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Fu quella la prima volta in Francia in cui il ministero decadde non per un disaccordo fra i ministri e
il sovrano, ma per l’ostilità nei suoi confronti della Camera rappresentativa, un’ostilità rivolta
soprattutto verso il leader del governo, le cui dimissioni, secondo un principio-base del regime
l’automatica decadenza di tutta la compagine ministeriale.
parlamentare, comportavano
In meno di tre mesi dal ritorno di Luigi XVIII si era cominciato ad attuare uno dei principi
fondamentali del regime parlamentare.
La difficile situazione politica francese richiedeva un nuovo Primo ministro gradito, oltre che alla
nuova Camera, anche alle potenze alleate con le quali, proprio in quei giorni, dovevano essere
conclusi i negoziati del trattato di pace. Nessuno poteva ricevere consensi più unanimi del duca
Armando-Emanuele du Plessis de Richelieu, sul quale cadde la scelta del sovrano. Tuttavia il
prestigioso incarico affidato all’onesto duca produsse, sotto l’aspetto politico, alcuni effetti negativi
direttamente derivanti sia dal suo carattere ipersensibile e ombroso, sia dalla sua scarsa conoscenza
della situazione politica interna della nazione, dalla quale era stato assente fin dallo scoppio della
Rivoluzione. Queste sue lacune non poterono non riflettersi sulla composizione del nuovo ministero
uomini di opposte tendenze. L’effettiva verifica del potere e della
del quale entrarono a far parte
capacità governativa del nuovo ministero si sarebbe comunque vista nei suoi rapporti con le
Camere, di cui era imminente l’inaugurazione della sessione legislativa.
dell’ultra-realismo.
Teoria e pratica politiche –
In attesa della seduta inaugurale della legislatura i deputati si raggruppavano fra loro non
– dapprima secondo un’affinità geografica, in seguito
essendoci ancora organizzazioni partitiche
politica. In famosi salotti di quegli anni altro non erano che riunioni mondano-politiche-letterarie
alle quali gli uomini più in vista non mancavano di partecipare.
Una gran folla si recò ad assistere alla seduta inaugurale della legislatura. Era stata raccomandata ai
– – l’attuazione di un sistema di rigorose economie e subito dopo si
ministri esordì Luigi XVIII –
espresse a favore della Costituzione, deludendo le attese dei deputati e pari ultras che speravano
di poter quanto prima modificare in senso restrittivo la Charte.
– –
La moderazione e la saggezza del sovrano contrapposta agli egoismi di alcuni uomini passionés
venne lodata da Le Courrier, secondo il quale solo la giustizia e la clemenza potevano porre fine ai
–
disordini civili. Le Camere prima di redigere gli adresses di risposta al discorso del trono del
2
–
sovrano procedettero agli adempimenti giuridico-formali, quali la formazione dei bureaux , e la
nomina delle cariche assembleari. L’adresse della Camera rappresentativa fu improntato a un
evidente spirito vendicativo. Nella sua risposta, Luigi XVIII ancora una volta ribadì di voler
mantenere «i diritti che devono assicurare la tranquillità pubblica».
2 Fin dall’inizio le Camere, per snellire i loro lavori, si erano costituite in bureaux. Le commissioni diventeranno, con il
trascorrere degli anni, sempre più importanti, fino a soppiantare i bureaux, sebbene inizialmente avessero una durata
strettamente limitata al tempo necessario per concludere i lavori.
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Fin dalle prime manifestazioni politiche le due Camere avevano con chiarezza e, soprattutto quella
dei deputati, quasi con ostentazione, palesato alcune delle finalità che intendevano conseguire
servendosi dei poteri loro concessi.
Due opposti schieramenti politici si fronteggiavano: alla schiacciante maggioranza degli ultra-
realisti si contrapponeva l’esigo gruppo composto dai cosiddetti «ministeriali», dai «dottrinari»,
dagli «indipendenti», nonché da qualche ex-rivoluzionario.
Era inevitabile che alle diverse provenienza sociale ed esperienza politica corrispondesse una
diversa concezione della società civile e della respublica per la realizzazione delle quali i due
contrapposti raggruppamenti erano decisi a combattere con tutti i mezzi giuridico-politici loro
consentiti.
La teoria politica alla quale si ispiravano i dottrinari costituì una specie di «giusto mezzo» fra quelle
degli ultra-realisti e dei liberali. Per i dottrinari, infatti, il monarca non doveva costituire soltanto il
– –
garante del corretto funzionamento degli organi statali il »potere neutro» di Constant ma
riassumere in sé i più alti e più nobili ideali della nazione, alla cui attuazione egli doveva dedicare
ogni sua energia. I dottrinari divenivano in tal modo assertori di una teoria moderatamente dinamica
che si contrapponeva all’evoluzionismo liberale; se esso infatti vedeva
dei rapporti socio-politici,
«nella Carta solo l’inizio per un ideale nuovo, i dottrinari non intendevano andare al di là di essa».
– contrariamente ai liberali, convinti fautori del parlamentarismo, cioè dell’interpretazione
Così –
evolutiva e permissiva della Charte i dottrinari restarono sempre fedeli ad una concezione
rigorosamente ortodossa della stessa, cioè a un tipo di costituzionalismo nel quale fosse prevista,
più che la separazione, la compenetrazione dei poteri statali.
Avversi a qualsiasi testo scritto nel quale venissero enumerati i diritti e i doveri della nazione furono
i realisti «puri», o ultras, o exagérés. La loro concezione politica, infatti, si rifaceva al periodo
dell’ancien Colui che elaborò con più rigore logico le tesi dell’ultra-realismo
régime. fu
indubbiamente il visconte di Bonald. Nella sua concezione politica, la società sarebbe stata tanto più
perfetta quanto maggiormente fosse rimasta immobile e statica, aliena da ogni movimento o
trasformazione. Bonald riabilitava il remoto passato, e quindi, l’antico regime monarchico, il cui
potere assoluto era considerato indispensabile ad una saggia e virtuosa gestione dello Stato.
La strenua difesa, non solo del potere spirituale, ma anche di quello temporale della Chiesa, fu uno
dei principi dominanti nelle teorizzazioni dei tradizionalisti. Le istituzioni ecclesiastiche erano da
essi considerate l’ultimo e più valido baluardo da opporre agli sconvolgimenti sociali e politici sorti
dalla Rivoluzione. Soprattutto l’emergere della borghesia – con il conseguente sconvolgimento
–
economico-sociale fu considerato da Bonald un evento disastroso, dal quale erano poi derivate al
Paese solo tragedie. L’autonomia morale della borghesia era considerata dai legittimisti la
caratteristica più negativa di questa nuova classe. Essa, infatti, con la stessa facilità con cui aveva
cancellato tradizioni e leggi del passato, si era costruita una società e uno Stato, con il fine
preminente non di ben governare il popolo, bensì di amministrare i nuovi interessi. La classe media
–
aveva trasferito la sua stessa mobilità oltre che negli interessi (i beni mobili furono aspramente
–
criticati dai tradizionalisti) anche nelle istituzioni politiche che aveva sostituito al vecchio ordine
precedente. Da ciò l’avversione di Bonald e dei tradizionalisti per il costituzionalismo e, ancor più,
per il parlamentarismo, ove l’instabilità e la temporaneità del potere e della durata dei corpi
assembleari si ripercuotevano negativamente su tutto l’apparato statale.
Le teorizzazioni dei tradizionalisti li portarono a opporsi con tutte le loro forze alla Charte,
contribuendo a determinare quell’atteggiamento di ostilità di una parte della popolazione nei
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confronti del nuovo regime borbonico. La speranza era di restaurare il vecchio regime, ma si trattata
di un tentativo utopistico contro-rivoluzionario inevitabilmente destinato al fallimento.
La costante fedeltà alla Charte da parte di Chateaubriand contribuì notevolmente a creare intorno
alla Costituzione quella solidarietà politica necessaria al consolidamento delle nuove istituzioni,
della quale furono partecipi anche taluni dei più illuminati esponenti dell’antica nobiltà.
Ultimate le formalità normative inerenti alla loro organizzazione interna, le Camere dettero inizio ai
lavori parlamentari. Il ministro della Polizia, Decazes, presentò ai deputati un progetti di legge sulla
sicurezza generale comprendente alcuni provvedimenti talmente repressivi da configurare una vera
e propria sospensione delle libertà individuali garantite dall’art. 4 della Costituzione. Benché Royer-
Collard avesse proposto a tale progetto alcuni emendamenti tendenti a limitare il troppo ampio
potere attribuito ai prefetti, preposti all’arresto dei sospetti, la legge venne approvata.
Contemporaneamente al dibattito sulla legge di sicurezza generale, si tenne quello «sui discorsi,
scritti e atti sediziosi», che istituiva un regime talmente repressivo delle libertà di stampa e di parola
da costituire una vera e propria violazione dei diritti civili della popolazione.
Il dissidio tra la Camera elettiva e il ministero si acuì durante la discussione di un progetti di legge
presentato dagli ultras, nel quale era prevista la sospensione dalla carica per un anno dei giudici, al
fine di attuare una severa epurazione fra gli stessi.
in quest’occasione gli
Anche ultras riuscirono a far passare il loro progetto, il quale, considerato
contrario ai principi fondamentali della Charte, venne poi respinto dai pari.
Con il successivo dibattito sul progetto di legge d’amnistia il dissidio tra la maggioranza ultra ed il
governo divenne insanabile. Contrariamente all’opinione governativa, l’assemblea elettiva
rivendicava il diritto di definire quali fossero le categorie dei colpevoli. Richelieu presentò un «suo»
progetto di amnistia e in quell’occasione il presidente del Consiglio sostenne che, quantunque il
diritto di concedere l’amnistia appartenesse soltanto al sovrano, questi «si è compiaciuto in una
circostanza così importante di accettare il concorso dei più importanti organismi dello Stato che
con lui all’esercizio del potere legislativo». Fu in quell’occasione che, per la prima
partecipano – –
volta, gli ultras contrari al progetto governativo perché da essi considerato troppo moderato si
del diritto d’iniziativa delle Camere,
opposero alla interpretazione restrittiva, fatta da Richelieu,
facendo appello alle regole del parlamentarismo. Grande fu lo stupore nell’ascoltare i deputati ultra
parlare a favore della prerogativa assembleare che, sorta con la Rivoluzione, era stata da essi