dell'autonomia dell'intellettuale fino a costringerlo a servire gli interessi del fascismo. Nel 1925 Croce promuove il manifesto degli intellettuali antifascisti, contrario al manifesto degli intellettuali fascisti promosso da Giovanni Gentile. Curzio Malaparte firma "ragguaglio sullo stato degli intellettuali rispetto al fascismo": il compito del duce non era solo quello di imporre un nuovo ordine spirituale al popolo ma anche fare guerra alla dispersione degli intellettuali. "Intellettuale" diventa un termine quasi negativo, sinonimo di "imboscato" e "slegato dalla realtà". Anche Giuseppe Bottai sosteneva l'interventismo e non le sole parole, così Gentile all'entrata in
guerra della nazione al fianco di Hitler sosteneva che con la grandeguerra l'Italia schiva e letteraria fosse stata depurata. Per Mussolini non esiste una letteratura di intervento che compete con quella nata dalle trincee della Prima guerra mondiale. Dopo il 1926 la libertà di stampa non esisteva più, dagli anni '30 le riviste e giornali sono mezzi di chiamata alle armi, nella Gazzetta del Popolo Lorenzo Gigli sosteneva che non fosse più possibile l'isolamento volontario, Mussolini esortava a prendere parte alla vita. Nel pieno della guerra d'Etiopia (1936) Alberto Consiglio vede una letteratura intesa come riflessione sulle cose che accadono. La "rassegna storica del Risorgimento" diretta da Cesare Maria de Vecchi portava avanti l'idea di rivedere la storia con occhio del tempo, sostanzialmente al servizio del fascio (nel '40 direttore e personale imbracciano le armi). La questione di una letteratura fascista è un tema chesta a cuore al Duce: i primi indizi di una letteratura fascista si hanno con "poema africano della divisione 28 ottobre" di Filippo Tommaso Marinetti reduce dalla guerra. Nel '39 "critica fascista" sosteneva che non si poteva pensare una letteratura non cucina al tempo storico in cui si esprime, si tratta di un'arte vicina alla vita nazionale. Anche Curzio Malaparte sostiene la tesi, "la guerra non nega né annienta l'arte". Nel caso della guerra africana prevale il bozzettismo, nel 1947 Ennio Flaiano pubblica Tempo di uccidere, romanzo circa la guerra africana. I risultati più interessanti della letteratura della Seconda guerra mondiale derivano dalle sfere della propaganda. Concetto Pettinato pubblica il pamphlet Gli intellettuali e la guerra, pubblicato a Ginevra e respinto dalle riviste che curava Bottai (critica fascista e primato). Viene accusato di disfattismo. Condanna l'astensionismo degli intellettuali ma al tempo stessosembrava essere possibile una mediazione tra azione e non azione: gli intellettuali accompagnano i soldati con parole e pensiero. Lo scritto viene citato in colloqui privati di Mussolini, che in sede privata tacciava di marginalità e irrilevanza i letterati, ritenendoli estranei alla vita vissuta degli italiani, esempio di insofferenza nei confronti della guerra è Giuseppe Prezzolini: "il dovere dell'intelligenza consiste nel ritirarsi e lasciare dominare le altre forze". Sprezzante nei confronti dei "nemici naturali e denigratori della propria patria" c'è Ardengo Soffici. Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, nel 1940 Piero Calamandrei annotava in un diario l'irritazione di Giovanni Gentile verso gli intellettuali che apparivano sempre più antirivoluzionari. La cultura era giunta alla guerra senza capacità di partecipare. Bonaventura Tecchi, deciso antinazista nonostante formalmente abbia incitato alla guerra.sostenevache "il novanta percento degli artisti non sentono questa guerra, (...) e molti sanno quali pericoliporterà all'Europa una vittoria del germanesimo".>>>Gli intellettuali (Malaparte) lavoravano come se non ci fosse la guerra.Nel '43 su "primato" si registra il disinteresse di scrittori e artisti, nel '45 "nuova Antologia" una delletestate più fascistizzate aveva censurato la tendenza degli intellettuali a chiudersi in un'attesa apatica,incoerente se si guarda la stagione iniziale del direttore Gentile che all'inizio della Seconda guerramondiale aveva dimostrato riserbo per poi scendere in campo. Paolo Monelli (visone non fascista)ritrae l'assenza degli intellettuali; quindi, il passaggio dal fascismo a democrazia non vedecambiamenti circa il disimpegno intellettuale.I secondi anni '30 Alessandro Bonsanti fonda la rivista "Letteratura" nelle ci pagine i temi politici esocialinon avrebbero avuto più spazio, Pratolini e Gatto iniziano a dirigere il quindicinale "Campodi Marte" che si accosta all'ermetismo e alle prime prove letterarie, la fiducia del termine in brevetempo del conflitto era svanita, così ci si rifugiava nella letteratura. Letteratura definita da Forcella come "unica finestra aperta sul mondo" che mirava ad essere uno scudo protettivo. Fra il '39 e '41 "Inventario della casa in campagna", la guerra viene quasi esorcizzata. Piero Calamandrei compone immergendosi in un paesaggio bucolico, quasi come Pavese che nella campagna delle Langhe trova rifugio. Pavese nella condizione di straniamento prendeva conoscenza della necessità di miti universali e fantastici al fine di esprimere l'esperienza da lui vissuta, in quel periodo redige racconti a sfondo mitologico raccolti in "Feria d'agosto". "Letteratura come vita" di Carlo Bo esprime i sentimenti.di quel periodo, "la letteratura è la nostra coscienza", la vita si fondava su una conoscenza più completa di noi stessi, sulla consapevolezza dell'eternità dello spirito e di conseguenza la letteratura non poteva avere un fine pratico, è una condizione. Per Raffaele La Capria il divario tra letteratura e storia era diventato sempre più marcato. Il passaggio dalla fantasia alla coscienza. Nel '43 Italo de Feo alla notizia del tracollo della guerra sosteneva che si sarebbe portata gioia quanto un sentimento di amaro. L'invito alla mobilitazione degli intellettuali ha il massimo rigoglio con "Primato", diretto da Bottai, il quale coltivò il sogno di essere seduttore della gioventù a favore del regime, mirava ad una nuova classe dirigente che sarebbe dovuta nascere dall'incontro tra fascismo e cultura. Denuncia la fortuna dell'intellettuale di sottrarsi alla guerra rischiando di nonavere più a mente il loro ruolo all'interno della società. Galvano della Volpe esprimeva fastidio nei confronti di scritti filosofici e troppo tecnici, preferisce il "fare". Mario Lupinacci sosteneva la necessità per l'Italia di creare il "Kipling italiano", uno scrittore apertamente militarista. Giorgio Pasquali riconosce che ogni tentativo di orchestrare l'interventismo stava fallendo. Le prospettive della guerra fascista ci pensa Giovanni Comisso, in "felicità dopo la noia". Ad inquietare viene messo in risalto il fallimento della sua generazione che dopo aver fatto la guerra (Africa in particolare), non si ha alcun ideale e non si sa cosa fare della propria vita. Per rimediare alla noia l'unico modo è la morte, manca la prospettiva di un futuro. Secondo Moravia il fascismo aveva impedito la diffusione dei libri legati alla cultura europea e aveva imposto alla letteratura il formalismo a discapito.La letteratura italiana durante il periodo del fascismo ha subito una forte influenza politica a discapito della sua qualità. Molti scrittori hanno appoggiato il regime fascista, mettendo da parte gli interessi umani. Tuttavia, c'è stata anche una corrente di pensiero opposta rappresentata da Bontempelli, che ha sostenuto che la letteratura dovesse sottrarsi abilmente alla politica.
Moravia ha condannato coloro che hanno promosso una prosa d'arte che ha incoraggiato il fascismo con il loro approccio astratto. Al contrario, Bontempelli ha fornito caratteristiche antifasciste alla letteratura formale.
Nel 1948, Solmi ha scritto sull'influenza del fascismo sulla cultura italiana, sostenendo che la politica e la tradizione nazionale hanno agito sulla cultura. Benedetto Croce, nell'Estetica, ha appoggiato la tesi di Bontempelli. Solmi ha anche sostenuto che dopo d'Annunzio, la letteratura italiana è diventata crociana, aspirando a essere pura letteratura. Senza una lettura accurata dell'Estetica, secondo Solmi, il futuro del fascismo non avrebbe compreso nulla della cultura del Ventennio.
Gli intellettuali avevano vissuto la distinzione tra letteratura valida e letteratura ufficiale (propagandistica). Gli intellettuali in Italia erano stati perseguitati a livello individuale per motivi politici o razziali e la letteratura è aliena da ogni interesse per la vita sociale e politica, alterità della letteratura che era stata sostenuta da Renato Serra (m. 1915).
La generazione di intellettuali come Comisso, negli anni '30 aveva attraversato tutta la parabola del fascismo e non credeva più alle sorti del paese. Tecchi disprezza gli uomini di cultura collusi con il fascismo, l'impegno subordinava lo spirito alla materia. Tra gli intellettuali né di destra né di sinistra c'è Montale (oltre che Pavese e Flaiano), i quali si dedicano a riempire d'ozio i tempi tra le due guerre, Montale in Le occasioni crea un alibi per chi non voleva essere corresponsabile della guerra.
La Seconda guerra mondiale non ha una vera e propria
La letteratura di intervento ha una letteratura di uscita dal conflitto che riflette una memoria frantumata. Il libro che meglio restituisce l'immagine dell'epoca è Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati del 1940. Buzzati è stato redattore per il Corriere della Sera, si rende conto che i sogni giovanili si sarebbero atrofizzati nell'attesa di una svolta improbabile. Il titolo originario del deserto dei Tartari era La fortezza, venne cambiato per volontà di Leo Longanesi. La trama è povera di avvenimenti, è la storia del tenente Giovanni Drogo, inviato in una cittadella militare dove sorge la fortezza Bastiani dalla quale si teme l'invasione dei Tartari. Il tenente trascorre la vita in un'attesa estenuante e solo quando la sua salute sarà troppo debole e oramai lui troppo vecchio si avvertirà il presagio di una battaglia alla quale non potrà prendere parte. È destinato a morire solo e dimenticato da tutti.
Buzzati rifiuta la letteratura impegnata. Stando a quanto dichiarato da Giorgio Bocca, Buzzati era ostile al nuovo genere favolistico, mirava invece al mantenimento di ogni cosa.