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Il darwinismo sociale di Darwin
Su questi temi Darwin appare spesso contraddittorio. Troviamo crude affermazioni circa la disparità
e i conflitti tra popoli, la cui durezza è tipica del senso comune delle classi dominanti dell’impero
britannico di quegli anni, anche se urta le sensibilità attuali: leggiamo di tribù più dotate che
soppiantano le altre, di nazioni civili che sterminano le barbare, degli inadatti che periscono nella lotta
per la sopravvivenza sociale e del rischio che il progresso civile, l’assistenza e le vaccinazioni
mitighino troppo gli effetti della lotta per l’esistenza tra individui portatori di disparità innate,
seminando indolenza e fiacchezza. Ai più capaci andrebbe dato modo di esprimere il proprio talento
e di avere il maggior numero di figli, mentre è sconsigliabile che questi si uniscano con i meno dotati
e meno sani.
Eppure, poche righe oltre, l’universalità delle emozioni primarie in ogni essere umano inducono
Darwin a teorizzare la discendenza di tutte le razze umane da un gruppo fondatore comune. I
matrimoni con soggetti inadatti e intemperanti non s’ha da fare ma al contempo Darwin non condivide
le nuove tecniche di controllo delle nascite.
Il paradosso dell’altruismo
Nel potere esplicativo della selezione naturale si nasconde un’altra potenziale debolezza, di cui
Darwin era consapevole, dato che per essere efficace il processo di selezione richiede due restrizioni
teoriche importanti:
Una stretta continuità generazionale unita all’uniformità graduale nel ritmo di discendenza e di
1) cambiamento nelle popolazioni.
Un vantaggio precipuamente individuale, immediatamente apprezzabile, per quanto labile, che
2) possa lentamente accrescere la frequenza di una variante in una popolazione in virtù del tasso
differenziale positivo di riproduzione dei suoi portatori.
In sintesi gradualità e interessi individuali.La selezione naturale non produrrà mai in un essere una
struttura che sia più dannosa che benefica.
Per Darwin i comportamenti “solidali” offrono vantaggi al contempo individuali e di gruppo, come nei
casi di cooperazione nella caccia, di mutualismo e di alleanze difensive.
È invece più difficile spiegare l’origine di comportamenti sociali che appaiono puramente altruistici e
rivolti a non parenti, poiché essi producono simultaneamente uno svantaggio per l’altruista e un
vantaggio indiretto per l’egoista, che può approfittare delle azioni degli altruisti attorno a lui senza
costi per se stesso. Che cosa innesca questi comportamenti? Il battitore libero che fa soltanto i propri
interessi esibisce una strategia darwiniana perfetta: gioca per sé e si avvantaggia del comportamento
altruistico degli altri membri del suo gruppo. Ma come si sono evoluti questi comportamenti
dissuasivi?
Darwin pone il problema discutendo il caso dell’evoluzione della caste sterili in insetti sociali come
formiche e api, ipotizzando che la sterilità venga selezionata grazie al maggiore successo riscosso
da individui fertili che accoppiandosi generano organismi non riproduttivi (operaie) ma con tratti
vantaggiosi per la popolazione. Le funzioni delle operaie sono quindi un adattamento della regina,
riproduttrice individuale. La difficoltà sta nel capire perché il processo di selezione naturale sia stato
“tollerante” all’inizio verso una prole non riproduttiva. Il paradosso della funzionalità dell’altruismo
sembra aver bisogno di una soluzione a più livelli:
Si propone una cornice concettuale per la spiegazione evoluzionistica dei comportamenti
1) altruistici composta da una pluralità di fattori e di schemi integrati, che includono la normale
selezione fra individui, la selezione tra famiglie e tribù, e il successivo ruolo assunto
dall’apprendimento e dalla cultura.
L’altruismo è selezionato positivamente almeno negli stadi incipienti, è una buona strategia per
2) gruppi e tribù in competizione tra loro. In tal modo Darwin attribuisce all’altruismo una funzione
difensiva.
L’evoluzione della parte più alta della natura umana suggerisce che il potere di ragionamento e
3) la libertà di scelta fra opzioni comportamentali diverse possano disinnescare un aspetto o l’altro di
quella paradossale ambiguità umana che permette una spiccata cooperazione e al contempo la
capacità di organizzare la violenza persino nelle guerre.
6. Un tranquillo ribelle di campagna
Dopo l’Origin Darwin si dedicò principalmente a due tipi di ricerche: all’estensione antropologica della
sua visione del mondo naturale e a un complesso di monografie sperimentali e descrittive di grande
pregio metodologico e teorico, ingiustamente meno conosciute.
Nel 1862 uscì un volume sui “vari espedienti attraverso i quali le orchidee sono fecondate dagli
insetti”, un piccolo gioiello sulla bellezza delle furbizie artigianali della natura e sugli effetti positivi
dell’incrocio.
La materia prima del cambiamento evolutivo
Ai primi del 1868 viene pubblicata l’imponente monografia sulla Variazione degli animali e delle
piante allo stato domestico, un trattato scientifico sulla malleabilità delle specie, sulla selezione
artificiale, sugli stati intermedi tra condizione selvatica e domestica, sulle leggi dell’incrocio ma
soprattutto sulla potenza della variazione spontanea come motore del cambiamento.
Le incertezze sull’ereditarietà e l’ipotesi provvisoria della pangenesi
Ipotizzato che le cause della variazione potessero risiedere nelle perturbazioni accidentali esterne sul
processo di riproduzione, negli effetti degli incroci o in una tendenza interna a variare, restava da
chiarire come questi “errori di trasmissione” fossero poi a loro volta ereditari. Dato che la variazione è
onnipresente, le leggi che presiedono alla sua ereditarietà dovevano basarsi, secondo Darwin
sull’unificazione esplicativa di tutti i fenomeni della riproduzione, animale o vegetale che fosse,
inclusa quella umana.
Succede così che nella Variazione Darwin introduce 3 capitoli sulle leggi dell’ereditarietà e soprattutto
un capitolo finale riguardante l’ipotesi provvisoria della pangenesi, volta alla spiegazione integrata di
ereditarietà e variazione.
Secondo Darwin ciascuna parte elementare o unità fondamentale dell’organismo produrrebbe una
propria gamma di entità corpuscolari con funzione ereditaria, le “gemmule”, di cui si postula
l’esistenza benché non siano mai state osservate. Questi micro ovuli si moltiplicano, si diffondono
producendo cellule simili a quelle da cui provengono e si aggregano per affinità reciproche dando
così ciascuno rappresentanza della propria porzione corporea nelle gemme e negli elementi sessuali.
Inoltre si possono trasferire alla discendenza nel corso della fecondazione e della riproduzione: la
trasmissione può dare origine al loro sviluppo immediato nella prole oppure restano silenti per più
generazioni e se non si disperdono prima possono ricomparire.
Le gemmule manifestano i loro effetti anche nei processi di accrescimento, rigenerazione,
riproduzione asessuata. Così una mutilazione non è ereditaria perché le gemmule della parte lesa si
sono già formate durante lo sviluppo dell’individuo e vengono ereditate dai suoi discendenti. Se però
la mutilazione si infetta, le gemmule vengono distrutte e non si trasmettono più. Dunque la
modificazione delle gemmule può avvenire a causa del mutare delle condizioni di vita che incidono
sull’organizzazione di un organismo e sul suo sistema riproduttivo, oppure a causa dell’uso e del
disuso, o di altri fattori di perturbazione.
Leggi e dettagli contingenti: la caduta del progetto
Darwin fu sempre consapevole che non c’era alcuna finalità nell’adattamento. L’evoluzione diveniva
un processo di esplorazione di possibilità contingenti. Erano argomenti spinosi che Darwin aveva
intrecciato con Asa Gray, il quale era convinto che si dovesse rinunciare alla credenza in continui
interventi di un Dio creatore, poiché si poteva immaginare che i piani ultraterreni trovassero il
compimento attraverso l’evoluzione darwiniano. Darwin però non gli nasconde mai che la sua
soluzione conteneva una contraddizione letale: come può un Dio operare per mezzo di processi che
implicano sofferenza, crudeltà e ingiustizia? Non è intenzione di Darwin scrivere in modo ateistico
però ammette che non riesce a vedere l’evidenza di un progetto e di benevolenza. Gli sembra che ci
sia troppa sofferenza nel mondo. Non è neanche da esser contenti che tutto è il risultato della forza
bruta, ma la soluzione risiede nell’equilibrio delle leggi della natura.
Darwin e la religione
Darwin ricordava con parole dure il suo abbandono della fede cristiana, avvenuto molti anni prima fra
la morte del padre e quello della figlia Annie. Ritenne che il sentimento religioso fosse un prodotto
dell’evoluzione della mente umana e del nostro istinto di sopravvivenza.
Dal suo punto di vista, l’ipotesi di Dio non era necessaria nello studio dell’evoluzione. Tutto sommato
il problema teologico non era al centro dei suoi interessi. Certo l’ateismo non discende
necessariamente dalla teoria evoluzionistica, ma “il fulmine uccide un uomo, non importa che sia
buono o cattivo, a causa dell’azione complessa delle leggi naturali” (ovvero la morte di quell’uomo
non è puro caso perché ha ragioni fisiche stringenti, ma sarebbe assurdo affermare che l’uomo si
trovava in quel punto per un disegno).
Di fronte alle insistenti richieste di darsi un’etichetta, poteva provvisoriamente andar bene il
neologismo inventato da Huxlei: “io credo che in generale quell’Agnostico sarebbe la descrizione più
corretta dello stato della mia mente”.
Sul finire del 1878 venne invitato dall’arcivescovo di Canterbury a una conferenza al fine di valutare
la possibilità d’incontro fra scienze e religione ma Darwin non riusciva proprio a vedere quale
beneficio potesse mai derivarne. Teologia e scienza devono seguire ciascuna la propria strada.
Musica per lombrichi
Questo interesse di ricerca finale di Darwin potrebbe apparire come una manifestazione di
eccentricità: un piccolo trattato uscì nell’Ottobre del 1881 sulla formazione della Terra vegetale per
azione dei lombrichi, e andò a ruba in pochi giorni. Si tratta di un inno ai meravigliosi dettagli e ai fatti
apparentemente insignificanti grazie ai quali la natura esprime la sua creatività.
La potenza del lombrico si esplica attraverso il ripetersi di modeste attività che prese singolarmente