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COLPI DI CUORE
Storie del sessantotto
RADICI I
La genealogia del sessantotto, vista dall’oggi, è a dir poco affollata. Si va dai marxisti variamente critici al
maoismo all’anarchia alla tradizione della democrazia partecipativa, dai consigli alla teologia della liberazione
ai molti «anti»: antimperialismo, antirazzismo, anticonsumismo, e, in Usa, l’antitotalitarismo libertario di cui
è capofila Hannah Arendt. In primo piano, la critica alla famiglia dell’esistenzialismo francese e della scuola
di Francoforte, che la vede come una fabbrica di personalità rigide e autoritarie, funzionali al successo del
nazismo. Mentre la Comune di Parigi convive con le lotte di liberazione anticoloniale in Africa e in Asia, con
l’Algeria, con Cuba, si stagliano su ogni modello di antagonismo le campagne per i diritti civili dei neri
d’America e contro la guerra in Vietnam.
A questo patrimonio attingono in forme proprie tutti i movimenti studenteschi, e poco importa che la sua
influenza cambi da situazione a situazione, o che alcune sue componenti siano in contrasto fra loro. Per la
prima volta dal dopoguerra si crea, indipendentemente da partiti e sindacati, una comunanza internazionale
di idee e di lotte. È l’aspetto più citato del sessantotto. Verso la fine del decennio, piccolissimi gruppi
traducono e diffondono documenti del movimento studentesco e dell’antimilitarismo americani, che fanno
scoprire quanto siano ampie la renitenza e la diserzione della guerra in Vietnam. Intanto si struttura il mondo
della nonviolenza.
La nuova offerta di idee e di pratiche – che vengono sia dall’interno del mondo giovanile sia dall’esterno e
che hanno un raggio di influenza molto diverso - fa crescere la politicizzazione, soprattutto a sinistra, e varie
forme di agitazione investono le scuole superiori. Momento clou, nel 1966, lo «scandalo» della «Zanzara»,
giornalino di istituto del liceo milanese Parini, che pubblica il resoconto di una tavola rotonda organizzata da
due studenti e una studentessa su sessualità, rapporto con i coetanei, famiglia, religione, morale. Titolo: Che
cosa pensano le ragazze d’oggi?. Le ragazze di oggi rispondono, con qualche ingenuità, qualche
estremizzazione e molto coraggio, rivendicando «assoluta libertà sessuale e modifica totale della mentalità
[…] in modo che il problema sessuale non sia un tabu, ma venga prospettato con una certa serietà e
sicurezza», uguale diritto ai rapporti prematrimoniali per maschi e femmine; infine, osano sostenere che «la
purezza spirituale non coincide con l’integrità fisica». Mentre il preside ed alcuni professori cercano un
confronto, la Gioventù studentesca di don Giussani protesta duramente e vari genitori minacciano di ritirare
i figli dalla scuola. Il vicequestore avvia un’indagine, e i tre promotori vengono convocati da sostituto
procuratore a palazzo di Giustizia. I due maschi sono costretti a spogliarsi e a sottoporsi a ispezione corporale
da parte di un medico. La ragazza rifiuta e chiama i genitori. Al processo, che si chiuderà con il
proscioglimento, interviene una folla di giornalisti che metteranno in prima pagina il caso, visto come il
debutto di uno scontro fra due modi di concepire la morale, la vita, l’educazione, il diritto, e come una
sferzata contro l’ipocrisia travestita da purezza etica.
L’episodio della «Zanzara» prefigura vari contenuti del ’68: la combattività degli studenti, il desiderio di
trasformazione nei rapporti sessuali e privati, lo sconcerto degli adulti, la reazione violenta e rigida delle
istruzioni.
Quasi tutta la scuola italiana sembra fare del suo meglio perché i conflitti esplodano proprio mentre sta
crescendo enormemente la frequenza in tutti gli ordini di studi. Non è solo effetto del baby boom, è che
l’istruzione viene ora considerata una delle forme più importanti di servizio sociale, un diritto umano
fondamentale, uno strumento irrinunciabile per l’uguaglianza delle opportunità e per la tenuta delle
democrazie. Governi e famiglie investono sempre più nella scuola. La nuova scuola nasce fra grandi
contraddizioni, e già in origine è minacciata nel suo ruolo formativo dal grande «educatore clandestino» che
è la cultura di massa. In compenso, diventa un luogo di incontro e di relazione come mai era stata fino allora:
il tempo passato nelle aule aumenta, la condizione di studente diviene una parte sempre più lunga della vita,
adolescenti dei due sessi e di provenienze sociali diverse condividono esperienze e stati d’animo. Nelle
università degli anni sessanta si affolleranno giovani già predisposti ad una critica radicale dell’istruzione; e
presto scopriranno che anche la cultura accademica è poco attraente, e che essere studenti non ha più niente
di prestigioso. Sono di inizio anni sessanta le prime lotte per il diritto allo studio e sugli sbocchi professionali.
In tutto l’Occidente inizia un movimento di distacco da una società vissuta come il regno della noia, della
smania consumistica e del vuoto di idee, di una competizione frenetica e patetica – e dell’incubo della
catastrofe nucleare. Culla e centro di irradiazione sono gli Stati Uniti della guerra fredda, del benessere e dei
ghetti neri; il principale terreno di cultura dell’insofferenza giovanile sono gli adolescenti maschi di classe
media, anche se il fenomeno tocca ragazzi e ragazze sia neri sia bianchi e di diversi strati sociali. Le differenze
restano, ma il dato dell’età ha una forza unificante prima sconosciuta, il conflitto generazionale quasi si
sovrappone a quello di classe. In tempi rapidi, il sogno americano viene irriso e parodiato. Cambia il modo
di presentarsi – capelli troppo lunghi o troppo corti, jeans, giubbotti, stili trasandati e casuali. Si fanno strada
forme di trasgressione sul piano sessuale e amoroso. Dilaga la passione per il cinema, i viaggi, la musica, i
nuovi balli, i concerti, la velocità, ore passate al tavolino di un caffè o sdraiati sull’erba di un parco, occhiali
da sole e sigaretta spenta in bocca. In senso figurato e letterale, i ragazzi non stanno più al posto previsto per
loro. Nella genealogia del sessantotto questo spaccato di comportamenti ha un posto speciale, e così i suoi
primi laboratori di idee e di immagini, la cultura di massa e le controculture beat e hippie. I ribelli e fragilissimi
figli della borghesia James Dean e Natalie Wood. La seconda metà del decennio è nel segno di Elvis Presley.
A calamitare l’identificazione dei teenager è l’abbinamento fra suono e immagine, fra corpo e voce, il suo
appeal erotico, la sua contaminazione fra musica pop ascoltata dalla borghesia, il country, il rhythem and
blues (tre filoni allora separati). Il rock sarà in molti paesi la colonna sonora della rivolta di due generazioni.
Nel frattempo ha preso forma la controcultura della Beat generation, fenomeno prima letterario poi sociale.
Ispiratori, un gruppo di narratori e poeti che uniscono alla ricerca di nuove forme espressive il rifiuto
dell’occidente aggressivo e tecnologizzato, il culto dell’amicizia, l’amore per il jazz e il buddismo Zen, l’uso di
droga e alcol per ampliare le capacità percettive; che scelgono la precarietà lavorando saltuariamente,
vivendo mentalmente e spesso materialmente «sulla strada».
Da qui prende origine negli anni sessanta il movimento hippie – capelli lunghi, vestiti a poco prezzo, unisex,
colorati e scintillanti, marijuana e acidi, un rispetto affettuoso per la natura e gli animali, lo slogan «fate
l’amore non fate la guerra», le comuni alternative dove sperimentare rapporti diversi. Ragazzi per lo più di
famiglia proletaria, che reagiscono allo smantellamento delle tradizionali comunità operaie esasperandone
le connotazioni. La trasandatezza diffusa non è casuale né necessariamente anticonsumistica; ma non è
neppure il conformismo alla rovescia che idolatra il nuovo, piuttosto un intrico di movimentazioni che
partono tutte dal rifiuto di considerare l’esistente come l’unico mondo possibile. Fra gli adulti sedimentano
astio, disprezzo, e una voglia di repressione soddisfatta da polizie e tribunali.
Questi movimenti giovanili, per quanto ingenui e pieni di limiti, sono i primi a avvertire l’invivibilità sociale, e
reagiscono con un tentativo di «secessione» rilevante in sé e per sé, che non si fonda sulle etnie o sui
localismi, ma cerca di costruire negli interstizi della società qualcosa di interamente diverso, un mondo
parallelo non più basato sul lavoro e sulla integrazione subalterna nella famiglia, nello Stato, nelle ideologie.
La controcultura non rimane chiusa in sé stessa e nei propri circuiti informali. Ci sono progetti
artistico/culturali – di fotografia, pittura, design, artigianato, moda – che guadagnano nicchie di mercato. Un
tratto degli anni sessanta è proprio l’intreccio fra individualismo, solidarietà e uno spirito imprenditoriale che
consente a molti giovani di mantenersi e imporsi facendo quel che gli piace fare. Agli occhi degli adulti, Presley
è il segnale che i “bravi ragazzi” bianchi possono trasformarsi in teppisti. Oltre che alla sua formula musicale,
si devono alla novità della sua immagine corporea sia il culto di cui lo circondano i giovani e le band, a
cominciare dai Beatles, sia l’astio del ceto medio rispettabile.
Il ‘900 è il secolo dei giovani non solo per la nuova consapevolezza generazionale, ma perché gli adulti hanno
capito che buon investimento siano per i consumi. Della cultura di massa e dei persuasori occulti, come
venivano chiamati allora i pubblicitari, si preoccupano gli intellettuali e politici. Per (alcuni) conservatori, il
rock è sesso, violenza e droga, per (alcuni) progressisti è una rivolta fittizia, senza la prospettiva di classe a
darle dignità.
Ancora lontana dai livelli di modernizzazione dei paesi più industrializzati, l’Italia non lo è se si guarda
all’insofferenza giovanile, già visibilissima alla fine del decennio cinquanta con il teppismo adolescenziale e
le fughe da casa, poi con la comparsa di quelli che i media chiamano teddy boys, beatniks, lolite, rockettari,
cappelloni. Elvis Presley e James Dean diventano rapidamente icone, i primi cantautori e i primi «urlatori»
sono portati al successo e adorati dal pubblico giovane.
In Italia il dato dell’età si impone: i primi a emigrare al nord sono i giovani, fra i ragazzi di classe operaia e
quelli di ceto medio corrono predilezioni e idiosincrasie simili, forme simili di trasgressione sessuale e
amorosa. Nell’immaginario degli adulti irrompe così la “gioventù b