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Ma anche il contesto internazionale, in particolare l’Inghilterra, Francia e la passività della Spagna,

contribuirono non poco all’epilogo tragico dei tale rivoluzione, nonostante la stessa dinastia

borbonica avesse tentato di scongiurare l’invasione del regno da parte degli austriaci, ricorrendo ad

una Costituzione più moderata, la Charte del 1814 di Luigi XVIII.

Nonostante fossero proibiti, i principi della costituzione gaditana continueranno a persistere vividi

negli animi dei patrioti italiani.

– –

La Restaurazione per definirsi compiutamente tale avrebbe dovuto quasi completamente

prescindere dall’eredità napoleonica. Non essendo ciò avvenuto, si può parlare soprattutto di una

di ogni altra eredità dell’epoca napoleonica, l’accentramento

Restaurazione di dinastie. Più

amministrativo è divenuto in qualche modo il simbolo di una piaga da cui l’Europa ha tardato a

guarire.

Le critiche al Decennio francese nella stampa costituzionale napoletana del 1820-21

Pur divisi al loro interno tra liberal-moderati e radical-democratici, i militari promotori del moto

costituzionale non nutrirono mai alcun dubbio circa la carta costituzionale più idonea a realizzare le

proprie aspirazioni politiche: unanime fu infatti il desiderio di adottare la Costituzione di Cadice

concessa da Ferdinando di Borbone il 20 luglio 1820, sia per le rilevanti limitazioni imposte alla

prerogativa regia, sia per il ruolo fondamentale attribuito alla rappresentanza nazionale, sia per le

modalità elettive della stessa, estremamente democratiche. Inoltre nella Costituzione spagnola

trovava piena tutela il principio del decentramento, dal momento che essa prevedeva la presenza, in

ogni provincia, di un’istituzione detta Deputazione, interamente elettiva e dotata di numerose e

rilevanti competenze, fra le quali l’esame dei ricorsi dei comuni ed il controllo sull’uso dei fondi

pubblici degli stessi. Pienamente garantita era, inoltre, la libertà di stampa. La maturazione politica

dei napoletani si era poi accresciuta durante il Decennio grazie all’uniformità politico-

amministrativa che, assieme al Codice napoleonico, aveva radicalmente mutato l’assetto socio-

istituzionale del regno. Durante il Decennio fu infatti comune alla nobiltà e alla borghesia

all’interno delle istituzioni locali. Gli errori politici che avevano

professionale il modus operandi

minato alla base l’assetto statale napoleonico, mantenuti e accentuati dai Borboni, e che erano stati

la causa scatenante della rivoluzione napoletana del 1820. In primis veniva messo sotto accusa

l’eccessivo centralismo napoleonico che aveva completamente annullato quello che la stampa

definiva il “potere municipale” e non poteva essere vanificato dagli eccessi del “potere

amministrativo” identificato inevitabilmente nella figura dell’Intendente.

La fortissima e sentita esigenza provinciale di gestire direttamente le diverse e spesso complesse

inglobava anche le critiche all’odiata imposta sulle proprietà terriere, la cosiddetta

situazioni locali, 3

“fondiaria”, spesso determinata sulla base di criteri approssimativi e talvolta del tutto erronei. Nello

stesso periodo la stampa si era spesso soffermata su di un’altra acuta ed interessante critica

all’operato francese circa lo sperpero di ingenti risorse statali a causa dell’immissione nel pubblico

impiego di un numero eccessivo di persone. Il riformismo napoleonico, pur mettendo fine alla

caotica situazione finanziario-amministrativa del regno, aveva rovinato economicamente la maggior

parte degli abitanti dello stesso. Il peso fiscale dell’imposta fondiaria era stato determinato spesso in

maniera errata e fu pertanto oggetto di continue richieste di rettifica da parte della maggior parte

dei comuni del regno, significando la rovina economica soprattutto dei piccoli proprietari che per

pagarne l’esoso ammontare dovettero o distogliere i capitali dall’investimento agricolo oppure

ricorrere ad esosi prestiti.

Anche l’abolizione – –

degli arredamenti una specie di titoli di Stato attuali aveva impoverito

numerose persone. Inoltre anche l’incameramento da parte dello Stato dei beni feudali espropriati

non si era risolto in un beneficio economico degli abitanti dei comuni ai quali era destinata, ma

soltanto in un arricchimento di quanti avevano i mezzi per acquistarli. La popolazione fu quindi

costretta, per sopravvivere, ad entrare nelle file del pubblico impiego.

Nel 1815, restaurato il Borbone, questi non volle allontanare dagli impieghi quasi nessuno, ma ben

presto a questa schiera Ferdinando dovette aggiungere quella dei suoi fedeli e poiché le richieste

d’impiego erano superiori all’effettiva necessità statale “il sacco delle pensioni fu aperto e

largheggiandosi quanto più si poteva in questo genere di compensi, i popoli continuarono a vedersi

schiacciati ed avviliti sotto l’enorme peso delle taglie e delle imposte”.

Numerose volte l’Intendente, specie quando non era nativo del luogo, doveva confrontarsi-

i componenti il Consiglio d’Intendenza che, quasi sempre composto da notabili

scontrarsi con

locali, costituiva un vero e proprio centro di potere provinciale. Esemplare fu il caso della Terra

d’Otranto, ove taluni Intendenti – –

peraltro graditi e stimati dagli abitanti furono costretti ad un

continuo avvicendamento poiché non riuscirono ad instaurare proficui rapporti di collaborazione col

potente Consiglio d’Intendenza, a causa soprattutto della conflittualità sulla gestione

dell’amministrazione provinciale, sulla quale incidevano notevolmente i rilevanti interessi del

notabilato locale.

Un’altra fondamentale critica veniva rivolta ai francesi dalla maggior parte della stampa: quella

relativa alla mancata concessione di una Costituzione, lacuna, questa, ritenuta la causa

fondamentale dello scoppio dei moti rivoluzionari.

L’avvento al trono di Gioacchino Murato, dopo il trasferimento di Giuseppe Bonaparte in Spagna,

aveva acceso molte speranze di vedere attuate nel regno forme costituzionali più mature. Solo

tardivamente Murat concesse una Costituzione, pubblicata a Napoli il 18 maggio 1815, quando le

sorti del regno erano ormai segnate.

Senza il Decennio non vi sarebbero stati neppure quegli aneliti costituzionali che, grazie alla

rivoluzione erano giunti finalmente ad una compiuta realizzazione; questa era avvenuta unicamente

per unanimi volontà ed operato della popolazione del regno. Alla maturazione delle istanze

costituzionali durante il Decennio molto aveva contribuito la partecipazione dei cosiddetti

– –

proprietari nobili e borghesi delle province alla gestione amministrativa delle istituzioni

periferiche.

Il contributo dei militari alla rivoluzione napoletana del 1820-21: i protagonisti del moto

costituzionale

Agli inizi del 1820, la Carboneria era ormai diffusa in modo capillare nelle province meridionali

presso molti esponenti dell’aristocrazia liberale, della borghesia professionale, degli impiegati

4

amministrativi, come pure presso artigiani e popolani e, soprattutto, all’interno dell’esercito, sia fra

i sottufficiali che tra i numerosi alti ufficiali, fra cui il generale Guglielmo Pepe, che della

rivoluzione napoletana del ’20 fu uno dei principali artefici. L’esercito era stato progressivamente

sminuito sia nel proprio prestigio sociale, sia nelle retribuzioni stipendiali. Le due componenti

dell’esercito napoletano – –

quella murattiana e quella borbonica non soltanto erano dotate di

diversi codici penali militari e di differenti sistemi disciplinari, ma nascevano da concezioni

dell’esercito del tutto opposte d’ancien

giacché quello borbonico era ancora legato a una logica

régime, basata su un sistema di reclutamento di tipo mercenario; al contrario di quello murattiano .

modellato in base ai principi della Rivoluzione francese tale da farne un esercito nazionale

formato da coscritti, cioè da cittadini che prendevano le armi per difendere la propria patria. La

diffusione della Carboneria presso l’esercito fu particolarmente significativa all’interno delle legioni

provinciali. Proprio dall’esercito partì l’iniziativa rivoluzionaria: i sottotenenti carbonari Michele

Morelli e Giuseppe Silvati disertarono a Nola insieme a un folto gruppo di commilitoni. Le notizie

di quanto stava avvenendo nelle periferie del regno non tardarono a giungere nella capitale. I

di Ferdinando I incaricarono i generali di soffocare l’insurrezione. La presenza di un capo

ministri

autorevole come il Pepe contribuì a far cadere le ultime diffidenze popolari nei confronti del moto

costituzionale.

Trascorsi alcuni giorni, Re Ferdinando promise la concessione di una Costituzione, ma al tempo

stesso, adducendo motivi di salute, affidò il potere, in qualità di vicario, al figlio Francesco che

proclamò finalmente il testo costituzionale.

Il regime costituzionale napoletano fu riconosciuto solo dalla Svezia, Svizzera, Paesi Bassi e

Spagna, dal momento che fin dall’inizio l’Austria mirò a isolarlo politicamente. Il 21 gennaio 1821

alla Conferenza di Lubiana, ove Ferdinando aveva convinto il Parlamento a concedergli

l’autorizzazione a recarvisi, viene decisa la fine del regno; l’armata austriaca vi penetrò dalla parte

degli Abruzzi. L’esercito napoletano era scarsamente equipaggiato militarmente, al punto da

opporre una debole resistenza all’ordinato ed efficiente esercito imperiale. L’inevitabile sconfitta

avvenne a Rieti il 7 marzo e il successivo 24 gli austriaci entrarono a Napoli. Ferdinando nonostante

avesse esplicitamente affermato che si sarebbe ispirato a criteri di clemenza nei confronti di quanti

avevano partecipato al regime costituzionale, definì invece il moto militare un ammutinamento vero

e proprio, facendo comprendere quali ne sarebbero state le conseguenze.

Dopo l’esecuzione della condanna a morte di Morelli e Silvati, il governo borbonico procedette ad

una vasta e capillare epurazione nei confronti di coloro che avevano, a vario titolo, sostenuto la

rivoluzione. Furono dichiarate nulle tutte le leggi emanate nel nonimestre costituzionale; fu abolita

ogni manifestazione di libertà di stampa; vietata qualsiasi forma associativa, in primis le società

segrete.

La circolazione del modello spagnolo in Italia (1820-1821).

L’origine della congiuntura storico-politica che portò alla Costituzione di Cadice fu la guerra

combattuta dagli spagnoli contro Napoleone, che aveva spodestato il legittimo sovrano, Ferdinando

VII di Borbone. In Europa la Spagna è vista come il paese della libertà che, rigeneratosi attraverso

una lotta epica e popol

Dettagli
A.A. 2011-2012
13 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/03 Storia delle istituzioni politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AngeloNELLAnebbia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle Istituzioni politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Corciulo Maria Sofia.