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LA SCUOLA DI LOSANNA
WALRAS: Il sistema di equilibrio economico generale secondo Walras
o descrive la situazione in cui si realizza il massimo di utilità.
Walras non si preoccupò di spiegare il contenuto dell’affermazione
<<massimo di utilità>> nel caso in cui non si tratti di un individuo ma del
sistema nel suo complesso: alla base di questa lacuna c’è la difficoltà che la
teoria incontra nel momento in cui si pone interrogativi riguardanti la
misurabilità dell’utile.
VILFREDO PARETO: Questo ostacolo viene superato analiticamente da
o Pareto attraverso l’introduzione delle curve di indifferenza dei gusti e degli
ostacoli, fondate sulla convinzione di non poter misurare l’utilità, bensì di
poter comprare e ordinare le preferenze in termini di più utile e meno utile.
Le curve dei gusti rappresentano l’insieme dei punti che esprimono
combinazioni di beni ugualmente soddisfacenti nel giudizio dell’individuo.
In base a queste curve, Pareto individuò l’equilibrio riguardo ai gusti, quello
riguardo agli ostacoli e quello derivante dallo scontro gusti-ostacoli.
Egli precisò che la nozione di ofelimità riferita alla collettività è definibili come
quella situazione che si verifica quando, impiegando i fattori in modo
efficiente, non è possibile, per avvantaggiare qualcuno, variare la produzione
e la distribuzione senza danneggiare altri.
L’ECONOMIA MARSHALLIANA E IL NEOCLASSICISMO
ALFRED MARSHALL
Marshall sottolineava la propria volontà di proporre approfondimenti teorici di aspetti del
fenomeno economico tralasciati dai predecessori. Egli considerava il carattere e
l’efficienza dell’uomo come prodotto delle circostanze. Si trattava di distinguere l’elemento
umano da quello meccanico e di approfondire la conoscenza dell’aspetto biologico senza
perdere di vista la necessità di seguire la strada dell’analisi delle leggi e delle misure.
Marshall, come marginalisa, considerava centrale la determinazione del prezzo attraverso
la massimizzazione delle soddisfazioni individuali e delle remunerazioni dei servizi
produttivi. 31
Egli teorizzò il valore dei beni determinato sul mercato dall’incontro dall’agire
contemporaneo, di domanda e di offerta.
La sua analisi si diresse perciò a distinguere in che modo domanda e offerta concorrono in
libero gioco nel meccanismo di formazione del prezzo di equilibrio.
Per quanto riguarda l’analisi della domanda, Marshall guardò al comportamento dei
soggetti i quali mirano a ricavare soddisfazione dal consumo di un particolare bene alla
legge dell’utilità marginale decrescente.
Sia che si tratti della domanda di una sola persona, sia di quella di un intero mercato, il
desisderio di una merce diminuisce ad ogni aumento della sua disponibilità. Ma questa
diminuzione può essere lenta o rapida: se è lenta, l’elasticità dei bisogni del soggetto è
grande; se è rapida, l’elasticità è piccola.
Per quanto riguarda le condizioni di offerta normale, esse sono date dalle spese normali
della produzione nell’impresa e variano secondo il periodo di tempo cui l’indagine si
riferisce. Marshall distinse il periodo brevissimo, il periodo breve e il periodo lungo,
attribuendo a questa ipotesi una valenza logica e non strettamente temporale.
Nel periodo brevissimo ipotizzò l’offerta fissa per cui il prezzo attira il consumatore verso
il mercato è regolato dalla domanda di quel bene, ovverossia dall’utilità marginale e non
dai calcoli relativi al costo di produzione.
Nel periodo breve il prezzo di offerta normale è invece governato dalla possibilità delle
imprese di una stessa industria di variare l’offerta utilizzando gli impianti dati per adeguarla
alla domanda con cognizioni tecniche e capacità specializzate.
Nel periodo lungo si ipotizza possibile tanto la sostituzione degli impianti all’interno delle
imprese, quanto l’ingresso di nuove imprese nel mercato. Queste variazioni possono far
variare i rendimenti d’impresa e i costi unitari di produzione.
In particolare, l’attenzione di Marshall fu attratta dalla presenza di economia interne,
dipendenti dalle risorse delle singole aziende, dalle loro organizzazione e dall’efficienza
della loro amministrazione, ed esterne dipendenti dallo sviluppo generale dell’industria.
In primo luogo, ciò comporta che ad uno stesso prezzo il produttore è disposto a produrre
una maggior quantità di beni; in secondo luogo, da ciò deriva un restringersi della
concorrenza allo stabilirsi di forme di monopolio che avvantaggiano il producono un
incremento di benessere per il consumatore.
Marshall osservò però che il legame tra vita delle imprese e sviluppo dell’industria può
ripercuotersi negativamente sula crescita delle prime. Egli, a questo proposito, introdusse
il concetto di diseconomie esterne che rappresentano gli svantaggi derivanti alle singole
unità dall’attività industriale altrui.
Nel libro VI dei Principi, Marshall affermò che i servizi produttivi vengono erogati ad un
prezzo stabilito marginalisticamente dalla relazione tra domanda e offerta. 32
Marshall specificò che ciascun mercato presenta caratteristiche proprie. Egli individuò
alcune forze che agiscono sull’offerta di lavoro e che determinano svantaggi nella
posizione contrattuale dei lavoratori:
a) Il lavoratore vende il suo lavoro, ma la sua persona non ha prezzo;
b) Il lavoratore è inseparabile dal proprio lavoro;
c) Il lavoro è deperibile;
d) Il mercato del lavoro manca di un fondo di riserva
e) Si richiede un lungo periodo di tempo per accrescere l’offerta di lavoro
specializzato.
Accanto all’interesse netto si forma nel sistema l’interesse lordo, il quale include
l’assicurazione contro rischi e il guadagno di amministrazione e, per questo, non tende a
livellarsi.
La trattazione del profitto non fu svolta da Marshall con organicità, ma permette di
evidenziare il carattere di compenso come quarto fattore della produzione. I guadagni che
gli imprenditori percepiscono dipendono dalla difficoltà del lavoro compiuto,cioè dalla
domanda e dell’offerta, anche se su quest’ultima influiscono tanto le capacità naturali
quanto il costo dell’educazione, cioè le condizioni socio-economiche degli offerenti.
Infine, la rendita che va al proprietario delle terre o socio assente è originata dalla non
aumentabilità o non trasferibilità dell’offerta ed è regolamenta dalla consuetudine.
Nel capitolo XI, Marshall sintetizzò la teoria della distribuzione per giungere ad affermare
che nel sistema esiste, nonostante l’apparente concorrenza tra i fattori per l’occupazione,
una sostanziale solidarietà dovuta al fatto che ognuno dei fattori è l’unica fonte di
occupazione per gli altri e che il dividendo nazionale si produce mediante il loro utilizzo
congiunto.
L’impresa economica di cui Marshall trattò non operare all’interno di un mercato di
concorrenza perfetta, ma nemmeno al di fuori delle condizioni che ne guidano il
funzionamento; concorrenza, monopolio e intervento dello Stato sono ipotesi che si
compenetrano grazie a nuovi strumenti analitici introdotti che portarono Marshall a cercare
le condizioni per la soddisfazione individuale ne collettivo. L’analisi di Marshall fa
riferimento ad un mondo in cui l’interdipendenza generale del mercato è interrotta da linee
di separazione che riflettono una struttura eterogenea, sia nel senso della collocazione
sociale dei soggetti che in quello della composizione tecnica del capitale.
TEORIA QUANTITATIVA DELLA MONETA E PRIME ANALISI DEL CICLO
Quasi tutti gli economisti classici e marginalisti ritenevano che la circolazione monetaria in
un paese dipendesse dall’ammontare numerico della moneta, dal numero degli scambi
compiuti in un determinato periodo di tempo e dalla velocità di circolazione. 33
Alla base di questa convinzione c’era l’idea che la domanda dipendesse solo dalla
produzione e che tra i due termini non si verificassero squilibri.
Nel sistema di determinazione dell’equilibrio generale, la moneta infatti funge da
numerario, cioè da termine base a cui si determinano i prezzi relativi degli altri beni.
IRVING FISHER: Formalizzo la concezione quantitativa della moneta, Fisher
o conferma il carattere neutrale della moneta attraverso la relazione
MV = PT
Marshall fin dagli anni Settanta si soffermò sui limiti dell’impostazione
quantitativa applicata rigidamente all’analisi delle questioni monetarie. Nella
teoria generale del lavoro stabilì che il valore di scambio dell’ammontare
globale della moneta di un paese è uguale a quello dell’ammontare totale
delle merci che la popolazione decide di tenere disponibile in forma liquida.
La teoria che correla direttamente i prezzi al volume della moneta sarebbe, a
suo parere, valida solo nel lungo periodo. Per quanto riguarda il breve
periodo Marshall, come Fisher e Wicksell, individuò la differenza tra saggi di
interesse naturale e monetario.
RALPH HAWTREY (1879-1971): Centra la propria analisi dell’andamento
o ciclico dell’economia sul ruolo del sistema bancario che con le operazioni
di credito è in grado di influire sulla consistenza dei mezzi di pagamento
nelle mani degli individui. Egli individuò nei grossisti quella categoria che, per
spandere le scorte, usufruisce maggiormente, nel sistema economico, dei
prestiti bancari, incentivando così anche la produzione delle merci.
Hawtrey diede due spiegazioni: con la prima egli collegò il livello dell’offerta
di credito alla quantità di oro disponibile nel paese; se quest’ultima cresce, il
credito si spande e i prezzi salgono. Con la seconda spiegazione egli collegò
il punto di svolta al crescere del bisogno di detenere liquidità presente nella
fase di espansione del sistema e della crescita dei salari. Inoltre egli attribuì
ai flussi d’oro provenienti dalle miniere nelle banche la capacità di invertire la
direzione del ciclo, nel momento in cui invece i salariati non sono in grado di
accrescere le riserve bancarie. 34
CAPITOLO VII – corrosione del marginalismo e
fermenti innovativi
I PROBLEMI DI METODO E DI DEFINIZIONE DELL’ECONOMIA PURA
JOHN BATES CLARK: Elaborò la funzione del sistema teorico. Egli affermò
o l’intrinseca positività del principio della concorrenza nello scambio, intesa
come rivalità soggetta a regole morali e ad un fine morale, e sostenne la
necessità