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La necessità di intervento era chiara già col padre di Carlo e lo zio Carlomanno. La situazione culturale
era terrificante. A dirigere inizialmente l'impresa fu Bonifacio,un missionario anglosassone. Pipino e
Carlomanno continuarono la riforma. fondamentale per garantire la disciplina dell'episcopato risultò il
ristabilimento dei metropoliti.
Carlo Magno ereditò dunque una Chiesa già impegnata nella riforma e continuò l'opera del padre e
dello zio. Carlo mise fine alle vecchie irregolarità.
Nel 789 viene promulgata la “Admonitio da Carlo. Questa legge ha un valore politico oltre
Generalis”
che morale: non si deve più combattere solo la corruzione del clero franco ma si deve coinvolgere tutti
in uno sforzo di correzione universale, condotto di intesa col Papa. Carlo vuole che i cristiani vivano
davvero come una comunità di fratelli. È una vocazione pedagogica quella che Carlo sente e si
trasmette ai suoi prelati.
Nell'802 Carlo emana una serie di provvedimenti dove chiede a tutti i sudditi di collaborare perché
regnino fra cristiani pace e giustizia. L'imperatore invia nelle province i suoi messi con in mano un
preciso questionario che li autorizza a sottomettere tutti gli ecclesiastici ad un esame ravvicinato che
riguarda la preparazione dottrinale.
Nell'811 Carlo volle procedere a un'altra indagine per verificare di persona la condotta degli
ecclesiastici. Convocò tutti i vescovi e abati dell'impero e li sottopose ad un interrogatorio.
Indubbiamente il progetto di far vivere davvero i cristiani nel rispetto della legge divina era un'utopia
ma Carlo ci voleva credere.
La riforma liturgica e scolastica
Come detto Carlo volle correggere i libri liturgici. Giacché l'impero era uno, occorreva che la liturgia
fosse celebrata ovunque in modo uniforme. Dovevano imporsi gli usi liturgici romani. La riforma non
fu semplice poiché molti testi dovevano essere rivisti.
Carlo si interessò sempre alla possibilità di produrre un testo corretto della Bibbia. Sul testo lavorò
moltissimo Teodulfo ma quello che ebbe successo fu Alcuino.
Altrettanto importanti erano i libri su cui si imparava il latino, base per l'apprendimento della Bibbia.
Era necessario rivitalizzare le scuole ecclesiastiche e Carlo nel ordina ai sacerdoti
Admonitio Generalis
di prendere con sé dei ragazzi per istruirli. I ragazzi che poi vogliono proseguire gli studi saranno
indirizzati alle scuole ecclesiastiche. L'unica scuola che non dipendeva da un'istituzione ecclesiastica
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era quella che funzionava presso il palazzo imperiale, per i figli dei funzionari.
Libri e biblioteche
Carlo Magno diede molto importanza anche alle biblioteche. Dato che un libro poteva costare
moltissimo Carlo incoraggiò tali investimenti finanziando anche quegli abati che intendevano ampliare
le loro biblioteche. All'inizio degli anni ‘80 il re inviò una circolare chiedendo a tutti coloro che
disponevano libri di autori classici e dei padri della Chiesa di regalarglieli o di farli ricopiare. Una volta
costituita la biblioteca del palazzo si organizzò la copiatura di quei testi che il re desiderava fossero
utilizzati in tutto il regno. Pur mantenendo una connotazione artigianale, la produzione di libri conobbe
una forte accelerazione in età carolingia. Per la copiatura erano molto importanti i monasteri: ogni
manoscritto realizzato era frutto della fatica di una squadra di monaci. Era comunque possibile che un
solo scriba fosse responsabile di un intero codice. Non venivano solo copiati testi sacri ma anche autori
della classicità latina. I testi classici circolavano infatti ed erano letti anche dai laici.
Fra i lasciti più duraturi della Rinascita carolingia ci sono anche i caratteri che oggi usiamo per la
stampa. Quando Carlo salì al trono la scrittura più comunemente usata dagli amanuensi era molto
complicata, ricca di arabeschi. In alcuni della Gallia si stava sperimentando una scrittura più
scriptoria
pratica: la minuscola carolina che sostituì gradualmente ogni altra scrittura usta nel regno. Certamente
questa scrittura fu apprezzata da Carlo perché era molto più comprensibile e permetteva di evitare molti
errori. Anche la punteggiatura oggi in uso è un lascito degli intellettuali della corte di Carlo Magno.
La tutela della fede
Carlo intervenne spesso nella sfera teologica in concorrenza e talvolta anche in contrasto col Papa.
Intervenne nella questione dell’adozionismo: Cristo sarebbe stato solo figlio adottivo di Dio. Questa
teoria si era sviluppata nella penisola iberica e venne condannata come eretica. Nel 794 il Concilio di
Francoforte condannò l'adozionismo. Ricordiamo ancora che era Carlo e non il Papa ad avere il ruolo
di spicco in questioni religiose, infatti il concilio del 794 si riunì per ordine del re. Fu sempre Carlo che
impose la formula del Credo definitiva che a Roma fu introdotta solo attorno all'anno 1000.
Già gli avi di Carlo avevano un'idea di evangelizzazione dei pagani del Nord, i Sassoni e i Frisoni.
Sotto Carlo Magno il problema della conversione dei pagani venne affrontato molto drasticamente. Per
l'evangelizzazione dei Sassoni si dovette procedere con uno sforzo di predicazione missionaria e con la
sottomissione militare del territorio. Gli avamposti della fede nel paese conquistato rimasero a lungo
precari. Il primo obiettivo dei missionari era di battezzare pagani. Non sembra comunque che la
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conversione fosse forzata. Carlo nei confronti dei Sassoni fu atroce e Alcuino stesso glielo fece pesare.
Nel 796 si radunò una conferenza episcopale che condannava i metodi seguiti da Carlo per la
conversione. Carlo si spinse fino a stabilire precisamente su che cosa era necessario istruire i fedeli. Si
dovevano combattere le superstizioni e le usanze pagane: Carlo Magno fece un elenco delle pratiche
proibite. 37
XI. La macchina militare franca
Come combattevano i Franchi
L'esercito di Carlo era molto organizzato. All'inizio i Franchi erano in grado di combattere soltanto a
piedi in quanto erano agricoltori di sussistenza e non nomadi. Al tempo delle invasioni barbariche la
lancia era l'armamento essenziale dei guerrieri franchi, cui si aggiungevano l’ascia ed uno o più
giavellotti. Qualcuno aveva una spada e l'armamento difensivo era solo uno scudo rotondo, di legno e
solo i capi potevano pagarsi un elmetto o una lorica d’acciaio.
Al tempo di Carlo Magno il modo di armarsi dei Franchi era però profondamente mutato. Compaiono i
cavalieri. Viene definito un equipaggiamento standard che ciascun cavaliere è tenuto a procurarsi prima
di andare in guerra: scudo, lancia, spada e spada corta , arco e frecce. Viene introdotto quindi l’uso
dell’arco anche tra i cavalieri. Il pezzo più importante nell'equipaggiamento era la cioè una
brunia
specie di giaccone di cuoio ricoperto di scaglie metalliche che costava tantissimo e solo i più ricchi
potevano permettersela. Carlo poteva contare su un esercito composto da qualche migliaio di cavalieri
equipaggiati con la e su una riserva ancor più abbondante di combattenti a cavallo che non la
brunia
possedevano. Al tempo di Carlo l'armamento dell'esercito non era più lasciato all’iniziativa privata ma
era diventato una faccenda d'interesse governativo.
Nell'esercito appiedato si era andati verso una semplificazione del l’equipaggiamento rispetto a prima;
chi non poteva permettersi nient'altro doveva avere almeno l’arco. L'armamento dei combattenti a piedi
si era infatti ridotto all'essenziale testimonianza del fatto che la cavalleria stava diventando la parte più
importante dell'esercito. La crescente prosperità economica dell'età carolingia dovette riflettersi nella
progressiva diffusione di svariate innovazioni tecniche militari come la staffa e della diffusione dei
cavalli il cui prezzo si abbassa fortemente.
Il reclutamento
Combattere quando il re chiamava era dovere di tutti gli uomini liberi. Ognuno poteva essere chiamato
se il re o i rappresentanti locali lo ritenevano necessario. Una vera e propria leva di massa era
convocata solo quando una zona era direttamente minacciata dall'invasione. Quando erano i Franchi a
pianificare l’invasione i combattenti erano reclutati per lo più nelle regioni adiacenti al paese nemico.
Nelle istruzioni di Carlo Magno compaiono disposizioni che limitano l'obbligo di armarsi e partire
soltanto chi dispone di mezzi sufficienti. Gli altri devono organizzarsi in modo che le loro risorse
contribuiscano ad equipaggiare un combattente. Le spese consistevano soprattutto nei rifornimenti
alimentari. Questa innovazione riduceva di molto il numero dei combattenti scarsamente equipaggiati.
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Comunque attorno a ogni potente esiste un gruppetto di vassalli il cui servizio è innanzitutto un servizio
armato e comporta il possesso di armi e cavalli. Per tutti costoro Carlo Magno giudica inutile
soffermarsi a calcolare l'entità del possesso: chi appartiene a una clientela vassallatica è prima di tutto
un combattente e come tale deve essere in qualsiasi caso convocato.
Ognuna di queste squadre di vassalli rappresenta un gruppo di combattenti allenato e ogni uomo
abbastanza agiato potrà presentarsi all'esercito direttamente al seguito del proprio signore. Solo chi non
appartiene ad alcuna clientela dovrà raggiungere il luogo d'adunata al seguito del conte locale nel modo
tradizionale. Anche i servi sono inquadrati nell'esercito al seguito dei loro signori.
L'impegno militare era richiesto anche alla Chiesa. Fin dal tempo di Carlo Martello gli immensi
possedimenti fondiari del clero erano usati dai i re per insediarvi i propri dipendenti armati. Il
coinvolgimento dei prelati nell'impegno militare si giustificava con la natura religiosa del potere del re.
Molti volevano però che gli ecclesiastici non combattessero.
Gli obblighi militari erano così gravosi che ovunque si cercava di sfuggirli. Ogni conte non poteva
esentare dal servizio più di due vassalli per proteggere sua moglie e altri due per sostituirlo nell’ufficio.
Il re cercava di fare in modo che nessuno disertasse. Chi non assolveva gli obblighi militari doveva
pagare una multa enorme. L'intento era di punire i colpevoli così pesantemente in modo che non
venisse voglia di riprovarci. Questa imposta, l “eribanno”, non doveva comunque essere occasione di
abusi da parte dei messi che lo riscuotevano. Chi disertava l’esercito era punito con la morte e con la
confisca dei beni.
La strategia
La convocazione militare doveva per forza essere spedita diversi mesi prima della data prevista per
l'inizio delle operazioni. Ciò permetteva anche una preparazione strategica. Era difficile far marci