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La fine del Terzo Mondo, dopo il 1989, si accompagna al fallimento di molti di questi paesi da un

punto di vista economico: l’idea del non allineamento lanciata a Badung era che i paesi ex coloniali

di Africa ed Asia creassero insieme un futuro comune, ma questa idea è stata presto accantonata, e

difatti dagli anni ’90 la vicenda africana è ben diversa da quella asiatica.

Con la fine dell’impero comunista finisce il Terzo Mondo: scompare una posizione internazionale e

si infrange un orizzonte in cui si erano collocate tante identità nazionali.

Identità e globalizzazione

La globalizzazione e la fine della guerra fredda hanno rimesso in discussione tutte le identità, non

solo quelle del Terzo Mondo.

La colonizzazione è stata un processo di globalizzazione che ha creato orizzonti nuovi per intere

regioni del mondo: l’Africa ha vissuto varie globalizzazioni  colonizzazione, missioni religiose. Le

identità etniche, religiose e culturali si sono ristrutturate ed adattate, vivendo osmosi profonde.

L’identità etnica in Africa è spesso considerata come un carattere che viene da lontano, dalle nebbie

del tempo precoloniale, ma è stata in parte la creazione di amministratori coloniali  la

globalizzazione coloniale ha obbligato identità fluide a definirsi.

L’attuale globalizzazione, diversa dalle precedenti, sta imponendo processi di ristrutturazione anche

ad identità elaborate e dalle grandi radici storiche: lo si è avvertito nell’Est europeo dopo la fine del

comunismo  esempio della Bosnia nello sfaldamento della Iugoslavia: la ristrutturazione delle

identità ha rimesso in primo piano anche quelle religiose come legittimazione delle nazioni, ma

anche come fenomeno transnazionale. Dopo il 1989 le identità religiose e le comunità che ad esse si

ispirano, giocano un ruolo pubblico di primo piano.

Le identità non si ristrutturano sempre in modo tranquillo: spesso globalizzazione vuol dire

americanizzazione o occidentalizzazione, un modello che suscita reazioni forti, così l’identità si

ridefinisce per opposizione all’altro, all’estraneo.

La reazione identitaria a McWorld non è solo il fondamentalismo islamico: ma i musulmani, nel

caso specifico, sentono di fronte all’occidentalizzazione il dovere di dire di nuovo chi sono

recuperando la radice islamica.

Nel processo di ristrutturazione in atto si deve tenere anche conto del gran vuoto lasciato dalla crisi

del marxismo: si trattava infatti di un connettivo ideologico che abbracciava tutti i paesi comunisti e

offriva una visione “globale” del mondo e del futuro.

La deriva fondamentalista esiste, ma non è certo l’unica reazione alla globalizzazione. Il

fondamentalismo poi non è solo religioso, ma anche etnico: la globalizzazione offre una grande

occasione per riformulare la propria identità nel quadro di un orizzonte più vasto, è un’occasione

politica e culturale del nostro tempo.

In Europa, le identità nazionali si sono radicate maggiormente nel processo unitario dei paesi

europei. Gli Stati europei, con la loro cultura politica, dicono chi sono nel grande mondo della

globalizzazione  sono identità che si ristrutturano in senso nazionale, ma fanno riferimento al

quadro dell’Unione.

Nonostante il vaccino delle due guerra mondiali, ancora adesso in Europa ci sono ancora reazioni

nazionali negative verso il processo di unificazione, con il risorgere di passioni localistiche. Eppure

c’è un clima generale che porta alla rifondazione delle identità e alla partecipazione ad esse con

nuovo entusiasmo.

Identità, non destini

Non bisogna avere una visione troppo deterministica delle identità: esse non sono destini naturali,

ma espressioni delle scelte degli uomini e della loro cultura.

In questo mondo globalizzato, anche la cultura, il dibattito di idee, la coscienza comune hanno una

forza: il “rullo” della globalizzazione non appiattisce tutto e non esercita una coercizione

irresistibile. Nella globalizzazione le spinte per valorizzare la dimensione locale e l’identità etnica si

sviluppano nel vuoto lasciato dalla crisi delle tradizioni (Giovagnoli).

Il processo di reislamizzazione da parte de elite arabe avviene attraverso scelte individuali e di

gruppo: c’è un’indubitabile riscoperta e risistemazione della tradizione quando si riafferma la nuova

identità.

La cultura europea, soprattutto dopo il ’68 ha vissuto una profonda rottura con l’idea stessa di

tradizione: il ’68 è stato un rivoluzione politica presto fallita, ma ha rappresentato una rivoluzione

antropologica che ha cambiato in profondità il costume di tanti europei  la tradizione è parsa in

contrasto con l’emancipazione. Oggi però l’Europa, mentre pensa alla sua identità si misura con la

sua tradizione. Ogni riscoperta della tradizione è anche una reinterpretazione.

La Chiesa cattolica negli anni Sessanta ha sentito il bisogno di ridefinirsi tramite il Concilio

Vaticano II.

Il romanziere franco-libanese Amin Maalouf osserva che ciascuno è depositario di due retaggi: uno

verticale, che viene dalla storia e dalla tradizione, e uno orizzontale, che viene dalla

contemporaneità e dove agisce la globalizzazione.

In questa stagione le tradizione di ripensano e si recuperano. Anche il nuovo ruolo assunto dalle

religioni nel dare identità o nel confermarle va in questo senso. D’altra parte la contemporaneità

crea flussi di idee, talvolta talmente forti da spaesare l’uomo e la donna contemporanei, che

reagiscono e si danno un’identità attraverso scelte e adesioni.

Ma contemporaneità vuol dire anche coscienza di una situazione condivisa tra gruppi che pure si

ritengono estranei o separati  Chernobyl (1986): la contemporaneità è convivenza negli stessi

luoghi, ma soprattutto coinvolgimento negli stessi flussi di eventi, è la percezione di un tempo

comune  11 settembre 2001, Tsunami: i grandi eventi mondiali rivelano la coscienza dell’essere

contemporanei attraverso la sincronia dei sentimenti e dell’attenzione. Tuttavia la contemporaneità

non produce un uomo e una donna globali e cosmopoliti  le grandi liberalizzazioni su scala

mondiale non hanno prodotto il trionfo dell’individuo, ma hanno rafforzato e sviluppato le identità

di gruppo.

Diversi, ma non puri e isolati

Ci troviamo in una stagione di rinascita delle identità. Ma siamo anche in un tempo di forza dei

flussi globali e della contemporaneità. Risulta allora azzardato e pericoloso isolare l’una identità

dall’altra. Nel pensarsi soli, separati e nemici si rischia di alimentare l’idea della “purezza

pericolosa” che è rivendicazione di ogni fondamentalismo, che mentre reclama la propria purezza

indica nell’altra la minaccia inquinante.

Ogni identità non coincide con le sue frontiere, ma si colloca in un tessuto più grande e conosce al

suo interno varie composizioni: non c’è comunità che possa definirsi omogenea e “pura”. L’azione

pericolosa del separare si sviluppa in società o in universi in cui si appannano i caratteri comuni e i

tratti misti, mentre si esaltano le differenze: la pulizia è il totalitarismo dell’identità.

C’è quasi un meticciato di identità in sé stessi e talvolta, proprio per reagire a questa complessità

personale, l’individuo sente il bisogno di gridare forte una solo identità esclusiva  è il grido

dell’“uomo spaesato” nel mondo contemporaneo.

Anche dal punto di vista delle identità nazionali o di gruppo non ci si può isolare: gli europei che si

sono combattuti per secoli, hanno scoperto di essere simili. C’è comunanza tra gli africani “neri”,

tra i latinoamericani, nel cristianesimo  sono tutte comunanze a livelli differenti che negano la

“purezza” e l’isolamento di un’identità.

Tra conflitti e civiltà

Le fine della missione europea

Come spiegare quel che avviene nel grande mondo al di fuori dell’Europa o del nostro Occidente?

Tra l’Ottocento e il Novecento il colonialismo ha fornito ad una buona parte di europei la sostanza

della visione del mondo: era una visione sorretta dal senso indiscusso di superiorità della nostra

civiltà e della razza bianca.

Il colonialismo è stato troppo poco considerato come una componente rilevante dell’autocoscienza

europea di fronte al mondo. Un pudico senso di colpa ha accompagnato la decolonizzazione.

Eppure il colonialismo ha espresso la proiezione di importanti paesi europei sugli scenari mondiali,

ha inciso in profondità sul sentimento nazionale e sulla coscienza collettiva  da una parte la civiltà,

dall’altra i “barbari”.

L’esperienza extraeuropea segna la vita di una fascia consistente ei europei e l’immaginario di

moltissimi altri: in guerra gli imperi rispondono alla chiamata della madrepatria in pericolo.

La stagione coloniale è stata importante anche per la formazione della coscienza nazionale europea,

e la decolonizzazione fu invitabile anche per quelli che l’avversavano: essa fu un fenomeno storico

enorme nel cuore del XX secolo  fu la sparizione della proiezione mondiale europea e si consumò

in pochi anni con effetti traumatici. Dopo la seconda guerra mondiale, con l’ascesa degli Stati Uniti,

i paesi ex coloniali si schierarono nel campo occidentale. Ebbero ancora una funzione

internazionale, ma dalla fine delle colonie i paesi europei non furono più gli stessi.

L’Occidente era qualcosa di più di un impero, era un mondo coeso e globale dove rimaneva però lo

spazio per entità eterogenee, mentre il campo sovietico era organizzato come un’unità imperiale

sotto controllo politicpo-militare, che si estendeva su un territorio ben preciso  la mappa

geopolitica del mondo era chiara, oggi non più.

Una nuova mappa di civiltà dalle radici antiche

Il mondo dopo l’89 è senza una mappa politica di orientamento. Si era creduto che con la fine della

guerra fredda cominciasse un’era di grande pace, ma così non è stato.

La guerra fredda corrispondeva ad una visione bipolare, semplice ed efficace, ma dagli anni

Novanta tutto è divenuto confuso: è più difficile collocare un’identità nazionale all’interno di una

civiltà  quelle indicate da Huntington sono l’occidentale, l’islamica, la cinese, l’indù, l’ortodossa,

la buddista, la giapponese e l’africana: secondo questo pensiero la globalizzazione non crea

un’unica civilt&agra

Dettagli
Publisher
A.A. 2014-2015
15 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/04 Storia contemporanea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher viola_fr di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Giovagnoli Agostino.