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Estratto del documento

Al naturalista svedese si deve poi l’ideazione di un nuovo standard per i criteri di ordinamento: mentre

fino ad allora si era classificato puntando, in campo vegetale, esclusivamente sulle foglie, sul seme, sulla

corolla, sul pericarpo o sul calice, Linneo elaborò un rigido ma articolato principio di subordinazione dei

caratteri:

- Le classi vengono individuate secondo numero, forma, posizione e proporzione degli stami;

- All’interno di esse poi gli ordini vengono circoscritti secondo numero, forma, posizione e

proporzione dei pistilli;

- All’interno di essi i generi vengono delimitati secondo le altre parti del fiore;

- All’interno di essi le specie vengono distinte secondo le altre parti del vegetale.

Si trattava di un rigoroso principio di valutazione ponderale dei caratteri che è noto come “sistema

sessuale” e che incontrò varie difficolta per essere accolto. Anzitutto la sessualità delle piante veniva

respinta e fu lo stesso Linneo a finire con l’indebolire il proprio lavoro dal momento che non riuscì ad

applicare il “sistema sessuale” anche al complesso del regno animali.

Il sistema incontrò dunque varie difficoltà ma ricevette sia in campo vegetale che animale significative

approvazioni e applicazioni.

A Linneo si deve inoltre la radicale riforma della nomenclatura. I botanici ancora nominavano le piante

con una lunga “frase” che veniva chiamata “diagnosi”: si trattava di una vera e propria descrizione

sintetica del vegetale, rendendo la memorizzazione e lo scambio di informazioni pressoché impossibile.

Linneo volle così imporre a tutti i vegetali come a tutti gli animali la stessa stringa formata sul modello

cognome – nome : il primo termine indica la “famiglia” (il genere) di appartenenza, il secondo l’individuo

(la specie).

Una pur sintetica presentazione della sistematica linneana sarebbe incompleta se non si ampliasse fino

a includere il posto dell’uomo nella natura. Il naturalista svedese risolse questo problema con una scelta

rivoluzionaria, che probabilmente ha inciso sulla cultura occidentale ancor più profondamente delle altre

sue operazioni. Il problema del posto dell’uomo nella natura era strettamente connesso con la corrente

immagine delle scimmie antropomorfe. Di queste si conosceva:

- lo scimpanzé, del quale si narrava che sapeva stare a tavola non meno acconciamente di

quanto vedresti fare a un fine cortigiano, che si coricava come il più educato degli uomini e che

era dotato di tanto ingegno da svolgere lavori domestici e suonare abilmente il flauto e la cetra;

- l’orang-utan del quale si narrava che fosse un essere non solo bipede e di fattezza umane ma

anche capace di ogni emozione e perfino di parlare;

- del gorilla non c’era ancora traccia (se si eccettuano le relazioni di viaggiatori).

- un raro cercopiteco, un animale che poteva essere scambiato per un selvaggio ma dotato di

tanto ingegno che certi uomini gli sono inferiori.

Linneo riprende queste descrizione e sostiene che è un’impressa difficilissima trovare la differenza

specifica dell’uomo, ovvero che non esiste un solo carattere che consenta di distinguere l’uomo dalle

scimmie antropomorfe. A classificare il genere Homo nell’ordine degli Anthropomorpha della classe dei

Quadrupedia Linneo fu certamente condotto dal credito prestato alle tante favole sulle antropomorfe

ancora in circolazione che più tardi lo condussero a collocare l’orang-utan (dal momento che “pensa”)

non sulla linea di confine tra Simia e Homo bensì all’interno di quest’ultimo ribattezzandola come Homo

Nocturnus, una seconda specie d’uomo. Linneo per questa via accelerava il processo di laicizzazione

della natura già avviato, tentando un’integrale mondanizzazione dell’uomo e avviando il trasferimento

dell’antropologia dall’ambito delle lettere e della teologia a quello delle scienze naturali.

Linneo rovina l’idea di scala naturae promuovendo una nuova immagine della natura come “rete” o

“mappa”, conseguente alla scoperta di affinità multiple, differenziate e incrociate che non consentono di

allineare i viventi ma impongono i disporli a grappoli, come fossero distribuiti in “costellazioni” di corpi.

Linneo rovina anche l’idea fissistica di evolutio : il naturalista professa un’interessante forma di

evoluzione per ibridazione, che gli veniva suggerita da:

- l’assetto della “mappa geografica” entro la quale le specie si disponevano a grappoli e parevano

irraggiare da un punto comune;

- la nuova sistematica che l’aveva ispirata e vi trovava conforto. Le specie cessavano si venirvi

inserite singolarmente e di comparirvi isolate e grazie al binomio generico-specifico venivano

aggruppate in famiglie, suggerendo così stretti legami di parentela.

Linneo giunse a sostenere che originariamente Dio potrebbe aver creato una sola specie per un intero

ordine di vegetali attualmente esistenti. Questa evoluzione per ibridazione sarebbe corsa parallelamente

al ritirarsi delle acque che fece progressivamente crescere le dimensioni dell’isola subequatoriale , al

largo dell’Africe in cui egli aveva collocato l’Eden. Linneo immaginava l’isola come dominata da un’alta

montagna che creava l’intera gamma delle condizioni climatiche da quelle polari alle equatoriali. Il

naturalista giunse ad affermare che “le specie sono opera del tempo”.

Fu tuttavia la nuova embriologia epigenistica che riuscì ad andare oltre le “combinazioni” di La Metrie e

Diderot e le “associazioni” di Linneo. Questo avvenne grazie a Maupertuis che invece di concentrare

l’attenzione sui “germi” genericamente materiali presenti in quel grande utero che è la terra, spostò

l’attenzione sui “germi” biologici prodotti dall’organismo e ceduti nel rapporto sessuale. In questa

prospettiva, oltre alla somiglianza ai genitori, l’epigenesi spiega la conservazione delle specie. Oltre ala

nascita di individui “mostruosi” spiega anche il fatto che le specie si modifichino nel corso del tempo. Il

topo cui mancasse la coda non potrebbe custodire il relativo “germe” e dal suo accoppiamento con una

femmina pur integra nascerebbero probabilmente altri topolini senza coda che riproducendosi con il

tempo diffonderebbero l’anomalia che un giorno potrebbe caratterizzare una nuova popolazione di topi.

Oggi sappiamo che questa teoria, detta “dell’ereditarietà”, è valida solo per certi gruppi inferiori. Ma essa

permise a Maupertuis di ipotizzare per la rima volta che tutte le forme attualmente viventi siano le

modificazioni di una sola forma primordiale. Il fatto che con una certa frequenza compaiono “variazioni

accidentali” è certo. Se da una parte nessuno dubita che la natura tende a sopprimere quelle deviazioni,

quegli scarti, dall’altra è certo che i coltivatori e gli allevatori gli usano per creare nuove varietà. Non si

spiegherebbe altrimenti l’esistenza di cani, colombi, canarini che prima non esistevano in natura.

All’inizio non erano altro che individui fortuiti: l’arte e la riproduzione ne hanno fatto delle specie. Con

questo sembra che Maupertis suggerisca che le “deviazioni” avvengano solo con l’intervento umano ma

successivamente sgancia il processo di trasformazione dall’intervento umano e non è più certo che la

natura tenda a sopprimere le “deviazioni” e anzi concepisce l’evoluzione come fenomeno

intrinsecamente naturale.

Maupertuis pubblica Systeme de la nature sotto lo pseudonimo dott. Baumann e la spaccia per una tesi

di laurea discussa in una città straniera in cui si ipotizza che “niente impedisce alle particelle elementari

di allontanarsi all’infinito dal tipo specifico d’ordine che costituisce la specie e perciò “un’infinità di specie

animali siano provenute dal primo animale, un’infinità di esseri siano stati emanati dal primo essere” o

meglio in altri termini che ci sia stato ”un solo atto nella natura”.

Diderot si dichiara sorpreso dal fatto che l’Autore non abbia percepito le conseguenze della sua ipotesi e

gli chiede “se a suo giudizio l’Universo, ossia l’insieme di tutte le molecole sensibili e intelligenti, forma

un tutto oppure no”. Perché se rispondesse “che esso non forma un tutto, farebbe vacillare l’esistenza di

Dio, introducendo il disordine della natura. Poiché se è vero che “le sue idee possono gettare luce nelle

profondità della natura” è vero pure “che sono terribili”.

Maupertuis gli risponde molto seccamente che gli uomini si dividono in tre categorie:

- Alcuni non pensano che l’impossibilità di accordare la Filosofia con la rivelazione debba portare a

respingere un’ipotesi che si accorda con la Natura e per costoro è evidente che le obiezioni di

Diderot non hanno alcun peso.

- Altri non pensano che le conseguenze spiacevoli di un’ipotesi possano essere considerate come

prove decisive contro di essa perché Religione e Filosofia sono ambiti molto diversi che non si

può passare dall’una all’altra. Costoro saranno appena sfiorati dalle obiezioni di Diderot.

- A quei pochi infine che si allarmano per qualsiasi cosa e che appena viene presentato loro un

argomento filosofico corrono al tempio per giudicarlo al tempio della luce, Maupertuis tiene una

piccola lezione. Il tutto di cui parla Diderot può intendersi sia come ciò che non lascia niente al di

là e quindi chiedere se l’Universo è un tutto o no è indifferente, oppure se si intende un edificio

regolare, un insieme di parti proporzionate, tutte al loro posto, quando Diderot chiede se

l’Universo è un tutto o no, si può rispondere si o no, come Diderot preferisce.

L’insolenza deriva dal fatto che Diderot non avrebbe proprio dovuto porsi il problema in quanto le

questioni religiose sono al di là di qualsiasi ipotesi che gli scienziati possano congetturare.

6. La degenerazione delle specie

L’idea della moltiplicazione delle specie viene ripresa da Buffon entro lo stesso contesto embriologico

(quello epigenistico) . Il naturalista francese fornisce un nuovo contributo al processo di laicizzazione

della natura fornendo una nuova stima dell’età della Terra, ridefinendo le modalità di modificazione della

crosta terrestre e reinterpretando la natura delle testimonianze fossili.

Già Maillet aveva respinto la stima teologica dell’età della Terra di 6000 anni. Privatamente Buffon

pensava a un’età di circa 3 milioni di anni che per ragioni di opportunità pubblicamente e nella Theorie<

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A.A. 2012-2013
28 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/05 Storia della scienza e delle tecniche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alexmary91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del pensiero scientifico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Continenza Barbara.