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CEE.
Gli esordi degli anni ’70 furono caratterizzati da due processi di trasformazione politica che
riguardarono la destra e la sinistra e che concorsero a dare una configurazione bipolare al sistema
dei partiti: il gollismo manifestò sintomi di crisi che favorirono la scissione di una componente di
destra più estremista portando all’indebolimento del partito.
Mitterrand, Chirac e le riorganizzazione bipolare del sistema politico francese
A sinistra, l’assunzione della carica a segretario del partito di Mitterrand avviò la riforma del
partito, ma furono i governi di Chirac (1974) e Barre (1976) a dover affrontare la crisi economica,
con il primo che si affermava come astro nascente del neogollismo.
La svolta degli anni ’80 fu segnata dalla vittoria di Mitterrand del 1981 alla presidenza della
Repubblica e dalla conquista alle elezioni successive della maggioranza da parte dei socialisti.
La destra prevalse però alle elezioni del 1986 e Mitterrand fu costretto ad assegnare la presidenza
del Consiglio a Chirac, che arrivò alla presidenza della Repubblica nel 1995.
La Spagna dal franchismo alla democrazia
Gli anni ’70 segnarono la transizione della Spagna dalla dittatura franchista alla democrazia e
l’avvio del suo processo di integrazione nella Comunità europea.
Dopo la fine del conflitto mondiale, la Spagna aveva vissuto una lunga stagione di isolamento
internazionale, favorita dalla politica di boicottaggi economico deliberato dalle Nazioni Unite. Ciò
non riuscì a destabilizzare il regime di Franco, che continuò ad avvalersi dell’appoggio della
gerarchia ecclesiastica (i primi segni di distacco si manifestarono solo con Concilio Vaticano II).
L’anziano dittatore preparò alla fine degli anni’60 la transizione politica postfranchista con la
restaurazione monarchica nella persona di Juan Carlos: essa avvenne in condizioni difficili sia per la
crisi economica mondiale, sia per la ripresa del nazionalismo basco.
Alla morte di Franco (1975) il re guidò la transizione politica verso la piena liberalizzazione del
regime. Si trattò di una svolta inaspettata e avversata dal franchismo. Fu varata una nuova
Costituzione d’ispirazione democratica (1978).
L’entrata della Spagna nella NATO (1982) e nella CEE (1986) chiusero la transizione spagnola dal
franchismo con il pieno riconoscimento internazionale delle democrazia spagnola: essa si veniva
configurando come un sistema bipolare, articolato attorno a due maggiori partiti di centrodestra e di
centrosinistra, il popolare e il socialista.
La transizione portoghese alla democrazia
Contemporanea nei tempi, ma diversa nella dinamica, fu la transizione democratica in Portogallo.
La dittatura di Salazar, subentrata al governo negli anni ’30 si era perpetuata fino alla sua morte
negli anni ’70. Tuttavia, il Portogallo aveva mantenuto relazioni internazionali significative con le
potenze occidentali la dittatura di Salazar si avvalse degli aiuti Marshall ed entrò nell’Alleanza
Atlantica. A differenza della Spagna però il Portogallo non riuscì ad imboccare la via della
modernizzazione industriale.
La fine della dittatura fu tumultuosa: un primo colpo di stato militare portò al potere il generale
Spinola (1974), che tuttavia fu costretto a fuggire in Spagna, mentre le elezioni del 1976 favorirono
la maggioranza ai socialisti moderati.
Grazie agli aiuti degli Stati Uniti e della CEE, il Portogallo riuscì a stabilizzare la situazione interna
e ad entrare con la Spagna nella Comunità Europea (1986).
Dittatura militare e democrazia in Grecia
A fronte di questa evoluzione verso la democrazia di tipo occidentale dei paesi iberici, la Grecia
visse negli stessi anni il ritorno alla dittatura militare a seguito del colpo di stato guidato dal
generale Papadopoulos (1967). La Grecia fu posta sotto giudizio dalla Comunità europea, ma si
poté avvalere del sostegno degli Stati Uniti. Il regime cadde nel 1974 sulla questione di Cipro (la
cui unione alla Grecia era osteggiata da una forte minoranza turca). Nello stesso anno Kostantinos
Karamanlis poté restaurare la democrazia e vincere le elezioni a capo di un partito centrista.
Nel gennaio 1981 la Grecia entrò nella Comunità europea.
Nuovi passi verso l’integrazione europea
Se negli anni ’60 il processo di integrazione europea subì il blocco imposto dalle politiche di De
Gaulle, negli anni ’70 le sofferenze vennero dalla crisi economica che si abbatté sul mondo nel
1973 Piano Werner di Unione economica e monetaria.
Italia: la ricerca fallita della stabilizzazione politica
La lunga crisi italiana
La crisi italiana che si aprì alla fine degli anni ’60 fu più complessa e per certi versi duratura
rispetto a quella degli altri paesi europei riguardò tre aspetti: la tenuta del sistema dei partiti e la
loro incapacità di attuare misure riformistiche, l’economia del paese, ed ebbe una dimensione
sociale profonda che si manifestò in vari modi fra cui la crescita del fenomeno terrorista.
I partiti maggiori furono colpiti sia come singoli che come sistema la DC subì il fenomeno del
progressivo distaccamento da una società civile che non riusciva più a rappresentare a causa delle
trasformazioni che l’Italia aveva subito dal dopoguerra alla metà degli anni ’60.
Legge sul divorzio e crisi della DC
La vicenda della legge che introdusse il divorzio nell’ordinamento giuridico italiano fu emblematica
di questa crisi culturale e di valori. Anche se si trattava di una legge che aveva una rilevanza civile e
sociale, tutta la vicenda parlamentare e il dibattito ampio nel paese avevano avuto esiti dannosi per
il partito di ispirazione cattolica. Inoltre l’attuazione delle regioni a statuto ordinario, aveva prodotto
esiti negativi per la DC e la tornata elettorale del 1970 manifestò i primi sintomi di un processo di
radicalizzazione politica a destra, a favore del MSI soprattutto.
Terrorismo nero e strategia della tensione
È in questo clima di forte avanzata della sinistra politica e sociale che va letta l’emersione del
terrorismo nero bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura di a Milano (1969), bomba a piazza
della Loggia a Brescia (1974), strage di Bologna (1980). Questo terrorismo nero si sviluppò negli
anni ’70 in parallelo al terrorismo rosso: le matrici erano diverse, ma ambedue erano espressione
della debolezza delle istituzioni, della crisi sociale italiana e della convinzione coltivata da forze
occulte italiane e straniere che l’Italia potesse divenire campo di conquista e condizionamento
politico.
Effetti della scissione socialista
Questa crisi del maggiore partito italiano fu affiancata e determinata dalle vicende che investirono il
secondo partito di governo, il partito socialista. I risultati elettorali disastrosi del ’68 misero a nudo
la natura dell’unificazione precaria fra le parti del partito rinascita di due partiti PSI e PSU non fu
la semplice riproposizione della condizione precedente all’unificazione: infatti i due partiti
scissionisti, che nella prima stagione di gestazione avevano sviluppato politiche di convergenza, ora
perseguirono un forte disegno di divaricazione: il PSI puntava a riconquistare posizioni come
partito di classe, mentre il PSU cercò di guadagnare l’appoggio del ceto medio moderato. Questa
strategia non fu premiante, mentre la DC riusciva a tenere le quote di suffragio al 38% sia nel 1972
che nel 1976.
L’avanzata del PCI e l’anomalo bipolarismo italiano
Il ceto medio e moderato era preoccupato dall’avanzata del PCI, che nel 1976 era arrivato fino al
34% dei suffragi. Il PCI veniva coagulando in modo crescente il consenso sociale e politico anche
di settori del ceto medio professionale e di pubblici dipendenti, che sempre più vedevano in esso un
partito assimilabile alla socialdemocrazia europea.
Negli anni ’70 la DC si configurava come il partito in grado di monopolizzare il consenso del
centrodestra, mentre il PCI quello della sinistra moderata e radicale.
Il nodo della crisi politica italiana dopo il 1968 era che il centrosinistra era diventato una
maggioranza precaria e instabile, incapace di governare il paese in un momento di grave crisi nella
legislatura 1968-1972 si susseguirono sei governi.
La DC aveva necessità di recuperare consensi a destra, così varo la ricostituzione della coalizione
coi liberali, ma si trattava di una maggioranza troppo risicata e coi governi Rumor (1973-74) e
Moro (1974-76) si tornò a coalizioni di centrosinistra, mentre si attivava il dialogo fra DC e PCI per
trovare una via di sbocco alla crisi italiana.
Fattori economici di crisi
I fattori economici della crisi italiana ebbero natura interna e internazionale. Una delle condizioni
della competitività italiana era stato il basso costo del lavoro. Dal 1971 il finanziamento
dell’industria assunse un andamento sempre più favorevole.
Ascesa a declino del sindacato confederale
Il versante sociale della crisi italiana riguarda il ruolo del sindacato. La crisi di rappresentatività era
causata dal progressivo inaridimento delle commissioni interne che erano monopolizzate da
lavoratori sindacalizzati di seconda e terza generazione. Tuttavia, a differenza dei partiti, le
organizzazioni sindacali manifestarono forti e rapide capacità di recupero del consenso fra il 1970
e il 1979 il tasso di sindacalizzazione di CGIL, CISL e UIL si elevò.
Grande conquista per i lavoratori fu il varo per la legge dello Statuto dei lavoratori (1970), che
introdusse una serie di garanzie per i lavoratori in azienda e fuori, e soprattutto introdusse il
principio della giusta causa nel licenziamento.
Compromesso storico e solidarietà internazionale
La svolta del 1979 ebbe la valenza politica del compromesso storico.
A differenza dei sistemi politici degli altri paesi europei, in Italia il PCI era congelato al ruolo di
opposizione per la sua natura e la sua collocazione internazionale, il che bloccava il sistema in un
paese occidentale un partito comunista non poteva governare da solo, per cui l’accordo col mondo
cattolico era necessario sul terreno di uno scambio nel quale la DC conferiva al patto la
legittimazione istituzionale e internazionale e il PCI la legittimazione sociale.
Questa via del dialogo era stata resa possibile dall’assunzione della segreteria del partito comunista
da parte di Enrico Berlinguer (1972).
Si doveva comunque tenere conto che l’accordo fosse solo un passaggio di reciproca legittimazione
delle due forze politiche maggiori verso una prospettiva che permettesse al PCI di divenire forza
autonoma di governo ma questo obiettivo non era perseguibile esplicitamente da parte di Moro,
perché, se era vero che la linea del PCI era di critica verso l’Unione S