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Lorenzo Da Ponte
nato a Ceneda (Vittorio Veneto), molto intelligente, sensibile, di grande cultura e abilità letteraria, senza
scrupoli, intrepido, amante della vita, libertino di condotta e di idee; dopo aver preso gli ordini minori e
aver insegnato nel seminario di Portogruaro (vicino a Venezia) viene nominato sacerdote nel 1773;
insegna a Treviso, ma deve lasciare la città nel 1776 per aver scritto un trattatello ispirato alle idee di
Rousseau; un’incriminazione per adulterio lo porta a lasciare Venezia nel 1779, dove aveva conosciuto
Casanova; era approdato a Vienna nel 1782 e l’anno seguente, grazie all’appoggio di Metastasio e
Salieri, riesce a farsi nominare “poeta dei teatri imperiali”, incarico che mantiene fino al 1791 quando,
subito dopo la morte di Giuseppe II, viene licenziato per i suoi intrighi a corte;
dal 1793 al 1805 è impegnato a Londra in attività di poeta e impresario teatrale e lì contrae un’unione
stabile con Nancy Grhal; nel 1805 si imbarca per l’America per sfuggire ai creditori e lì, costretto a
mantenere la famiglia con le attività più umili e disparate, trova modo di impartire lezioni di letteratura
italiana e di portare il suo insegnamento in seno alla Columbia Univerity di New York, occupando nel
1825 la prima cattedra di lingua italiana in un’università nordamericana;
Il flauto magico
ultima opera di Mozart, racconto fantastico carico di significati simbolici, di apparizioni sovrannaturali
e di alti concetti morali, tutte caratteristiche in seguito raccolte dall’opera romantica tedesca;
libretto del cantante-attore e impresario Emanuel Schikaneder, amico e fratello massone di Mozart;
la vicenda si svolge in un antico Egitto immaginario e la trama si sviluppa intorno alla serie di difficili
prove che il principe Tamino e Papageno, uomo della strana razza dei Papageni, devono sostenere per
ottenere non solo le amate Pamina e Papagena, ma anche felicità e verità; il modello archetipo è quello
delle fiabe;
composta nell’estate del 1791, la partitura adopera una sorprendente combinazione di elementi stilistici
eterogenei appartenenti alla tradizione dell’opera buffa, dell’opera seria e del Singspiel che servono a
dare carattere allegorico ai personaggi e agli accadimenti più disparati;
le due grandi arie della malvagia Regina della Notte, con colorature scintillanti (come nell’opera seria),
esibiscono il mondo dell’oscurità e dell’odio, mentre le ariette sentimentali di Tamino e Pamina e i
popolareschi Lieder di Papageno, di grande semplicità melodica, appartengono al mondo luminoso
degli inziati; i due ampi e suggestivi finali d’atto sono costruiti nella maniera plastica riservata ai finali
dell’opera buffa;
come il libretto, anche la musica è costellata di simboli massonici sin dalle prime tre battute
dell’overture (si dice che i tre accordi simboleggino l’atto di bussare degli iniziati massonici);
i timbri sonori assumono un significato caratterizzante: i corni di bassetto e i tromboni sono adoperati
per connotare l’ambiente dei misteri ultraterreni e il regno dei sacerdoti, il suono leggero del
Glokenspiel e del flauto si collegano direttamente al mondo fantastico ed estasiato di Tamino e
Papageno;
Mozart assegna ad alcune tonalità un valore simbolico: il MI magg., tonalità fondamentale dell’opera,
rappresenta il mondo mistico e solenne dei sacerdoti, il DO min, ed il RE min. sono le tonalità delle
tenebre, delle forze maligne, della morte, il Sol magg. è la tonalità privilegiata per rappresentare il
mondo sereno elementare, delle persone buone e semplici
Cap. 25
L’opera francese fra Sette e Ottocento
fino al 1780 circa i due rami dell’opera francese, la tragédie lyrique e l’opéra comique, si sviluppano in
direzioni diverse dalle tradizioni italiane dell’opera seria e del dramma giocoso;
la ricerca di un nuovo tipo di rapporto tra testo e musica, tra recitativo e aria, tra vocalità e
orchestrazione degli ultimi decenni del Settecento stimola l’avvio di forma di “mescolanza” dei generi
drammatici codificati;
ad un’italianizzazione dell’opera francese fa seguito una crescente sensibilizzazione italiana alle forme
della drammaturgia francese, cosa che porta alla formazione di un nuovo linguaggio drammatico nel
XIX secolo;
negli ultimi decenni del XVIII e per tutto il XIX secolo, Parigi diviene la vera capitale del teatro
europeo;
qui i successi fruttano materialmente di più al compositore grazie alle leggi sui diritti d’autore vigenti
sulla vendita delle partiture orchestrali complete date alle stampe, regola già affermata da Lully,
Rameau, Gluck e che resterà costante fino a Verdi;
dagli anni della Rivoluzione e dell’Impero in poi Parigi disponeva di tre organismi teatrali principali
che occupavano sale diverse e che avevano la responsabilità di tre diversi tipi principali d’opera:
- il Théâtre de l’Opéra: riceveva sussidi finanziari dai governi municipale e nazionale, rappresentava
l’opera seria ed il balletto, aveva un’orchestra numerosa, un coro formato da molti elementi, ampie
risorse sceniche ed un eccellente corpo di ballo; il repertorio tendeva a coagularsi intorno ad opere di
successo e di repliche assicurate;
- il Théâtre de l’Opéra-Comique: metteva in scena tutta ola gamma delle opere francesi che utilizzavano
anche il dialogo parlato oltre al canto; anch’esso dotato di una grande orchestra;
- il Théâtre Italien: vi si esibivano principalmente i migliori cantanti dell’opera italiana ed era luogo
d’incontro dei ceti altolocati e intellettuali; tra i musicisti italiani che ne assumono la direzione:
Spontini negli anni 1810-12 e Rossini nel 1824-26;
per tutto il Settecento l’opera seria italiana era rimasta esclusa dalle scene parigine (eccetto l’esecuzione
di scene e arie isolate al Concert spirituel), mentre gli intermezzi e le opere buffe in forma originale
avevano avuto solo sporadici allestimenti; queste esecuzioni avevano trasformato da un lato l’opera
italiana in un polemico, ideologico oggetto del desiderio di schiere di intellettuali (querelle dopo La
serva padrona di Pergolesi) e dall’altro avevano stimolato forma di assimilazione di elementi della
musica italiana nelle tradizione francese;
l’ambiente musicale della capitale francese si interroga continuamente sui fini e sui mezzi dell’opera
come genere artistico e spettacolare; da molte parti si ammetteva che il repertorio serio francese era
scaduto e sorpassato e che vi si dovevano innestare elementi della tradizione dell’opera italiana in una
nuova misura stilistica; esprime lucidamente questi pensieri, nel suo “Saggio sulle rivoluzioni della
musica in Francia (Parigi, 1777), Marmontel, illuminista moderato, collaboratore dell’Encyclopédie e
librettista delle più fortunate tragédies lyrique di fine secolo;
gli anni ’80 del Settecento sono un decennio di viva attività operistica a Parigi, incoraggiata da
un’ondata di teorizzazione estetica;
Beaumarchais, nell’introduzione della sua opéra tragicomica Tarare (Parigi 1787), proclama la chiara
intenzione di creare un “genere misto” di spettacolo operistico che accolga, all’interno della compagine
teatrale, scena comiche, satiriche, eroiche e filosofiche, destinate a rinnovare l’interesse; questa sua
opera, per il suo contenuto ideologico (favola ambientata in Asia con opposizione tra sovrano potente e
cattivo e suddito virtuoso e felice nei suoi affetti privati), l’impiego di scene molto spettacolari e
l’intensificazione degli elementi patetici e sentimentali anticipa l’opera romantica;
furono specialmente i musicisti italiani a Parigi a promuovere dopo il successo di Gluck negli anni ’70
un rinnovamento della tragédie lyrique che, a sua volta, contribuisce allo sviluppo dell’opera italiana;
per conquistare un pubblico non abituato ai caratteri stilistici dell’opera seria italiana, fanno convergere
sull’opera seria francese l’esperienza acquisita con quella italiana; libretti rinomati (Quinault,
Metastasio) trasformati in una nuova versione adatta alle esigenze nuove del musicista e del nuovo
pubblic, lavori che mostrano l’assimilazione di esperienze gluckiane, senza rinunciare alle qualità
tipiche dello pera italiana, come i molti numeri chiusi;
Niccolò Piccinni (1728 – 1800):
uno dei primi operisti italiani ad approdare a Parigi, chiamato nel dicembre 1776 dal sovrintendente
dell’Opéra e da un gruppo di letterati guidati da Marmontel per rivaleggiare i successi di Gluck, fu uno
dei primi operisti di suola napoletana che fece il massimo sforzo di adeguarsi ai modi della tragédie
lyrique; per aver accolto la sfida alla opere “riformate” di Gluck viene messo al centro di una nuova
Querelle, quella fra gluckisti e piccinisti;
su di un libretto di Quinault, adattato da Marmontel, presenta Roland nel 1778;
resta ancorato a Parigi fino al 1791 presentando una dozzina di opere, fra cui spicca una Iphigénie en
Tauride (1781), composta sulo stesso testo già musicato da Gluck nel 1779; simili nelle due opere i
ruoli vocali, sostanzialmente identico l’organico corale e orchestrale, anche se la strumentazione di
Piccinni è più massiccia, specie nell’uso dei flauti; in larga parte sono simili anche gli schemi formali
utilizzati; nell’opera di Piccinni i pezzi chiusi sono inferiori munericamente
Antonio Sacchini (1730 – 1786):
a Parigi dal 1781 alla morte, esordio parigino nel 1783 con Renaud, adattamento della sua Armida
(Milano 1772); ottenne uno strepitoso successo il suo Oedipe à Colone (1786), soggetto mitico
interpretato in chiave patetica per suscitare l’interesse del pubblico parigino alla vigilia della
Rivoluzione, opera che rimase in cartello per oltre 50 anni;
Antonio Salieri (1750 – 1825):
Gluck, suo fratello massone, gli procura la commissione dell’opera inaugurale per il Teatro alla Scala
(L’Europa riconosciuta 1778) e poi lo propone come suo degno successore all’Opéra; scrive Les
Danaides nel 1784 che a Parigi, fino alla dodicesima rappresentazione, tutti credevano opera di Gluck;
il libretto è una traduzione francese dell’Ipermestra o Le Danaidi di Ranieri de’ Calzabigi, soggetto già
affrontato da Metastasio;
nel Tartare del 1787 che Salieri scrive in stretta collaborazione con Beaumarchais sono ben fusi i
caratteri musicali gluckiani con le tipiche effusioni liriche italiane; per rinnovare il successo di
quest’opera al Burgtheater di Vienna trasforma questa tragédie lyrique in 5 atti in un’opera seria in 4
atti su libretto di Da Ponte col titolo Axur re d’Or