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Sant’Uffizio, a Roma.

Rapporti sedi locali con Congregazione: A partire dagli ultimi decenni del Cinquecento si consolidarono

le relazioni tra il centro le la periferia, tra la Congregazione del San’Uffizio e le sedi locali, grazie a fitti

scambi epistolari. Vescovi e inquisitori italiani avevano piena autonomia solo nelle cause di minore

importanza. Già dal 1590 spettavano al Sant’Uffizio la scelta di applicare la tortura e – almeno per i

passaggi decisivi – le cause di eresia, di magia colta, di stregoneria e di apostasia, nonché i controlli sulla

stampa e la circolazione di libri proibiti.

Già nel febbraio del 1625 giunse la risposta del cardinale Gian Garcia Millino (vicario di Roma). La

Congregazione aveva stabilito che Don Germiniano era un eretico formale e in quanto tale doveva abiurare

le dottrine erronee professate per tanto tempo. Inoltre doveva essere trasferito in un convento di Roma in

accordo con il Generale del suo ordine, e doveva essere privato della licenza di confessare.

Si trattava di provvedimenti molto severi. Infatti la spontanea comparizione (un istituto giuridico

largamente utilizzato dall’Inquisizione romana) prevedeva l’adozione di procedure lievi a chi – con

pentimento sincero e non gravato da indizi o denunce – rivelava i suoi delitti contro la fede e i nomi degli

eventuali complici. Quando questi requisiti sussistevano i giudici dell’Inquisizione romana riducevano a un

minimo simbolico le pene: a penitenze spirituali, e – nel caso degli ecclesiastici – si revocavano o

sospendevano le autorizzazioni relative agli incarichi ricoperti (nel caso di don Germiniano il permesso di

confessare e l’eventuale licenza di esorcizzare). Ma il caso del teatino modenese era estremamente grave

per poter adottare dei lievi provvedimenti punitivi: egli metteva in dubbio il carattere peccaminoso dei

toccamenti, giustificava il suo operato ed era riuscito a suggestionare molte donne. Quindi proibirgli solo

l’ascolto delle confessioni o impedirgli di esorcizzare non avrebbe sortito alcun effetto perché un sacerdote

influente come lui avrebbe sicuramente trovato altri canali per comunicare con le sue figlie spirituali.

Bisognava dunque evitare ogni possibile contatto con l’ambiente in cui aveva diffuso eresie tanto

pericolose (anche a costo di commettere una grave ingiustizia), per questo fu deciso il trasferimento a

Roma (per averlo più vicino e poterne così sorvegliare i movimenti).

Per quanto riguarda le sue pazienti-penitenti, erano escluse da interventi giudiziari e affidate alle cure dei

confessori. Quindi era meglio agire nel foro della coscienza, persuadere quelle donne a liberarsi dagli errori

eventualmente condivisi con il loro cattivo maestro e istruirle. 3

Nella lettera inviata dall’Inquisizione inoltre non si accennava all’esigenza di indagare sugli eventuali

ispiratori o complici del teatino, né sulla fantomatica autorizzazione vescovile rilasciata ad uno di essi.

Complessivamente i Supremi Inquisitori raccomandavano di muoversi con estrema cautela, di evitare in

ogni modo i pettegolezzi: nulla doveva trapelare all’esterno.

A vanificare le linee guida (per il processo) stabilite dalle autorità centrali del Sant’Uffizio fu l’autonoma

comparizione (su invito di Don Germiniano) delle presunte indemoniate davanti all’inquisitore di Modena

(Reghezza). In questo modo diventava inattuabile la decisione di affidare quelle donne alla cura dei

confessori.

A modificare la direzione impressa al processo dalle autorità centrali vi contribuì anche la decisione del

Reghezza (comunicata ai cardinali del Sant’Uffizio nel marzo del 1625) di utilizzare don Germiniano –

riconosciuto eretico formale dai Supremi Inquisitori – come mediatore, per convincere le donne “sedotte” a

comparire in giudizio; era sicuramente una scelta paradossale.

Il Reghezza così convocò immediatamente in giudizio un’altra delle penitenti di Don Germiniano. In questo

modo veniva a cadere la distinzione, fatta dalle autorità romane, tra il pericoloso eretico e le sue vittime;

inoltre le donne non furono escluse da interventi giudiziari e affidate a dei confessori e il teatino non fu

costretto ad abiurare subito e a rifiutare i suoi errori. Egli abiurò solo tra mesi dopo la lettera del cardinal

Millino, nel maggio del 1625.

Nel frattempo la Congregazione del Sant’Uffizio aveva suggerito al Reghezza come fronteggiare i problemi

processuali sollevati dalle comparizioni delle presunte indemoniate. La questione più seria riguardava

l’atteggiamento da assumere nei confronti di Isabella Dosi, la più convinta – tra le “pazienti” di don

Germiniano – della legittimità delle tecniche applicate dal padre spirituale (difendeva dunque l’operato

dell’esorcista eretico). I Supremi Inquisitori stabilirono allora che anche per gli atteggiamenti sospetti delle

donne coinvolte bisognava dare una risposta giudiziaria. Per quanto riguarda la Dosi bisognava accertare da

dove scaturiva il suo sostegno verso don Germiniano. A nessuna donna era lecito avere contatti sessuali al

di fuori del matrimonio. Quindi se si fosse verificato che la Dosi era a conoscenza del divieto sarebbe stato

inevitabile dichiararla eretica formale; se invece non ne era a conoscenza le sarebbe stata inflitta la

condanna dell’abiura de vehementi: soluzione questa abitualmente utilizzata nelle cause di una certa

gravità, quando i giudici non ritenevano pienamente provata la natura ereticale delle idee o dei

comportamenti di un inquisito. Questi accertamenti dovevano essere estesi dal Reghezza a tutte le donne

coinvolte.

Quindi era un eretico formale don Germiniano perché difendeva e propagandava la sua dottrina erronea; e

potevano essere eretiche formali anche le sue figlie spirituali, solo nel caso in cui – pur consapevoli della

natura peccaminosa e proibita di quei toccamenti – li avevano accettati, con un comportamento lesivo dei

propri doveri di donne e della stessa ortodossia.

Le decisioni finali nei confronti di don Germiniano prese di comune accordo dall’Inquisizione romana e dai

superiori dell’Ordine teatino mitigarono la decisione iniziale. I superiori dell’Ordine teatino ottennero che

l’esorcista/confessore non fosse più trasferito a Roma ma nella “vicina” Ravenna (giugno 1625). In cambio

l’Ordine fu tenuto a rendere più severi i meccanismi di reclutamento dei suoi esorcisti: da allora i teatini –

in ogni parte del mondo – avrebbero potuto esorcizzare gli indemoniati solo su autorizzazione del Generale

dell’Ordine. L’Inquisizione con la condanna di don Germiniano ribadiva il principio dell’assoluta intoccabilità

del corpo femminile, se non da parte di chi era autorizzato a infrangere le alte barriere che lo tutelavano

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(solo mariti e medici). Pochi anni dopo (1630) don Germiniano morì a Ferrara, più vicino a Modena ma

ancora esule.

La nuova fase processuale – che prevedeva l’interrogatorio delle donne coinvolte – iniziò nell’aprile del

1625. Le presunte indemoniate furono sottoposte, nel corso degli interrogatori, a una verifica attenta e

minuziosa del loro coinvolgimento negli esorcismi proibiti. E tutte dichiararono – nonostante i rimproveri

del Reghezza – di aver ritenuto quelle tecniche esorcistiche così inconsuete utili e legittime, oltre che

compatibili con il dovere di tutelare con la riservatezza necessaria le parti più segreti dei rispettivi corpi.

Solo una delle presunte indemoniate – forse l’unica a negare l’evidenza perché consapevole dei divieti

infranti e del carattere peccaminoso dei quelle tecniche – obbliga il giudice a sottoporla alla detenzione

provvisoria.

Paradossalmente dunque le misure studiate a Roma – di un intervento essenzialmente pedagogico su

donne ritenute poco attente alla tutela del proprio corpo – si rivelarono del tutto inadeguate, le

“indemoniate” appartenevano a buone famiglie e non avevano certo bisogno di nozioni di etica sessuale.

Quindi le donne meritavano di essere punite come eretiche formali. Prevalse invece una soluzione più

morbida, caldeggiata dallo stesso papa (Urbano VIII). La condanna prevedeva delle penitenze salutari e

l’abiura, inoltre erano riconosciute veementemente sospette d’eresia per aver condiviso le pratiche di don

Germiniano. Si erano dunque macchiate anche loro di delitti contro la fede. Al Reghezza spettava il compito

di sottolineare la sproporzione tra l’enorme gravità dei loro errori e la mitezza della condanna subita. I

Supremi Inquisitori ribadirono anche la necessità di impartire a quelle donne i rudimenti di istruzione

religiosa di cui avevano urgentemente bisogno e dunque di affidarle alle cure di confessori capaci.

Suggerivano anche di raccomandare alle inquisite una confessione generale: errori così gravi esigevano un

riesame approfondito di tutta la loro vita. Le donne così abiurarono tutte, privatamente, nell’arco di una

settimana.

L’ultima fase del procedimento giudiziario riguardò il processo contro il sacerdote secolare Girolamo Bricci

(l’unico esperto di esorcismi genitali a subire un regolare processo) che aveva condiviso le pratiche di don

Germiniano (e che non era stato menzionato dal teatino e dalle prime testimoni). Don Girolamo era un

esorcista di professione che conosceva molto bene i libri del mestiere, come quelli del Menghi; e si

atteneva ai dettami riguardo l’eventuale somministrazione di medicine agli ossessi (cioè solo dietro

consenso del medico). Probabilmente il processo contro di lui fu necessario dall’insistenza con cui cercava

di negare addebiti piuttosto pesanti, così fu incarcerato e sottoposto a severi interrogatori, con l’uso anche

della tortura della fune, ovviamente dietro autorizzazione del Sant’Uffizio. Le argomentazioni utilizzate da

don Girolamo erano le stesse del teatino (le ossesse ne ricevevano sollievo; non c’era piacere; un altro

esorcista, ora morto, utilizzava le stesse tecniche; quegli interventi erano a gloria di Dio e contro il

Demonio) ma si serve anche di una motivazione nuova: secondo lui, anche uno degli ecclesiastici che aveva

esorcizzato la defunta duchessa di Modena, Virginia de’ Medici – afflitta per lunghi anni da misteriosi

disturbi – aveva diagnosticato la presenza del demonio nei genitali di una sua paziente. Era stata quella

valutazione autorevole a spingerlo a continuare con i particolari esorcismi.

Tra gli addebiti che gli erano contestati figuravano anche i toccamenti dei suoi genitali da parte delle

indemoniate: era un particolare fortemente sospetto oltre che del tutto ingiustificato. Anche don

Germiniano durante le sedute si era fatto toccare ma l’inquisitore modenese (il Reghezza) aveva preferito

non approfondire la vicenda; cosa che non a

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Publisher
A.A. 2011-2012
25 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/02 Storia moderna

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eowyn87 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Gabriele D'Annunzio di Chieti e Pescara o del prof Pizzorusso Giovanni.