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ARTE ECONDA

CAP 7: il pensiero dialettico.

Il positivismo scientista ottocentesco scorge contraddizioni irrisolte che consistono

essenzialmente nel fatto che l’individuo è ridotto a nulla. Il pensiero dialettico oppone analisi

politiche orientate a consentire al soggetto storico reale (individuo o classe che sia) di liberare la

propria ‘concretezza’. Ma i conflitti coi quali si deve misurare il pensiero dialettico si mostrano

insormontabili.

L’Italia.

In Italia attraverso la ripresa dell’hegelismo si realizza una piena consapevolezza della concreta

storicità dei problemi politici (Croce), e del fatto che le istituzioni politiche debbono essere il

risultato di un pieno coinvolgimento del soggetto nella prassi (Gramsci).

Benedetto Croce intende affermare una concezione dialettica del liberalismo. Attraverso il

recupero di Hegel, Croce tenta di sottrarre il liberalismo al destino di irrigidirsi nelle sue

contraddizioni, ad esempio, al conflitto tra individuo e potere politico che in esso si torna a

presentare, oppure allo scontro di classe. Le contraddizioni non possono venire risolte una volta per

tutte mediante una razionalità pianificatrice. Per lui, come per Vico, la verità è l’operare umano nel

corso della storia. La definizione di storicismo assoluto con cui Croce qualifica il proprio pensiero

coincide con l’affermazione che la vita e la realtà è storia e nient’altro che storia. Nella prima fase

del suo pensiero Croce cerca di definire l’essenza della politica. A ciò egli giunge mediante una

riforma della dialettica che affianca alla nozione hegeliana di opposizione quella di «distinzione»

che è per Croce l’articolarsi, per forme e gradi distinti (economia, etica, arte, politica), dell’unità

dello Spirito, mentre l’opposizione dialettica si ritrova nel contesto di ciascun grado (bello e brutto

nell’arte, vero e falso nella filosofia, utile e inutile nell’economia, bene e male nell’etica).

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La politica rientra nella sfera pratica e in particolare nella forma economica dello Spirito. Essa è

forza, in quanto si configura come un’azione funzionale al perseguimento di un determinato scopo

utile, e anche lo Stato non è altro che un processo di azioni utili di un gruppo di individui che si

realizza nel governo. La concezione più adeguata dello Stato è dunque quella dello Stato-potenza,

cioè dello Stato che persegue apertamente il proprio utile. La netta differenziazione tra politica e

morale porta Croce ad annullare ogni distinzione tra Stato e governo e a togliere rilevanza alle

possibili violazioni del quadro istituzionale e statuale della legalità eventualmente compiute dagli

organi di governo. E tuttavia lo Stato non può e non deve ricomporre il pluralismo antagonistico e

dialettico delle forze politiche e ideali, poiché la realtà storica si esprime attraverso contrasti,

opposizioni, contraddizioni.

La seconda fase del pensiero crociano, quella più propriamente liberale del periodo successivo alla

guerra, quando si presenta il problema della nazionalizzazione e della rappresentanza politica di

grandi masse popolari. In Politica in nuce egli perviene a una concezione dello Stato come

istituzione capace di incorporare i valori del progresso morale.

Nel liberalismo, per lui, si verifica l’avvicinamento tra morale e politica che non è annullamento

dell’una nell’altra, e che va realizzato combinando forza e consenso nella libertà.

Dal punto di vista storiografico Croce si ispira alla religione della libertà. La libertà, secondo

Croce, non solo è la forza creatrice della storia, ma ne è il vero e proprio soggetto, e infatti la storia

coincide per lui con la storia della libertà.

In Etica e politica, l’impossibilità di ricondurre la libertà a un principio economico porta Croce a

differenziarsi dal liberismo economico e storico-istituzionale. Nella recensione a Le origini del

liberalismo europeo di Laski, egli sostiene che l’idea liberale può avere un legame contingente e

transitorio, ma non ha nessun legame necessario e perpetuo, con la proprietà privata. Il liberismo

inteso come iniziativa individuale non è altro che una delle molteplici forme storiche che la

concezione liberale può assumere, e non la sua necessaria espressione.

La terza fase del pensiero crociano è quella dell’immediato secondo dopoguerra. In quegli anni

l’Autore procede alla revisione di un importante elemento della filosofia dello Spirito, cioè la

categoria dell’utile, che viene trasformata in quella del vitale, che viene ad indicare la materia non

solo della vita morale, ma dell’intera vita dello Spirito. Manifestazioni della vitalità sono per Croce

i periodi di apparente decadenza o di rinnovata barbarie, che sono premessa necessaria al progresso

dello Spirito. L’attore della storia è lo Spirito che deve fare i conti con il male che interessa tutta la

sua vita.

Giovanni Gentile si propone di oltrepassare l’idealismo hegeliano in un idealismo attualistico, di

cui il nucleo teorico è il concetto di atto: esso è il pensiero che pone se stesso, e che in questo

processo si oggettiva dando luogo all’intera realtà. Il soggetto è dunque soggetto-oggetto: Gentile

non teorizza alcun processo dialettico che si realizza nella storia, perché la coincidenza hegeliana di

razionale e reale, che si realizzava solo al fine del processo dialettico dello Spirito, è per Gentile una

sintesi già data, che si manifesta non nella storia, ma nell’atto, l’unità a priori di soggetto e

oggetto. La vita dell’atto è un continuo divenire.

Fin dal 1916 l’Autore sostiene che l’atto spirituale è sempre anche un atto morale, realizzazione

pratica dello Spirito stesso e quindi libertà. L’atto, la sintesi originaria di soggetto e oggetto, si

concretizza come Stato, che è unità a priori delle differenze e che non conosce limiti, in quanto è

unità di particolare e universale. Così Gentile può affermare che nell’attualità spirituale famiglia,

società civile e Stato sono identiche, in quanto tutte realizzazioni dello Spirito; sfumano anche le

distanze tra Spirito soggettivo e Spirito oggettivo. Il pensiero politico di Gentile si pone, di

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conseguenza, anche come superamento del liberalismo e delle sue differenziazioni fra i diversi

ambiti politici e istituzionali.

Lo Stato etico è lo Stato in cui pienamente e consapevolmente si realizza la libertà dell’atto, e che

ha perciò una missione culturale e morale: porre in atto la nazione italiana e formare il carattere

degli italiani. Lo Stato etico non è garante delle libertà individuali, ma promotore e realizzatore

dell’unica libertà dello Spirito: e quindi è anche Stato pedagogico.

In Genesi e struttura della società, Gentile torna a riflettere sui temi della Filosofia del diritto e sul

concetto di Stato come società trascendentale. Qui egli affronta il problema della società quale

rapporto io-noi: la società diventa comunità, totalità, insieme indifferenziato di tutti.

Per Gramsci, il marxismo è una concezione dialettica della storia umana che rinviene la possibilità

di un ordine nuovo nella capacità umana di agire in modo da trasformare situazioni e rapporti di

forza. Agli occhi di Gramsci la rivoluzione sovietica mette in luce la capacità del proletariato di

dirigere il processo produttivo anche senza il capitalismo. E così egli attribuisce ai «Consigli»

operai di fabbrica (ossia i soviet), la nuova istituzione della classe di produttori, la capacità di

dirigere complessivamente la società tramite la partecipazione diretta.

La rivoluzione d’Ottobre si configura, per l’Autore, come l’ultimo episodio degli sforzi

rivoluzionari dei proletari europei, cioè della guerra di movimento fra comunismo e mondo

borghese, che in Russia ha potuto essere coronata dal successo solo grazie al carattere gelatinoso

della società civile di quel paese. Nei Paesi occidentali, dove la società è più articolata, la strategia

deve essere più articolata e Gramsci rimette in primo piano la funzione del Partito comunista

rivoluzionario. In tema di produzione, egli sviluppa una concezione che insiste sulla necessità di

replicare alla razionalizzazione capitalistica espressa dal taylorismo e dal fordismo con una

razionalizzazione del lavoro basata sull’organizzazione del lavoratore collettivo capace di

praticare un industrialismo senza capitalismo, nella prospettiva dell’autonomia morale e

intellettuale dei lavoratori.

Il fascismo è per Gramsci l’esito di una politica disegnata dai vertici della borghesia industriale, che

si è avvalsa dei ceti medi soprattutto rurali per opporsi alla lotta di classe socialista e poi comunista.

Per superarlo è indispensabile pensare a una «guerra di posizione» e questa esigenza porta

Gramsci a rivedere il concetto di società civile: essa abbraccia tutto il complesso delle relazioni

ideologico-culturali della vita spirituale e intellettuale ed ha il ruolo decisivo. Per lui, infatti il

potere di una classe non si esercita solo con la forza, ma con l’egemonia, la capacità di direzione

ideale nei confronti delle altre classi ed è a ciò che deve puntare il proletariato organizzato nel

partito comunista. Solo il proletariato industriale socialista può unificare e modernizzare il paese e

risolvere la questione meridionale con una strategia unitaria tra operai e contadini in grado di

rompere l’alleanza tra industriali e agrari.

La Francia.

La Hegel renaissance di Wahl, Hyppolite, Kojève, fa riscoprire il problema del soggetto concreto

che nella sua finitezza si pone in rapporto con lo Stato moderno e con la storia universale.

Alexandre Kojève interpreta la II fenomenologia hegeliana come un’antropologia storica che

descrive l’uomo nel suo divenire; il Geist, lo Spirito, di Hegel si trasforma per Kojève nell’Uomo.

Nella lettura di Kojève sono centrali alcune figure: la lotta fra servo e signore e il tema della morte.

La storia del servo e del signore per lui sta a significare che non vi è soggettività umana prima e

fuori dall’interazione sociale: l’uomo è sempre un prodotto della lotta e del lavoro, e lo stesso

ordine politici si costruisce come spazio fondato originariamente sulla lotta. Il medesimo impianto

categoriale serve per spiegare l’evoluzione del diritto, che è costituito dal conflitto dialettico fra la

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giustizia di eguaglianza e giustizia di equivalenza. La dialettica hegeliana &egra

Dettagli
A.A. 2014-2015
54 pagine
15 download
SSD Scienze politiche e sociali SPS/02 Storia delle dottrine politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AngeloNELLAnebbia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del pensiero politico contemporaneo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scuccimarra Luca.