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LE RIFORME
Il problemaMutuato dal vocabolario religioso, il termine riforme nel diciottesimo secolo passò ad indicare una serie di interventi inambiti nevralgici della vita civile, dagli apparati amministrativi e finanziari all’economia ed il commercio, dagli ordinisociali alle istituzioni ecclesiastiche. Il Settecento, infatti, si caratterizza come il periodo in cui i principali Stati europeiavviarono un processo di riordinamento e trasformazione che, se non fu dappertutto efficace e fecondo, in nessun luogorisulta del tutto assente.Un rapporto di causa-effetto tra l’elaborazione delle idee illuministiche e la politica dei sovrani settecenteschi è statosuggerito dagli stessi contemporanei: re e philosophes traevano certo reciproci vantaggi dal mitico, felice connubio trapotere e cultura, capace di generare una nuova età dell’oro. Se il monarca aveva la migliore legittimazione del potereassoluto nella repubblica delle lettere, impersonando il re-filosofo.Gli intellettuali più vicini ai sovrani potevano vedersi riconosciuta una funzione professionale anche sul piano economico ed insieme aprivano la strada alla realizzazione dei propri ideali. L'incontro tra potere e cultura, in una geografia differenziata, avrebbe trovato definizione nella formula di dispotismo illuminato coniato dagli storici tedeschi verso la metà dell'Ottocento. Tuttavia già nel Settecento venivano qualificati despoti illuminati quei sovrani che, con il sostegno degli stessi philosophes, intendevano usare la propria autorità per combattere i privilegi dei ceti e favorire le riforme. Analizzate in rapporto alle differenti condizioni economiche, politiche, sociali e culturali in cui i sovrani si trovarono ad agire, le riforme appaiono sempre più tentativi di potenziamento degli eserciti, riorganizzazione amministrativa e finanziaria, incentivi ai mercati resi necessari ed urgenti soprattutto dopo esperienze belliche di notevole portata.
Non a caso a vivere le più intense stagioni riformatrici furono i territori in cui la debolezza dei ceti emergenti e la conseguente fragilità dell'opinione pubblica lasciavano allo Stato accentratore tutto lo spazio dell'iniziativa. Qui i principi potevano assumere una funzione tutelare e paterna di gestione del regno come di una res familiaris, in cui i sudditi restano figli minori incapaci di esprimere un autonomo volere. Finalizzata ad un benessere generale individuato dall'alto, questa politica sociale paternalistica era insieme autoritaria e benevola, esercitata con metodi esclusivamente amministrativi. La via per tentare di uscire dalla crisi, aggravata dalle guerre di successione prima e da quella dei sette anni poi, fu infatti individuata nella distribuzione dei carichi fiscali. Il mezzo, suggerito dalla cultura illuministica, fu l'abbattimento dei privilegi. I risultati, inevitabilmente, sarebbero stati condizionati dalle diverse.capacità di resistenza della struttura corporativa dei ceti detentori di poteri e privilegi nei singoli Stati, ma non avrebbero soddisfatto né i sostenitori né i nemici dell'Ancien régime.
Caratterizzato da un nuovo modo di porre i problemi e di proporre soluzioni, il processo di modernizzazione nell'aspirazione settecentesca trovò un supporto culturale di grande efficacia nel linguaggio dei lumi, maturato dalla svolta spirituale di fine Seicento. Anche la parola "riforme" come poche altre, rimandando ad un insieme di valori, diventava una di quelle spinte ideali grazie a cui gli uomini vivono il proprio tempo e, perciò, potrebbe essere identificata come una delle componenti della "psiche collettiva" della civiltà del XVIII secolo.
Vecchie e nuove potenze sullo scacchiere europeo
L'assetto politico-territoriale dell'Europa settecentesca era stato determinato dall'esito del contrasto tra gli Asburgo
e iBorbone per la successione spagnola (1701-1714). Il concetto politico di equilibrio, che aveva ispirato le strategie dialcuni paesi sul calare del Seicento, appariva tanto ragionevole da sembrare destinato a durare a lungo sia pure traantichi e nuovi risentimenti, opposte volontà di potenza, imprevisti rovesciamenti di alleanze. Ne derivòun’intensificata attività diplomatica diretta a favorire intese, anticipare strategie difensive, combinare matrimoni.Intanto fiorivano progetti di pace perpetua come quello dell’abate di Saint-Pierre e si intraprendevano guerre peraltromai risolutive.A fronte di un’Olanda sempre meno temibile, l’Inghilterra, dotata della migliore flotta del mondo, ampliava i suoiorizzonti per il controllo delle vie del commercio e dei rapporti internazionali. Estranea alle tensioni in atto sulContinente, faceva sentire ugualmente il suo peso per la forza crescente e i legami dinastici con l'Hannover. LeLe sue aspirazioni ad una pace feconda di buoni traffici trovavano ostacolo nella Francia, che con una politica commerciale e coloniale ambiziosa offriva nuove occasioni di rianimare un'antica rivalità, espressa anche nella contrapposizione di modelli politici e sociali. In Spagna la dinastia dei Borbone metteva salde radici, avviando con Filippo V un programma di risanamento delle finanze, di ammodernamento dell'esercito e di razionalizzazione dell'amministrazione secondo il modello francese. Non solo. Grazie all'influenza esercitata a corte da Elisabetta Farnese e dal cardinale Alberoni, prendevano corpo i tentativi di ristabilire la perduta supremazia spagnola in Italia. Gli accordi dell'Aja (1720), cui la Spagna fu costretta dopo la sconfitta subita da parte di una Quadruplice Alleanza (Inghilterra, Olanda, Austria e Francia), non frenarono le trame della regina determinata ad assicurare un trono ai figli nella Penisola. Ed infatti, sul fronte italiano ilIl passaggio di quasi tutti i domini spagnoli agli Asburgo d'Austria sarebbe stato presto bilanciato dalla nuova dignità assunta dal Ducato sabaudo che si costituiva in Regno di Sardegna (1720), e dalla conquista spagnola del Regno di Napoli con l'ascesa al trono del giovane don Carlos di Borbone (1734). Quanto alla monarchia asburgica, la considerevole espansione territoriale più che favorire, sembrava denunciare la sostanziale fragilità di antiquate strutture finanziarie ed amministrative. Ad aggravare la situazione concorrevano le continue concessioni fatte da Carlo VI per garantirsi il riconoscimento della Prammatica Sanzione del 1726, che stabiliva la successione sul trono imperiale e l'indivisibilità dei domini asburgici. Ma la spina nel fianco dell'Impero si sarebbe rivelata la Prussia, vera novità nel gioco diplomatico delle grandi potenze. Pronta e disponibile ad alleanze in funzione antiasburgica, sin dalla metà del XVII.secolo si era impegnata a potenziare l'esercito e la burocrazia, privilegiandoli come fattori centrali nelle dinamiche sociali ed economiche. Su questa base burocratico-militare poté farleva Federico Guglielmo I (1713-1740), il "re sergente", per garantire l'ascesa della Prussia a grande potenza. A subire i danni delle vittorie prussiane non sarebbe stata solo la Polonia, duramente provata dalla crisi economica e demografica del XVII secolo e bloccata nella via verso l'accentramento dall'anarchia nobiliare, ma una nazione tra le più progredite d'Europa come la Svezia. A contenderle il predominio sul Baltico contribuirà anche un'altra potenza emergente, la Russia, che acquistava forte credibilità sullo scacchiere europeo, segnalandosi come grande forza militare. Con l'obiettivo fondamentale di sottrarre il suo impero ad una situazione di isolamento e di dipendenza dai mercati europei, lo zar Pietro I avevaIntrapreso con determinata energia un ampio progetto di modernizzazione e di espansionismo sostenuto da una progressiva affermazione dell'assolutismo e dal nuovo vigore della Chiesa ortodossa.
Guerre e riforme
Anche il secolo dei lumi non fu risparmiato da un clima conflittuale esteso dal campo degli interessi economici e politici al confronto militare e alle battaglie intellettuali. Non più motivate da forti ideali come guerre sante o di religione, né attratte dall'ambizione di una indiscussa egemonia, le grandi potenze apparivano sempre più mosse dal desiderio di acquisto e di espansione o di difesa dei diritti dinastici. Certo, con la crisi delle regole della cavalleria, il modo di fare la guerra già da molti decenni non era più lo stesso ed aveva assunto nel tempo caratteri nuovi, di grande impatto sociale, legati ai problemi della professionalizzazione dei quadri militari. In alcuni paesi, infatti, le riforme militari, pur rispondendo a.
primarie esigenze di razionalizzazione, avviarono un significativo processo di promozione sociale di larghe fasce della popolazione e, per la vastità degli investimenti, costituirono uno dei settori trainanti non solo dell'economia. La serie dei conflitti bellici settecenteschi, avviati con la guerra di successione spagnola, riprese appena morto Augusto II, re di Polonia. La Dieta polacca aveva eletto come successore Stanislao Leszczynski, la cui figlia aveva sposato Luigi XV re di Francia. Tuttavia Austria e Russia riuscirono ad imporre l'elettore di Sassonia, che salì al trono col nome di Augusto III (1733-1766). Contro questa scelta la monarchia francese animò un'alleanza di stati interessati ai possedimenti austriaci nella Penisola italiana e, cioè, il Piemonte e la Spagna. La guerra di successione polacca, combattuta prevalentemente sul territorio italiano, si chiuse con la pace di Vienna (1738): un'interessata opera di mediazione vi.svolse l'Inghilterra, determinando un nuovo assetto. Lo stato sabaudo, in cambio delle province di Novara e Tortona, restituiva la Lombardia all'Austria, che perdeva Napoli e la Sicilia, ma si garantiva il Ducato di Parma e Piacenza. La Toscana, con la morte di Gian Gastone de'Medici, passava a Francesco Stefano, duca di Lorena esposo di Maria Teresa d'Austria, mentre la Lorena veniva concessa a Stanislao Leszczynski, privato della corona polacca, col patto di cederla alla Francia alla sua morte. L'equilibrio raggiunto ebbe breve durata: il disconoscimento della Prammatica sanzione da parte di Federico II Hohenzollern, re di Prussia, con l'audace occupazione militare della Slesia subito dopo la morte di Carlo VI d'Asburgo (1740), ruppe i precedenti trattati e avviò la guerra di successione austriaca. Contro l'Austria si schierarono, a fianco della Prussia, la Francia desiderosa di imporre la propria egemonia, la Spagna determinata ad.ottenere il Ducato di Parma per un altro figlio di Elisabetta Farnese e gli elettori di Baviera e Sassonia, che accampavano diritti alla corona imperiale. Se Carlo Emanuele III di Savoia non poteva rappresentare per Maria Teresa un alleato sicuro, l'Ungheria, di cui era stata riconosciuta regina, offriva sufficienti garanzie in campo.