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1.LA CRITICA DELL’EUROPA NEL DIBATTITO SULLA COSTITUZIONE

Tra il 25 maggio e il 17 settembre 1787 coloro che diedero all’America una nuova

Costituzione, cioè i cinquantacinque delegati, (tranne Adams e Jefferson l’uno a

Londra e l’altro a Parigi in qualità di ambasciatori) erano rappresentanti di una

classe dirigente giovane sia anagraficamente che politicamente. Il paese aveva

compiuto vittoriosamente la propria rivoluzione e aveva reciso i legami di

dipendenza da quella che era stata la madre patria, l’Inghilterra.

La questione all’ordine del giorno era la scelta tra la costituzione di un forte

governo federale e il mantenimento di un debole governo centrale. Da una parte si

collocavano i federalisti come Washington, Franklin, Hamilton, Madison e Jay, che

appartenevano all’élite del mondo agrario, del commercio e delle libere professioni;

dall’altra soprattutto i farmers spesso poveri e indebitati ma anche leader della

rivoluzione come Samuel Adams e George Clinton.

La vittoria dei federalisti risultò faticosa. Nonostante ciò tra le diverse parti si

stabilì un comun denominatore: esse si trovarono unite in una critica del modello

sociale, politico e morale dell’Europa, in una decisa volontà di differenziazione e

distacco da questa. Il Vecchio Mondo era considerato fonte di mali da respingere

una volta per tutte. La tesi dominante fu che questo non aveva nulla da insegnare

all’America in quanto rappresentava il mondo a cui occorreva politicamente voltare

le spalle, da cui bisognava tenersi lontano per non cadere vittima dei suoi vizi.

Il dibattito sulla rivoluzione francese in un primo tempo divise profondamente il

mondo politico americano tra filo-francesi, convinti che in Francia si andasse

scrivendo il secondo capitolo della conquista della libertà dopo quello scritto dagli

americani, e coloro i quali al contrario videro ben presto in essa la fonte di nuove

incarnazioni dell’antico dispotismo europeo. Questa divisione però venne superata

quando i filo francesi come Paine, Jefferson e Madison giunsero alle stesse

conclusioni dei loro precedenti avversari, nelle cui file Adams ed Hamilton avevano

occupato le posizioni di maggior spicco.

Le discussioni che nel 1787-1788 portarono alla ratifica della Costituzione furono

ampie e articolate e da esse emerse in tutta chiarezza il divario che opponeva i

federalisti agli anti-federalisti. Ma i giudizi negativi sull’Europa furono largamente

comuni e costituirono una componente essenziale degli articoli: il più noto di questi

giudizi lo pronunciò Madison quando parlò della “empia dottrina del Vecchio Mondo

secondo cui i popoli sono stati fatti per i re e non i re per i popoli e che la concreta

felicità del popolo deve essere sacrificata agli intendimenti delle istituzioni

politiche”. Di contro a una simile degenerazione era da stabilirsi il retto principio per

cui “il benessere pubblico costituisce lo scopo supremo da perseguire e nessuna

forma di governo ha alcun altro valore se non di essere funzionale al raggiungimenti

di questo scopo”.

L’elogio delle istituzioni rappresentative nate in Europa costituiva un elemento

essenziale del pensiero dei Padri fondatori ma mentre riconoscevano al vecchio

continente il merito di aver scoperto questo grande strumento di potere per

governare, Madison rivendicava all’America il merito di aver ideato il modo con cui

farne la base di repubbliche omogenee e di grandi estensioni.

2.L’Europa di John Adams

Adams aveva una diretta conoscenza dell’Europa, per avervi soggiornato

ripetutamente e a lungo in Francia, Olanda, Gran Bretagna fino a che richiamato

negli USA ne divenne vicepresidente e nel 1789 presidente, succedendo a George

Washington. Fu un deciso avversario dei democratici su posizioni di conservatorismo

anti-jeffersoniano e di aperta ostilità alla Francia rivoluzionaria e agli americani

filo-francesi. Lo scontro determinatosi all’interno degli USA tra centralisti

conservatori e anti centralisti democratici , personificato dallo stesso Adams e da

Hamilton per un verso e da Jefferson e Madison per l’altro si concluse con la vittoria

di Jefferson nel 1800 e la sua ascesa alla presidenza. Dopo di allora fino alla sua

morte Adams si ritirò a vita privata sempre però operosissimo di cose politiche.

La visione conservatrice di Adams non ebbe in alcun modo un’impronta europea.

Adams certamente fu un critico della democrazia ma fece tutto distaccandosi dalle

radici del conservatorismo europeo perché respinse ogni gerarchia fondata su

privilegi codificati ed ereditari e difese energicamente una concezione liberale e

repubblicana dei poteri.

Tenersi lontano dalle guerre, dalle rivoluzioni e dalle influenze europee

-

L’esortazione a tenersi lontano dai conflitti e più in generale dalle influenze

dell’Europa, fu uno dei tempi preferiti anche di Adams fin dagli anni ’70.

“Cominciamo quasi a desiderare che l’Europa possa dimenticare che mai l’America

sia stata scoperta e l’America che l’Europa sia mai esistita”.

Adams scriveva che l’America era stata “troppo a lungo coinvolta nelle guerre

europee” ridotta fin dall’inizio a un foot-ball tra le nazioni in contrasto. Perciò la

nuova America doveva porsi lo scopo di non aver nulla a che fare salvo che per il

commercio con l’Europa.

Questi i principi cardine della politica statunitense: evitare le tentazioni di avere

una qualsivoglia parte nelle future guerre europee, essere amici di tutte le potenze

d’Europa e nemici di nessuno.

La linea della neutralità Adams la ribadì con forza in veste di presidente degli

USA nel corso delle grandi guerre europee generate dalla Rivoluzione Francese.

Le osservazioni di Adams riflettevano un amore per l’americanicità,

un’espressione evidente del nascente nazionalismo americano.

Adams diceva che gli americani avevano bisogno di rafforzare la fiducia in se

stessi respingendo l’eccessiva ammirazione per gli stranieri; credeva feremente che

il ruolo futuro dell’America, accanto a quello esercitato nel mondo dall’Inghilterra

avrebbe portato la lingua inglese a diventare il linguaggio del mondo, esercitando

un ruolo ancora più universale di quello tenuto un tempo dal latino e nel presente

dal francese.

Il benessere degli americani aveva il suo fondamento nel loro isolamento.

La critica delle istituzioni europee e l’apologia del modello politico e sociale

- americano

Adams aveva una visione pessimistica della natura umana. Egli si collocava tra

quanti pensavano che l’uomo fosse spontaneamente dominato dall’egoismo. Ma a

differenza dei conservatori che da ciò facevano derivare la necessità di un governo

repressivo e autoritario, Adams era convinto che lo scontro delle passioni e dei

diversi interessi potesse essere regolato e volto al meglio: questo potevano fare le

istituzioni libere a patto che poggiassero su una filosofia politica realistica in grado

cioè di tener conto delle naturali differenze tra gli uomini. Tali differenze erano per

Adams il prodotto di una storia che rifletteva l’oggettività dei rapporti umani e delle

diverse capacità e caratteristiche di ciascuno. Compito delle istituzioni libere era

dunque di costruire meccanismi politi e sociali atti a stabilire i necessari equilibri e a

dar luogo a una società mobile e aperta, respingendo l’autoritarismo e

l’egualitarismo democratico, che apre sempre la strada alla tirannide della plebe e,

dopo questa, a quella di pochi e di uno solo.

Adams si proclama decisamente avverso all’idea che l’opera del politico debba

essere prestata in modo economicamente disinteressato e quindi favorevole a

quella che ogni uomo pubblico debba essere “equamente retribuita per i suoi

servigi”. Quando si afferma che la politica abbia da essere praticata senza

compenso non si fa altro che favorire il clientelismo, gli abusi, la corruzione, il

servilismo, il potere dei ricchi e dell’oligarchia. Al contrario un’onesta retribuzione

va a vantaggio di quei talenti privi di mezzi adeguati che altrimenti resterebbero

esclusi.

Nel quadro del dato naturale degli impulsi egoistici si collocava per Adams un

altro elemento: il fatto che in ogni società dove esiste la proprietà ci sarà sempre

una lotta tra ricchi e poveri.

Al pari di quella tra ricchi e poveri era la distinzione tra aristocratici e democratici.

Partendo da questi presupposti Adams impostò l’intero suo pensiero politico sulla

tesi secondo la quale era compito delle istituzioni evitare la degenerazione in un

senso assolutistico, oligarchico, democratico.

La soluzione positiva stava nel dare spazio mediante giusti equilibri alle varie

esigenze di una comunità in grado di avere al tempo stesso un capo, un corpo

selezionato di cittadini eminenti, una rappresentanza popolare.

Nel Defance Adams illustrò con grande efficacia la contrapposizione tra sistemi di

governo chiuso, privi di equilibrio nei rapporti tra le varie componenti, e i sistemi

aperti, fondati sull’equilibrio di cui esempi opposti erano dati in America ed Europa.

Il grande vantaggio di un governo libero su una monarchia pura è che il primo

poggia su istituzioni che rendono possibile una più libera comunicazione del sovrano

con il suo popolo, mettono la politica all’aria aperta, valorizzano le migliori energie

individuali e collettive, danno al carattere umano un universale energia in ogni

parte dello stato, quale non si può mai ottenere in una monarchia. Nella monarchia

pure il potere poggia sulle armi , dominano il segreto, gli intrighi ed è difficile

distinguere gli amici dai nemici.

Per regolare i diversi interessi ci sono due vie: o mediante una monarchia e un

esercito permanente oppure una balance nella Costituzione.

Per Adams il miracolo degli USA consisteva proprio nell’aver dato vita a un

sistema di equilibri tale da rispecchiare le esigenze naturali e pure al tempo stesso

differenti degli individui, dei gruppi sociali e dell’intera società laddove in Europa

regnavano gli squilibri e i conflitti che da questi ultimi nascevano.

Presupposto altrettanto essenziale, al fine di preservare i diritti, le libertà del

popolo e la combinazione democratica, è l’esistenza di un forte esecutivo,

autonomo dalla pressione del potere legislativo. Poiché quando il potere esecutivo è

lasciato nelle mani di un’assemblea vuoi aristocratica, vuoi democratica allora il

corpo legislativo ne viene inevitabilmente corrotto. Un male, il peggiore che possa

darsi in qualsiasi governo è la divisione del potere esecutivo.

Il paragone con tutti i tipi di governo europei portava Adams a concludere che gli

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A.A. 2013-2014
26 pagine
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SSD Scienze politiche e sociali SPS/02 Storia delle dottrine politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alexmary91 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del pensiero politico contemporaneo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof Dessi Giovanni.