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PARTE SECONDA
Capitolo 5. Il sessantotto italiano.
Quando parliamo di “Anni Sessanta” dobbiamo tener presente che non è possibile
periodizzarli all’interno di quegli anni che segnano l’inizio e la fine del decennio.
Analizzare questo periodo storico significa prima di tutto considerare i caratteri di fondo di
questo cruciale decennio della storia italiana che, secondo gli storici politici, possono
essere ridotti a quattro:
Economia: in questi anni esplode e si consuma il “miracolo economico” italiano,
1. ovvero il ciclo più intenso di sviluppo nella storia dell’Italia unita.
Modernizzazione: accompagna la crescita economica. L’industrializzazione, infatti,
2. genera trasformazioni degli assetti demografici del paese che, nonostante il primo
triangolo industriale agli inizi del 900, era rimasto essenzialmente rurale. Ora invece
l’industrializzazione porta ad una gigantesca mobilità della popolazione, muta i
contadini in operai, riempie le città, svuota le campagne e segna la definitiva
affermazione della famiglia nucleare. Lo sviluppo industriale genera un’improvvisa
“rivoluzione dei consumi” che va a smontare quell’immagine dell’italiano frugale e
risparmiatore tanto decantato da Enaudi e dai dirigenti comunisti, e porta alla
secolarizzazione della società e dei costumi.
Società: industrializzazione e modernizzazione mettono in moto processi di
3. mobilitazione dei gruppi sociali alcuni dei quali, come i giovani operai e i giovani
universitari, assumono le modalità specifiche dello “Stato Nascente” (Alberoni) : una
mobilitazione nella quale vengono messi in discussione e ristrutturati gli aspetti
fondamentali dell’agire sociale. Si apre così la stagione dei movimenti collettivi che
segnò il decennio e rappresenta un drastico cambiamento rispetto al decennio
passato.
Nascita e rapida eclissi del centro sinistra: ovvero dell’unica forma politica di tutta la
4. storia repubblicana dotata di uno slancio riformatore che si proponeva di governare
lo sviluppo economico e rispondere alla domanda di inclusione delle classi
subalterne.
Stabiliti questi quattro punti principali, la periodizzazione appare più semplice: tutti e
quattro i processi decollano nel 1958, facendo di quell’anno uno spartiacque significativo
nella storia dell’Italia repubblicana.
In quell’anno entra in vigore la Comunità Economica Europea, prende le mosse il boom
economico italiano accompagnato da una accelerazione inaspettata
dell’industrializzazione (sostenuta sia dalle esportazioni ma anche dall’estensione dei
consumi interni), muore Pio XII, il Papa che più di tutti aveva impersonato la tradizione
conservatrice del cattolicesimo e della chiusura dogmatica, e gli succede Giovanni XXIII
che invece avrebbe ridisegnato completamente la cultura cattolica. Ancora, dopo le
elezioni politiche di quello stesso anno (che sanciscono l’ascesa politica di Fanfani,
segretario della DC) il progetto politico della centrosinistra entra in campo e diventa il
punto di riferimento dell’azione politica di tutti i partiti.
Sempre nel ’58 inizia la grande emigrazione dei meridionali verso le grandi città industriali
del nord e lo spopolamento delle campagne.
Questi processi interagiscono con nuovi fenomeni di costume come:
• Introduzione dei blue jeans e del rock and roll;
• Boom della televisione che raggiunge quasi il milione di abbonati;
• Irruzione sulla scena televisiva di personaggi come Domenico Modugno e Mina
che, rompendo con la tradizione melodica italiana, saranno destinati a diventare
simbolo di questa rivoluzione musicale.
• Spogliarello di una famosa ballerina turca in un locale di Trastevere
Tutti questi elementi delineano l’inizio di una nuova epoca in cui profonde saranno le
spaccature rispetto alla mentalità collettiva precedente e si andrà a delineare l’inizio di una
nuova epoca nei quali i miti del benessere avrebbero rimodellato completamente i valori
comuni e la psicologia delle masse.
Manca, nel 1958, un riferimento ai movimenti collettivi: in quell’anno le fabbriche erano
ancora immerse nel clima di prevaricazione che si era imposto nel dopoguerra sulla scia
della vittoria politica della DC e della sconfitta, sul fronte sindacale, della CGIL. È con il
rinnovo del contratto dei metalmeccanici dell’anno successivo che la conflittualità riemerge
con forza e si aprì la prima grande stagione di lotte operaie dal dopoguerra che sarebbe
durata fino al 1962 e raggiungendo il suo apice nel 1960, con il Natale in piazza degli
elettromeccanici.
In quest’ottica diventa il 1960 l’anno periodizzante soprattutto se si tiene conto che in
quello stesso anno, alle lette operaie, si affiancò la mobilitazione collettiva antifascista del
luglio: con la mobilitazione contro il governo Tambroni e il Msi, intenzionati a svolgere un
loro congresso nazionale proprio a Genova (città della Resistenza), emerse il
protagonismo collettivo dei nuovi soggetti sociali. Essi, al di là della differente collocazione
rispetto all’universo produttivo, erano accomunati da un’appartenenza generazionale: le
piazze erano riempite da giovani, giovani operai, giovani studenti, tutti messi in movimento
da un complesso di fattori che si possono ridurre all’insoddisfazione per le condizioni
economiche svantaggiate ma anche ai nuovi bisogni di libertà individuale (Carlo Levi).
Erano i Giovani con la maglia a strisce, un movimento collettivo embrionale nel quale per
la prima volta studenti e operai si ritrovavano insieme per protesta.
Se il 1958 (e in parte anche il 1960) può essere considerato come il termine di inizio della
nostra periodizzazione, bisogna ora stabilire qual è quello finale. Sulla base delle
considerazioni fatte fin’ora, la conclusione degli anni sessanta non può non coincidere con
il venir meno degli elementi propulsivi che li avevano alimentati.
Per quanto riguarda l’economia, lo sviluppo di quella italiana giunse al termine nel 1973
con il primo shock petrolifero che causò un eccezionale innalzamento del prezzo della
materia prima che reggeva le economie dei paesi industrializzati. L’avviarsi dell’inflazione
e della stagnazione fece emergere lo spettro di una nuova crisi generale che in Italia
avrebbe assunto dinamiche, gravità e tempi del tutto particolari.
Sempre nel 1973 la lunga stagione di lotte operaie si interruppe bruscamente e subisce
una mutazione genetica: il movimento studentesco, già entrato in ombra nel ’69, si sfarina
rapidamente nella crisi dei partiti extraparlamentari sorti sulle ceneri del 68, mentre la lotta
operaria assume i caratteri di un movimento di difesa dei diritti ottenuti. Il rapimento del
capo del personale della Fiat, Luigi Amerio, da parte delle Brigate Rosse mette in luce che
nelle dinamiche dei movimenti collettivi si erano sviluppate altre alterazioni: mentre le
centrali sindacali imboccavano la via della negoziazione corporativa, nelle roccaforti dei
sindacati (parti irriducibili del proletariato industriale) reagirono alla fine del ciclo espansivo
scegliendo strade esemplari come la lotta armata.
Nella stessa successione di anni si esaurisce anche l’esperienza politica del centrosinistra:
nel giugno ’72 si insedia il secondo governo Andreotti e segna la fine del centro sinistra
dopo 10anni di governo.
Se assumiamo come termine degli anni 60 il 1973, possiamo parlare di un “decennio
lungo”, un quindicennio, all’interno del quale il 68 sembra costituire una sorta di snodo tra
le fasi diverse del periodo.
Una fase del ciclo positivo dell’economia italiana poteva dirsi conclusa con l’entrata
dell’Italia nel Mercato Europeo Comune.
A poco meno di 10anni dalla conclusione della lunga fase di ricostruzione,l’Italia si era
reinserita nell’economia internazione raggiungendo alcuni risultati significativi: bilancio dei
pagamenti in positivo, bilancio statale in pareggio,la lira era forte sui mercati internazionali
e un sistema produttivo abbastanza competitivo
Tuttavia la riduzione della popolazione agricola e il limitato incremento degli addetti al
settore industriale mise in evidenza la principale stortura di questa prima fase di accelerata
industrializzazione del paese: nonostante l’intensità dello sviluppo, il triangolo industriale
non si era rivelato in grado di integrare nel mercato del lavoro quel milione di contadini.
Questi ritardi non impedirono che, dal 1958, lo sviluppo economico subisse un’ulteriore
accelerata e si mantenesse a livelli alti per circa un lustro. Il fattore di questo exploit è una
combinazione di tre fenomeni fondamentali: l’espansione della domanda interna, la
crescita delle esportazioni e l’intervento pubblico. In questi anni il reddito pro capite crebbe
di notevole intensità stimolando la crescita del mercato interno che si aprì ai consumi di
massa.
Sulla base quindi del modello di sviluppo che partiva agli inizi degli anni 50, non solo si
verificò un salto di qualità nella evoluzione della domanda ma si inserì un altro fattore,
ovvero l’inserimento dell’ Italia nel Mercato Comune che garantì ai prodotti italiani
opportunità di mercato favorevoli in una fase di straordinario sviluppo del commercio
mondiale.
Dopo un lungo cammino durato quasi un secolo, l’Italia aveva raggiunto la configurazione
di un moderno paese industriale. Il segnale più significativo è dato dal fatto che, rispetto al
decennio precedente, a struttura industriale del paese riuscì ad assorbire un’ondata più
massiccia (si può dire? Boh, ditelo come volete :D ) di forza lavoro agricola: non ci fu un
processo migratorio che portò all’estero ma, al contrario, un gigantesco spostamento di
popolazione dal sud verso l’industrializzato nord. Gli economisti sono d’accordo
nell’affermare che questi lavoratori, disponibili ad essere occupati a bassi salari, poco
sindacalizzato, poco formato professionalmente costituì un elemento chiave del miracolo
economico italiano. La presenza sul territorio di questa imponente forza lavoro permise
all’industria italiana di guadagnare in competitività rispetto ai mercati internazionali,
potendo contenere al massimo i costi del lavoro. Questo contenimento fu realizzato non
solo attraverso una politica di bassi salari ma anche attraverso una massiccia introduzione
di progresso tecnico e scientifico: l’introduzione di meccanizzazione e automatizzazione,
applicazione dei principi tayloristici. Gli ex contadini rappresentano questa nuova leva di
operai comuni, impiegati a salari miserabili nelle catene di montaggio. Si formò così un
nuovo proletariato di fabbrica che si sovrappose in