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II.
“Assolutismo” deriva dal latino absolutus, ossia “sciolto”. Un’espressione che nel ‘500 si afferma
sempre di più è quella di “legibus solutus”. Man mano che si afferma l’assolutismo, il sovrano tende
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a liberarsi da tutta quella serie di vincoli che ne limitavano il potere, a partire dalle assemblee
rappresentative, che verranno progressivamente limitate nel loro ruolo. In Francia, addirittura, esse
non verranno più convocate dopo il 1614, data a partire dalla quale la funzione di “corpo
intermedio” verrà svolta dai Parlamenti, che, nella Francia d’ancien régime erano, in realtà, delle
corti di giustizia. Gli sforzi dei sovrani “assoluti” si indirizzeranno, all’interno, contro le istituzioni
rappresentative e/o “intermedie” e, all’esterno, verso la Chiesa, al fine di ridurne il “ruolo
universale”. Il concetto di Genossenschaft che aveva portato alla comunanza di tutti i cittadini si
frantuma e cede il passo agli interessi del singolo mercante o del ricco borghese. Si verrà dunque a
creare la futura “nobiltà di toga”. Di conseguenza, mentre la borghesia si arricchiva, la nobiltà
s’impoveriva. La decadenza del ceto feudale è strettamente connessa, oltre a tali mutamenti socio-
economici, anche alla trasformazione di quella che è stata chiamata l’arte della guerra. L’uso di
questa nuova tecnologia relegò qualità individuali come il coraggio personale ad un ruolo sempre
più marginale.
Un altro importante aspetto di decadenza della nobiltà di origine feudale è rappresentato dal declino
del suo potere in ambito giudiziario.
Al nobile rimase la possibilità o di diventare sempre più povero o di mettersi sotto l’ala protettrice
del sovrano. Nacque così la corte.
La Francia.
In Francia, agli inizi del XVI secolo, una delle prime manifestazioni esteriori di
quell’accentramento dei poteri nelle mani del monarca è rappresentato dalla progressiva evoluzione
dell’esercizio della funzione legislativa. È il sovrano che avoca a sé il diritto-dovere di porre in
essere la legge. Essa cessa di essere unicamente il prodotto delle antiche consuetudini vigenti nel
regno acquisendo i requisiti di generalità ed astrattezza.
La prima autoritaria e formale assunzione da parte del re del potere di legiferare si trova in una
dichiarazione del 1523 di Francesco I in cui egli afferma esplicitamente che “spetta solo al sovrano
la potestà di emanare statuti, editti quali appaiono convenienti al bene del re e del regno”. La legge
promana dal re ma egli è al di sopra della legge stessa. Jean Bodin, nei Six livres de la République,
ritiene che il potere di fare le leggi fosse la prima e tipica manifestazione della sovranità. Proprio da
questo concetto deriva altresì – a suo parere – il diritto di grazia. Le leggi assunsero due forme
differenti: le ordonnances prive del nome del destinatario, di premessa esplicativa e del sigillo. Si
trattava di ordini perentori e secchi. A partire dal 1539 (sotto il regno di Francesco I), le ordinanze
cominciarono ad essere scritte in francese anziché in latino, poiché dovevano essere comprese da
tutti per la loro generalità e inoltre in questo modo si accentuava lo staccamento dalla Chiesa.
L’altra tipologia erano le “lettere patenti”, scritte su pergamena, recavano il nome delle persone cui
erano destinate e il sigillo reale, nonché la firma del re e la controfirma di un segretario o ministro.
Fin dal Medioevo i re di Francia avevano disposto di un organo ausiliario detto Consiglio Privato
che li assisteva e li aiutava nell’esercizio delle loro vaste e disparate attività amministrative,
finanziarie e giudiziarie. Sotto Francesco I le questioni politiche più importanti cominciarono ad
essere affidate solo ad un gruppo ristretto di membri di tale organo; esso prese da allora la
denominazione di Consiglio del Re. Sotto la guida di Richelieu, il Consiglio Privato mutò il proprio
nome in Consiglio degli affari e di Dispacci, mentre l’altro, quello più ristretto, prese il nome di
Consiglio Segreto degli affari. Sotto il regno di Luigi XIV quest’ultimo acquistò il nome di
Consiglio di Stato in alto e bastava esservi chiamati anche una volta soltanto a farne parte, per
acquistare a vita il titolo di “ministro”. 4
Oltre ai Consigli, il re aveva a sua disposizione anche una serie di alti dignitari, autorevoli e
inamovibili dal loro ufficio, chiamati Grandi Ufficiali della Corona. I sovrani cominciarono a
tollerare mal volentieri la “tutela” di questi dignitari, spesso troppo indipendenti; per tale ragione
vennero posto al loro fianco altre funzionari, nominati dal re e da questi revocabili, detti Segretari.
Vi erano poi altre figure di funzionari, gli ufficiali e i commissari. Gli ufficiali erano nominati dal re
senza limiti di durata, divenuti quindi ereditari. In Francia il fenomeno della venalità delle cariche
sarà il nodo cruciale intorno a cui si scontreranno gli interessi dell’antica nobiltà di spada con quelli
della nobiltà di toga; costoro riuscirono ad inserirsi nei diversi rami dell’apparato burocratico
statale, arrivando poco a poco a sostituire la nobiltà di spada nei più importanti settori
dell’amministrazione pubblica e costituendo il braccio destro dell’assolutismo regio.
Agli inizi del ‘600, un certo Charles Paulet, di professione appaltatore, propose di istituire una tassa
per trasmettere ereditariamente la carica acquistata; la sua proposta fu accolta nel 1604 e tale
tributo, che in suo onore prese il nome di paulette, rese ereditari gli uffici “acquistati”. Ciò
rappresento, senza dubbio, un notevole vantaggio economico per la monarchia, giacché il
pagamento della paulette consentì di rimpinguare in modo assai consistente le casse dello Stato, ma,
al tempo stesso, il proliferare di uffici alienabili costituiva un potenziale pericolo per la Corona, dal
momento che i titolari di questi non potevano in alcun modo essere rimossi dal sovrano. In tal modo
gli ufficiali, essendo inamovibili, tendevano a percepire il proprio ufficio più come una sorta di
proprietà privata che non come una carica pubblica, di servizio al sovrano. Il processo di
rafforzamento dell’assolutismo monarchico sia stato accompagnato, in Francia, dall’uso sempre più
diffuso di un’altra tipologia di funzionari pubblici: i commissari. Essi non erano inamovibili, ma, al
contrario, venivano nominati dal re sempre e solo “ a tempo determinato”, per lo svolgimento di una
specifica mansione e offrivano al sovrano garanzie di lealtà e attaccamento alla Corona di gran
lunga maggiori rispetto alla categoria degli ufficiali; pertanto, fu proprio ai commissari che
cominciarono ad essere attribuiti i ruoli-chiave nell’ambito dell’apparato burocratico statale. E i
commissari iniziarono ad essere utilizzati in qualità di rappresentanti del governo centrale nelle
diverse province del regno, con il titolo di Intendenti.
La creazione degli Intendenti si rivelò uno strumento prezioso al fine di limitare residui di
autonomia locale e di rafforzare il potere politico del sovrano su tutto il territorio del regno. I loro
compiti, molto vasti, e comprendevano i settori finanziario, giudiziario e di “polizia”.
I pays d’états erano quelle province ove esistevano assemblee rappresentative locali dette, come si
vedrà più avanti, Stati Provinciali, o Particolari, cui spettava il compito di ripartire le imposte fra gli
abitanti della comunità. Gli Intendenti inviati presso tali province, non avevano poteri decisionali. I
pays d’imposition goverano di una totale libertà d’azione in campo tributario. Al seguito
dell’Intendente venne creato un ufficio ad hoc che lo accompagnava da una provincia all’altra senza
tuttavia assumere la rilevanza politica.
Gli Stati Generali non hanno costituito quella limitazione del potere sovrano che ci si aspetterebbe
dopo il rilevante e “mitico” ruolo avuto all’esordio della Rivoluzione. Benché gli Stati Generali non
abbiano avuto un’influenza politica estremamente importante, tuttavia, nella gestione del potere, il
sovrano non poteva non tenere presente l’esistenza di queste antiche assemblee rappresentative che,
in tal modo, contribuivano a limitarlo. Fin dagli inizi del secolo XIII, i sovrani usavano convocare
ampie riunioni alle quali partecipavano i nobili e, spesso, anche i prelati, la cui funzione era soltanto
quella di ascoltare e acclamare ciò che il sovrano aveva già deciso. Con l’inizio del secolo
successivo si ebbe un’importante evoluzione: all’interno di esse fecero la loro apparizione i
rappresentanti degli abitanti delle città o borghi; ciò avvenne durante il regno di Filippo IV, “il
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Bello”, il quale, essendo allora in conflitto con il Papa, aveva bisogno del maggior sostegno
possibile soprattutto finanziario. Pertanto tale assemblea, riunita nel febbraio del 1302, fu
considerata da molti storici francesi la vera e propria prima convocazione degli Stati Generali.
L’assemblea della seconda metà del Trecento avanzò delle richieste tra le quali la diretta
partecipazione al governo del sovrano, la periodica convocazione degli Stati Generali, la facoltà di
controllare in parte le imposte.
Si dovrà attendente il 1484 per trovarsi di fronte a un’assemblea parlamentare vera e propria:
riconosciuta da tutti gli storici come la prima riunione degli Stati Generali; essi, nella valle della
Loira, formularono al sovrano talune richieste già avanzate dagli Stati “rivoluzionari” del ‘300.
Questa volta il sovrano, Carlo VIII, non solo le accettò de jure ma da allora ammise il Terzo Stato
stabilmente nella composizione dell’assemblea, aggiungendo ai rappresentanti delle città anche
quelli delle campagne. I rappresentanti del Terzo Stato venivano eletti nella persona del sindaco
delle grandi città, o sui presidenti delle corti sovrane, tra cui emergerà il Parlement, e su altri
rappresentanti delle città e delle campagne purché pagassero quella che allora era l’imposta più
diffusa, la “taglia”. Il clero e la nobiltà votavano nel capoluogo di un’antica circoscrizione
amministrativa e giudiziaria francese, il “baliaggio”; il Terzo Stato veniva eletto con elezioni di
doppio grado. Le assemblee parrocchiali eleggevano i delegati, i quali, a loro volta, riuniti nel
capoluogo del baliaggio, designavano i loro rappresentanti. Il suffragio attivo era riservato ad ogni
capofamiglia che pagava la taglia. L’aspetto inter