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IRITTO DECISIONE RAPPRESENTANZA IL POTERE IN ARL CHMITT
La crisi dello Stato e il riemergere del problema del potere (Herrschaft).
Il Parlamento non è più luogo di decisione, quanto di ratifica della stessa che viene dunque assunta
altrove. Tale concetto è centrale nell’analisi weberiana di selezione dei capi e la riflessione
schmittiana costituisce un suo sviluppo e radicalizzazione. Ma se Weber attribuiva sempre al
parlamento il compito di formare e selezionare i capi politici, Schmitt sostiene che, essendosi
esaurita ogni fiducia nei suoi fondamenti spirituali, esso non posa più rispondere in alcun modo ai
problemi politici di un’epoca dominata dalle grandi masse e dalla forza fascinatrice del mito.
Le trasformazioni dello Stato ripropongono in termini inediti il problema della Herrschaft. La
soluzione proposta è quella di un presidente della repubblica super partes in grado di porsi, forte
dell’investitura popolare, quale custode della costituzione. Diversamente, l’alternativa è una
compagine statale debole, ostaggio di questo o quel gruppo di potere.
Il liberalismo consiste nel limitare un potere già dato in nome della difesa «della libertà borghese e
della proprietà privata». Schmitt ritiene che il liberalismo non riesce a dar conto, da un lato, della
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genesi dello Stato, dall’altro, come suoi presupposti necessari, l’ostilità interumana e la possibilità
del conflitto. D’altronde, la pretesa liberale di negare o neutralizzare il politico ha come esito solo la
criminalizzazione dell’avversario. Viceversa, il riconoscimento realistico della possibilità del
conflitto ne permette la regolamentazione giuridica.
Del positivismo giuridico Schmitt critica il fatto di assumere l’ordinamento giuridico
semplicemente come dato, senza porsi il problema dell’istanza che lo rende vigente. Kelsen,
rappresentante più prestigioso del positivismo giuridico, limita programmaticamente la propria
analisi al diritto positivo, ma secondo Schmitt ciò comporta il risultato di rendere il diritto indifeso
di fronte alla fatticità: «In Kelsen hanno vigenza soltanto norme positive, cioè quelle norme che
hanno effettiva vigenza; esse vigono non perché debbono vigere per la loro maggiore giustezza, ma,
senza riguardo a qualità come razionalità, giustizia ecc., solo perché sono positive». Viceversa, per
Schmitt il diritto si pone in un’irriducibile ulteriorità rispetto alla mera norma: esso è un’entità
ideale che deve essere realizzata, attribuendo allo Stato il compito di collegare tale dimensione alla
realtà realizzando il diritto, il quale non è riducibile al fatto o alla mera forza, né alla norma
semplicemente posta.
Secondo Schmitt la nozione di Stato risulta incomprensibile a prescindere da quella di decisione
personale, giacché essa è stata costituita a ridosso di una concezione metafisica nella quale i
concetto di decisione e persona svolgono un ruolo costitutivo. Se nelle “situazioni normali” ciò non
appare con evidenza, è nelle situazioni d’emergenza, quelle non prevedibili in una fattispecie
giuridica, che tale connessione risulta in tutta la sua necessità. È in questi casi eccezionali che si
evidenzia l’intrascendibilità della decisione personale sovrana e si manifesta pienamente il suo
carattere specifico, tanto che Schmitt può affermare che «Sovrano è chi decide sullo stato
d’eccezione». La nozione schmittiana di decisione e quella, ad essa strettamente legata, di sovranità
rivendicano sempre l’appartenenza alla dimensione giuridica. La decisione non i costituisce oltre o
contro il diritto, ma è un aspetto specifico della forma giuridica stessa.
Logica e aporie del concetto di Repräsentation.
L’analisi schmittiana ha riacquisito la nozione di decisione sovrana in tutta la sua pregnanza
giuridica, stabilendo che non vi è vigenza delle norme senza un’istanza sovrana che crei la
situazione normale in cui le norme hanno appunto vigore. Ha fissato nell’ostilità interumana il
presupposto necessario del politico e, quindi, nella capacità di determinare l’amico e il nemico uno
dei contrassegni tipi della Herrschaft. A parere di Schmitt, il sovrano basa la sua pretesa di ricevere
obbedienza sulla teoria della Repräsentation, ravvisando nella Chiesa cattolica la «rigorosa
attuazione del principio di rappresentazione», nel suo rappresentare (personalmente, tramite la
figura del pontefice) un principio trascendente. Ora, nel momento della dissoluzione del sistema
medievale della Respublica Christiana, tale logica si trasferisce allo Stato moderno. Infatti secondo
Schmitt il riferimento in termini di rappresentazione ad un principio trascendente è l’elemento
essenziale non solo della Chiesa, ma di ogni forma politica. È in questo trasferimento di ruolo e di
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funzioni che è da ravvisare il nucleo del concetto schmittiano di teologia politica . Ogni potere
fonda la sua pretesa di obbedienza e l’irresistibilità del proprio diritto con il fatto di rappresentare
un’istanza ideale e non immediatamente presente. I principi formativi che permettono a un popolo
di essere tale sono il principio di identità e il principio di rappresentazione. Il primo corrisponde
all’idea democratica dell’immediata presenza del popolo, il secondo all’idea secondo cui «l’unità
1 La forma giuridica trae il suo senso proprio dal fatto di «essere dominata dall’idea di diritto» e «dal problema della
realizzazione del diritto». D’altro canto, tale realizzazione non può avvenire da sé, ma necessita di un’istanza intermedia
che renda visibile – e questa è la struttura rappresentativa – l’idea.
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politica è realizzata solo dalla rappresentanza». Il primato sembra peraltro spettare alla rappresenta.
Nemmeno là dove il popolo è tutto visibilmente presente in piazza e prende direttamente e
attivamente parte al processo di formazione della volontà politica, si può parlare di presenza
immediata e di democrazia diretta.
La rappresentanza sembra costituire in qualche modo la forma delle forme dell’unità politica, senza
la quale questa non è né realizzabile né visibile, nemmeno nella variante estrema del modello
rousseauniano; il principio politico dell’identità sembra invece soltanto indicare per la
rappresentanza l’impossibilità di porsi come assoluta. L’indicazione schmittiana dell’identità come
principio dell’unità politica è rivelativa del problema proprio di ogni forma politica, in quanto
forma rappresentativa: quello dell’inevitabile iato fra rappresentante e rappresentato e
dell’inevitabile carenza di legittimazione a cui il primo è sempre sottoposto.
La determinazione della Repräsentation come struttura formante l’unità politica è considerata da
Schmitt il gesto inaugurale dell’età moderna. Essa trova la sua espressione compiuta nel pensiero di
Thomas Hobbes e nel suo concetto di sovranità. Schmitt sottolinea la novità della costruzione
hobbesiana: «il sovrano non è il defensor pacis di una pace riconducibile a Dio; è il creator pacis,
creatore di una pace esclusivamente terrena». Essa non corrisponde a nessun ordine preesistente, ma
è il frutto di un patto fra uomini. Questo è reso possibile dall’istituzione della «persona sovrano-
rappresentativa» la quale, in virtù del fatto di rappresentare un’unità altrimenti invisibile, il popolo,
«è trascendente rispetto a tutti i singoli autori del patto, ed anche alla loro somma» e pertanto può
porsi come «esclusiva garante della pace». Solo la necessità di assicurarsi con la pace le condizioni
necessarie per il perseguimento della propria felicità personale e privata può motivare la
sottomissione del singolo al potere sovrano. Hobbes istituisce irrevocabilmente la distinzione fra
pubblico e privato; lo spazio privato verrà via vi allargandosi finché, in epoca illuminista, la morale
pretenderà di giudicare la politica.
Come si è detto, è solo nella rappresentazione sovrana che il popolo, o comunque l’unità politica,
prima assente, diventa presente. La dignità del rappresentante deriva non dalle qualità della persona,
ma dal fatto di render visibile, di impersonare quell’unità. Naturalmente questa capacità del sovrano
è tale solo finché viene creduta. Nulla garantisce la congruenza fra rappresentante e rappresentato,
giacché ciò che viene reso presente non è la volontà del singolo, e nemmeno la volontà della somma
dei singoli, la rousseauniana volonté de tous, ma la volontà generale, la volonté générale.
In Die Diktatur, Schmitt opera una distinzione fondamentale fra dittatura commissaria, limitata nel
tempo, e dittatura sovrana. Una dittatura è tale, cioè libera da ogni vincolo, assoluta, irresistibile, in
quanto è diretta espressione, meglio, unica espressione legittima di un potere costituente altrimenti
“informe”. La sua infinita potenza deriva da un potere che, paradossalmente, è tanto potente quanto
invisibile, giacché, in quanto costituente, non può mai costituirsi senza cessare di essere se stesso.
Schmitt scorge nelle vicende rivoluzionarie del 1789 nient’altro che il pieno manifestarsi
dell’essenza stessa della forma politica moderna, qual è stata formulata per la prima volta da
Hobbes: giacché «per Hobbes è il sovrano a stabilire ciò che è utile o dannoso allo Stato», lo Stato
hobbesiano «è per costituzione stessa una dittatura».
Katechon, origine, idea.
Nel secondo dopoguerra queste acquisizioni teoriche vengono rifuse nella riflessione sulla storia
politica europea intesa come successione di ordinamento spaziali concreti. Centrale, in questo
contesto, è il concetto di katechon che riguarda originariamente la Chiesa, e il suo compito storico
di arrestare l’avvento dell’Anticristo, nella consapevolezza che comunque tale evento possa solo
essere differito. Schmitt secolarizza tale concetto, che diventa ora metafora dell’ordine politico
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moderno, caratterizzato dallo iato insuperabile fra principio ideale e sua realizzazione concreto. Al
concetto di katechon si intreccia strettamente quello dell’ineliminabile ostilità interumana. Esso
trova espressione nella nozione di stasiologia: l’ambivalenza della parola greca stasis